Libro di Cielo - Volume 18°

Dicembre 25, 1925 (18) 

Il vivere nel Voler supremo è la cosa più grande, è il vivere vita divina.

Stavo pensando a ciò che sta detto sopra, che la Volontà di Dio è un dono, e perciò come dono si possiede come cosa propria; invece chi fa la Volontà di Dio deve stare ai comandi, deve domandare spesso spesso che cosa deve fare, e [a] chi s’impresta il dono, non [è] per essere[1] padrone, ma per fare la stessa azione che Dio vuole, finita la quale, restituisce il dono che ha preso in prestito. Nella mia mente si facevano tante immagini e similitudini tra chi vive nel Voler Divino e lo possiede come dono, e tra chi fa la Santissima Volontà di Dio, che non solo non possiede la pienezza del dono, e se la possiede è ad intervallo ed a imprestito. Ne dico qualcuna di quelle similitudini.

Supponevo che avessi una moneta d’oro che avesse la virtù di far sorgere quante monete io volessi. Oh! Quanto mi potrei far ricca con questo dono! Invece un’altra lo riceve in prestito questo dono, per un’ora, o per espletare una sua azione, per restituirlo subito. Che differenza tra la mia ricchezza per il dono che posseggo e tra quella che[2] lo riceve ad imprestito!

Oppure, se avessi avuto in dono una luce che non si smorza mai, sicché di notte, di giorno, io sono al sicuro, ho sempre il bene di possedere questa luce che nessuno mi può togliere: si rende con me come connaturale, e mi dà il bene di conoscere il bene per farlo e il male per fuggirlo; sicché, con questa luce donatami in dono, io mi schernisco di tutti, del mondo, del nemico, delle mie passioni, e fin di me stessa; quindi questa luce è per me sorgente perenne di felicità: è senz’arma e mi difende, è senza voce e m’insegna, è senza mani e piedi, e dirige la mia via e si fa guida sicura di[3] portarmi al cielo. Invece un’altra, quando sente bisogno, deve andarla a chiedere questa luce, quindi non la tiene a sua disposizione; abituata a non guardare sempre insieme colla luce, non possiede la conoscenza del bene e del male, e non tiene forza sufficiente per fare il bene ed evitare il male. Onde, non possedendo la luce accesa, continuata, in quanti inganni, pericoli e vie strette non si trova? Che differenza [tra] chi la possiede come dono suo, questa luce, e tra chi la deve andare a chiedere quando gli bisogna!

Ora, mentre la mia mente si perdeva in tante similitudini, dicevo tra me: “Sicché il vivere nella Volontà di Dio è possedere la Volontà di Dio, e questo è un dono; quindi, se la bontà di Dio non si compiace di darlo, che può fare la povera creatura?”

In questo mentre il mio amabile Gesù si è mosso nel mio interno, come stringendomi tutta a sé, e mi ha detto: “Figlia mia, è vero che il vivere nel mio Volere è un dono, ed è il possedere il dono più grande, ma questo dono, che contiene valore infinito, che è moneta che sorge ad ogni istante, che è luce che mai si smorza, che è sole che mai tramonta, che mette l’anima al suo posto stabilito da Dio nell’ordine divino, e quindi [l’anima] prende il suo posto d’onore e di sovranità nella creazione, non si dà se non a chi è disposto, a chi non deve farne sciupio, a chi deve tanto stimarlo ed amarlo più che la vita propria, anzi essere pronta a sacrificare la propria vita, per fare che questo dono del mio Volere avesse la supremazia su tutto, e fosse tenuto in conto più della stessa vita, anzi la sua vita un nulla al confronto di esso. Perciò, prima voglio vedere l’anima che vuol fare davvero la mia Volontà e mai la sua, pronta a qualunque sacrificio per fare la mia; in tutto ciò che fa chiedermi sempre, anche come imprestito, il dono del mio Volere. Ond’io, quando veggo che nulla fa se non coll’imprestito del mio Volere, le[4] do come dono, perché col chiederlo e richiederlo ha formato il vuoto nell’anima sua, dove mettere questo dono celeste, e coll’aversi[5] abituata a vivere ad imprestito di questo cibo divino, ha perduto il gusto del proprio volere, il suo palato si è nobilitato e non si adatterà ai cibi vili del proprio io; quindi, vedendosi in possesso di quel dono che lei tanto sospirava, agognava ed amava, vivrà della vita di quel dono, lo amerà e ne farà la stima che merita.

