Luisa si vede costretta a starsene a letto per periodi di tempo; si accentua l’impossibilità di mangiare. Viene chiamato per la prima volta il confessore, il quale la libera dallo stato d’impietrimento.

Dopo che passai qualche tempo in questo stato detto di sopra, cioè circa sei o sette mesi, le sofferenze si accrebbero di più, tanto che fui costretta a starmene nel letto. Spesso si moltiplicava quello stato di perdere i sensi, quasi che non avevo neppure un'ora libera; mi ridus­si ad uno stato di estrema debolezza, la bocca si strinse in modo che non la potevo aprire affatto, ed in qualche momento libero che avevo, appena qualche goccia di qualche bevanda potevo prendere, se pure mi riusciva, e poi ero costretta a rimetterla per i continui vomiti (che ho avuto sempre). Dopo che stetti circa diciotto giorni in que­sto stato continuo, si mandò a chiamare il confessore per confessarmi. Quando venne il confessore mi trovò in quello stato d'assopimento. Quando mi riebbi, mi domandò che cosa avessi; gli dissi solamente (tacendo tutto il resto, e siccome allora continuavano gli strapazzi dei demoni e le visite di Nostro Signore): «Padre, è il demonio». Lui mi dis­se: «Non aver paura, che non è il demonio, e se è lui, il padre ti libera».

Così, dandomi l'ubbidienza e segnandomi con la croce ed aiutan­domi a sciogliere le braccia, ché mi sentivo tutto il corpo impietrito come se fosse divenuto tutto un pezzo, gli riuscì di restituirmi il moto alle braccia [e] di farmi aprire la bocca che prima era divenuta immo­bile a tutto. Questo io l'attribuii alla santità del mio confessore, che veramente era un santo sacerdote; e lo tenni quasi per un miracolo, tanto che dicevo fra me stessa: «Vedi, ero preparata a morire».

Ché in realtà mi sentivo male, e se avessi durato quello stato io credo che lasciavo la vita. Sebbene ricordo che ero rassegnata e che quando mi vidi libera provavo un certo rincrescimento che non ero morta.

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