capitolo (70)
Ricordo in confuso che, siccome domandavo spesso, quando mi trovavo insieme con Nostro Signore, il dolore dei miei peccati e la grazia che mi perdonasse tutto ciò che di male avevo fatto, e delle volte giungevo a dirgli che, allora sarei contenta, quando dalla sua propria bocca mi dicesse che: «Ti rimetto tutti i tuoi peccati», e Gesù benedetto, che niente sa negare quando è per nostro bene, una mattina vi si fece vedere e mi disse: «Questa volta voglio fare Io stesso l'uffizio di confessore, e tu confesserai a me tutte le tue colpe e nell'atto che ciò farai, ti farò comprendere uno per uno i dolori che hai dato al cuor mio nell'offendermi, acciocché comprendendo tu, per quanto può una creatura, che cosa è il peccato, prendi risoluzione che piuttosto morire che offendermi. Tu intanto entra nel tuo nulla e recita il Confiteor».
Io, entrando in me stessa, vi scorgevo tutta la mia miseria e le mie scellerataggini ed innanzi alla sua presenza tremavo a verga a verga, e mi mancava la forza di pronunziare le parole del Confiteor e, se il Signore non avesse infuso in me nuova forza col dirmi: «Non temere: se sono Giudice, sono ancora tuo Padre! Coraggio, andiamo avanti», lì sarei rimasta senza dire neppure una parola. Onde dissi il Confiteor tutta piena di confusione e d'umiliazione; e siccome mi vedevo tutta coperta dalle mie colpe, dando una occhiata, la più che vi scorsi che aveva fatto affronto a Nostro Signore era la superbia, perciò dissi: «Signore, mi accuso innanzi alla vostra presenza che ho peccato di superbia». E lui: «Avvicinati al mio cuore e metti l'orecchio e sentirai lo strazio crudele che hai fatto al mio cuore con questo peccato». Tutta tremando vi misi l'orecchio sopra del suo cuore adorabile; ma chi può dire ciò che sentii e compresi in quell'istante? Specialmente dopo tanto tempo? Dirò solo qualche cosa in confuso. Ricordo che il suo cuore batteva tanto forte che pareva che si volesse rompere il petto, poi mi parve che si facesse a brani a brani, e per il dolore restava quasi distrutto. Ah! se avessi potuto, giungerei a distruggere l'Essere Divino con la superbia! Vi do una similitudine per farmi capire, altrimenti non ho parole come manifestarmi. Immaginate un re e ai piedi di detto re un verme, che sollevandosi e gonfiandosi s'incomincia a credere qualche cosa e che giunge a tale audacia che, sollevandosi a poco a poco giunge alla testa del re e gli vuol togliere la corona per mettersela sopra della sua testa, poi lo spoglia delle sue vestimenta regali, dopo lo caccia dal trono ed infine cerca d'ucciderlo. Ma quello che è più di questo verme, che lui stesso non conosce il suo essere, tanto s'illude, e che per disfare lui non ci vuole altro che il re se lo metta sotto dei piedi e lo schiacci, e così finisce i suoi giorni. Cosa in vero che muove a sdegno ed a compassione, ed insieme a ridicolaggine l'orgoglio di questo verme, se ciò si potesse fare.
Tale mi vedevo io innanzi a Dio, cosa che mi riempì di tale confusione e dolore che mi sentivo rinnovare nel mio cuore lo strazio che soffriva il benedetto Gesù.
Dopo ciò mi lasciò, ed io mi sentivo tal pena e comprendevo tanto brutto questo peccato di superbia, ch'è impossibile descriverlo. Quando ebbi ruminato ben ben tutto ciò in me stessa, il mio buon Gesù ritornò e mi disse che seguitassi la confessione delle mie colpe, ed io tutta tremando seguitai a fare l'accusa dei pensieri, parole, opere, cause ed omissioni; e quando mi vedeva che non potevo seguitare a fare la confessione per la pena che sentivo d'averlo tanto offeso, perché avevo una chiarezza sì viva innanzi a quel Sol Divino, specialmente ché vi scorgevo la piccolezza, la nullità dell'essere mio e restavo stupita come avevo avuto tanto ardire, da dove avevo preso quel coraggio d'offendere un Dio sì buono che, nell'atto stesso che l'offendevo lui mi assisteva, mi conservava, mi alimentava e, se ci aveva qualche rancore con me, era al peccato che facevo, che odiava sommamente, ché a me mi amava immensamente, mi scusava innanzi alla Divina Giustizia e tutto s'occupava per togliere quel muro di divisione che aveva prodotto il peccato tra l'anima e Dio.
Oh! se tutti potessero vedere chi è Dio e chi è l'anima nell'atto che si pecca, tutti morrebbero di dolore e credo che il peccato verrebbe ad essere esiliato dalla terra!
Quindi, quando Gesù benedetto vedeva che per la pena non ne potevo più, si ritirava e mi lasciava ben ben farmi comprendere il male che avevo fatto, e dopo ritornava di nuovo e continuavo l'accusa delle mie colpe.
Ma chi può dire tutto ciò che compresi e spiegare uno per uno i diversi affronti ed i speciali dolori che colle mie colpe avevo recato a Nostro Signore. mi sento quasi impossibilitata a spiegarmi e pure perché non tanto ricordo bene.
Onde quando ebbi finito l'accusa che durò circa sette ore, l'amabile Gesù prese l'aspetto di Padre amorosissimo; e siccome io mi trovavo sfinita di forze per il dolore e molto più ché vedevo che non era dolore bastante per dolermi come si conveniva delle mie colpe, lui per rincorarmi mi disse: «Voglio supplire Io per te, ed applico all'anima tua il merito del dolore che ebbi nell'Orto del Getsemani. Questo solo può soddisfare alla Divina Giustizia». Dopo che applicò all'anima mia il suo dolore, allora mi parve d'essere disposta per ricevere l'assoluzione.
Tutta umiliata e confusa com'ero e prostrata ai piedi del buon Padre Gesù, coi raggi che tramandava nella mia mente, cercavo d'eccitarmi maggiormente al dolore col dire, sebbene non ricordo tutto: «Grande, sommo è stato il male che ho fatto verso di voi. Queste potenze mie e questi sensi del corpo dovevano essere tante lingue come lodarvi, ah! invece sono state come tante vipere velenose che vi mordevano e cercavano anche d'uccidervi! Ma, Padre Santo, perdonami, non vogliate discacciarmi per il gran torto che ti ho fatto peccando».
E Gesù: «E tu, prometti di non più peccare, di sbandire dal tuo cuore ogni ombra di male che potrebbe offendere il tuo Creatore?».
Ed io: «Ah! sì, con tutto il cuore, ve lo prometto! Voglio piuttosto mille volte morire che mai più peccare; mai più, mai più!». E Gesù: «Ed Io ti perdono ed applico all'anima tua i meriti della mia Passione e voglio lavarla nel mio Sangue».
E mentre così diceva, alzò la benedetta destra e pronunziò le parole dell'assoluzione, precise alle parole che dice il sacerdote quando dà l'assoluzione, e, nell'atto che ciò faceva, dalla sua mano scorreva un fiume di Sangue e l'anima mia ne restava tutta inondata.
fonte audio: yahoo/group/ladivinavolonta