Non condanneresti tu un uomo che, preso d’affetto puerile verso un fanciullo, sol perché gli stesse un poco intorno, trastullandosi insieme, gli desse una carta da mille, ed il bambino, non conoscendo il valore, dopo pochi minuti la fa in mille pezzi? Ma se invece prima la fa desiderare, poi ne fa conoscere il valore, dopo, il bene che gli può fare quella carta da mille, e poi gliela dà, quel fanciullo non la farà in pezzi, ma l’andrà a chiudere sotto chiave, apprezzando il dono ed amando di più il donatore, e tu loderesti quell’uomo che ha avuto l’abilità di far conoscere il valore della moneta al piccolo fanciullo. Se ciò fa l’uomo, molto più io che do i miei doni con saggezza e con giustizia e con vero amore. Ecco, perciò, la necessità delle disposizioni, della conoscenza del dono e della stima ed apprezzamento, e dell’amare lo stesso dono. Perciò, come foriera del dono che voglio fare alla creatura, della mia Volontà, è la conoscenza di Essa. La conoscenza prepara la via. La conoscenza è come il contratto che voglio fare del dono che voglio dare; e quanta più conoscenza invio all’anima, tanto più viene stimolata a desiderare il dono ed a sollecitare il Divin Scrittore, di mettere l’ultima firma come il dono è suo e lo possiede. Onde il segno che voglio fare questo dono del mio Volere in questi tempi, è la conoscenza di esso. Quindi, sii attenta e non farti sfuggire nulla di ciò che ti manifesto sulla mia Volontà, se vuoi che io ci metta l’ultima firma del dono che sospiro di dare alle creature”.

Dopo di ciò, la mia povera mente si sperdeva nel Voler supremo, e facevo quanto più potevo di[6] fare tutti i miei atti nella Divina Volontà; mi sentivo investita d’una luce suprema, ed i miei piccoli atti, come uscivano da me, prendevano posto in quella luce e si convertivano in luce, ed io non potevo vedere né nel punto della luce che[7] li avevo fatti, né dove trovarli; vedevo solo che si erano incorporati in quella luce interminabile e non più[8], ed a me riusciva impossibile poter navigare in tutta quella luce inaccessibile; starmi dentro sì, ma valicarla tutta non era dato alla mia piccolezza.

In questo mentre il mio amabile Gesù si è mosso nel mio interno e mi ha detto: “Figlia mia, com’è bello l’operato dell’anima nella mia Volontà! Il suo atto si unisce a quell’atto solo del suo Creatore che non conosce successione di atti, perché la luce eterna non è divisibile, e se si potesse dividere, ciò che non può essere, la parte divisa diventerebbe tenebre. Sicché l’atto divino, essendo luce di tutto il suo operato, forma un solo atto. Onde l’anima, operando nella luce del mio Volere, si unisce a quell’atto solo del suo Creatore e prende posto nell’ambito della luce della eternità. Perciò non puoi vederli i tuoi atti, né nella parte della luce dove li hai fatti, né dove si trovano, perché la luce eterna di Dio, per la creatura, è invalicabile, [è impossibile] di poterla tutta valicare; ma [la creatura] sa certo che il suo atto c’è in quella luce, e prende posto nel passato, nel presente, nel futuro.

Vedi, anche il sole, essendo lui immagine ed ombra della luce divina, tiene in parte questa proprietà. Supponi che tu operassi in quel punto dove il sole spande la sua luce solare: tu vedi la sua luce avanti, sopra e dietro di te, a destra e a sinistra, quindi, se tu volessi vedere quale è stata la parte della luce del sole che tutta ti circonda, tu non la sapresti trovare, né distinguere; sapresti dire solo che la luce certo era sopra di te. Ora, quella luce stava fin dal primo istante che fu creato il sole, sta e starà. Se il tuo atto potesse convertirsi in luce solare come si converte in luce divina, potresti trovare la tua particella di luce e la luce che ti è stata data dal sole per farti operare? Certo che no; ma sai però che da te è uscito un atto che si è incorporato nella luce del sole. Perciò dico che il vivere nel Voler supremo è la cosa più grande, è il vivere vita divina. Il celeste Creatore, come vede l’anima nella sua Volontà, la prende fra le sue braccia e, ponendola nel suo seno, la fa operare colle stesse sue mani e con quella potenza di quel Fiat con cui furono fatte tutte le cose; fa scendere sulla creatura tutti i suoi riflessi per darle la somiglianza del suo operato. Ecco, perciò, l’operato della creatura diventa luce, si unisce a quell’atto solo del suo Creatore e si costituisce gloria eterna e lode continua del suo Creatore. Perciò sii attenta e fa che il vivere nel mio Volere sia per te il tuo tutto, affinché mai potessi[9] scendere dalla tua origine, cioè dal seno del tuo Creatore”.

 



[1] perché sia

[2] di chi

[3] per

[4] glielo

[5] essersi

[6] per

[7] in cui

[8] niente altro

[9] possa

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