Libro di Cielo - Volume 19°

Agosto 8, 1926 (45)

Quanto più l’anima sta immedesimata con Dio, tanto più prende e dà. Esempio tra il mare ed il fiumicello.

Trovandomi nel solito mio stato, mi sentivo tutta abbandonata nelle braccia di Gesù e lui, movendosi nel mio interno, mi ha detto:

“Figlia mia, quanto più l’anima sta immedesimata con me, tanto più io posso darle e lei può prendere da me. Succede come tra il mare ed il fiumicello diviso dal mare da una sola parete, tanto che, se si togliesse la parete, il mare e il fiumicello diventerebbero un sol mare. Ora se il mare straripa, il fiumicello essendo vicino riceve l’acqua del mare; se le onde fragorose s’innalzano, nell’abbassarsi scaricano nel fiumicello vicino. L’acqua del mare si riversa per mezzo delle fessure della parete, sicché il piccolo fiumicello riceve sempre dal mare, e siccome esso è piccolo si gonfia sempre e ridà al mare l’acqua ricevuta per riceverla di nuovo. Ma ciò succede perché il fiumicello sta vicino al mare, ma se stesse lontano, né il mare potrebbe dare né esso ricevere. La lontananza lo metterebbe in condizione di neppure conoscere il mare”.

Ma mentre ciò diceva, faceva vedere l’atto pratico, innanzi alla mia mente, del mare e del fiumicello, ed ha ripreso a dire: “Figlia mia, il mare è Dio, il piccolo fiumicello è l’anima, la parete che divide l’uno e l’altro è l’umana natura, che fa distinguere Dio e la creatura. Gli straripamenti e le onde che continuamente s’innalzano per scaricare nel fiumicello, è la mia Volontà Divina, che vuol tanto dare alla creatura per fare che il piccolo fiumicello riempiendosi e gonfiandosi straripi, formi le sue onde, che gonfiate dal vento della Suprema Volontà si riversano nel mare divino, per riempirsi di nuovo, in modo che può dire: ‘Faccio la vita del mare e, sebbene sono piccolo, anch’io faccio ciò che esso fa, straripo, formo le onde, m’innalzo e cerco di dare al mare ciò che esso mi dà.

Sicché l’anima che sta immedesimata con me, si fa dominare dalla mia Volontà, è la ripetitrice degli atti divini. Il suo amore, le sue adorazioni, le sue preci e tutto ciò che fa, è lo sbocco di Dio che riceve per poter ridire: ‘È il tuo amore che ti ama, le tue adorazioni che ti adorano, le tue preci che ti pregano; è la tua Volontà che investendomi mi fa fare ciò che fai tu per ridartelo come cose tue”.

Gesù ha fatto silenzio, ma poi, come preso da un’enfasi irresistibile d’amore, ha soggiunto: “O potenza della mia Volontà, quanto sei grande! Tu sola unisci l’Essere più grande, più alto, con l’essere più piccolo e più basso e ne formi uno solo. Tu sola hai la virtù di svuotare la creatura di tutto ciò che a te non appartiene, per poter coi tuoi riflessi formare in lei quel sole eterno, che coi suoi raggi riempiendo cielo e terra va a confondersi col sole della Maestà Suprema. Tu sola tieni questa virtù di comunicare la forza suprema, in modo da potersi, con la tua forza, innalzare la creatura a quell’atto solo del Dio Creatore.

Ah, figlia mia, la creatura, quando non vive nell’unità della mia Volontà, perde la forza unica e resta come disunita da quella forza che riempie cielo e terra e sostiene tutto l’universo come se fosse la più piccola piuma. Ora quando l’anima non si fa dominare dalla mia Volontà, perde la forza unica in tutte le sue azioni; quindi tutti i suoi atti, non uscendo da una forza sola, restano divisi tra loro: diviso l’amore, separata l’azione, disgiunta la preghiera. Sicché tutti gli atti della creatura, essendo divisi, sono poveri, meschini, senza luce. Sicché la pazienza è povera, la carità è debole, l’ubbidienza è zoppa, l’umiltà è cieca, la preghiera è muta, il sacrifizio è senza vita, senza vigore, perché mancando la mia Volontà manca la forza unica, che unendo tutto dà la stessa forza a ciascun atto della creatura. E perciò non solo [gli atti della creatura] restano divisi tra loro, ma restano viziati dalla volontà umana e perciò restano ognuno col suo difetto.

Ciò successe ad Adamo. Col sottrarsi dalla Volontà Suprema perdette la forza unica del suo Creatore, e restando con la sua forza umana limitata sentiva lo stento del suo operare; molto più che la forza che metteva nel compiere un’azione lo debilitava, e dovendo far[n]e un’altra non si sentiva la stessa forza. Sicché toccò con mano la povertà delle sue azioni, che non avendo la stessa forza non solo erano diverse, ma ognuna aveva il suo difetto.

Successe come ad un ricco signore che possiede proprietà estesissima. Fino a tanto che questa è di un solo padrone, lui sfoggia, sfoggia, fa grandi opere; chi sa quanti servi mantiene sotto di lui, e dalle grandi rendite che ricava fa sempre nuovi acquisti. Ma supponi che questa proprietà fosse divisa con altri eredi, ecco è già perduta la sua grande forza né più può sfoggiare come prima né fare nuovi acquisti; si deve limitare nelle spese, i suoi servi sono pochi, sicché la sua grandezza, la sua signoria è svanita, appena gli restano le tracce.

Così successe ad Adamo. Col sottrarsi dalla mia Volontà perdette la forza unica del suo Creatore, e con ciò perdette la sua signoria, il suo dominio, né più sentiva la forza di sfoggiare nel bene. E così succede per chi non è del tutto abbandonato in braccio alla mia Volontà, perché con essa la forza del bene si converte in natura e la povertà non esiste”.

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