Libro di Cielo - Volume 18°

Novembre 1, 1925 (10) 

La pena della privazione d’un Dio è la più grande.

Ho passato giorni amarissimi, priva del mio dolce Gesù; il pensiero di non più vederlo mi martellava il mio povero cuore, come sopra l’incudine, a colpi crudeli di martello, ripetuti. Ah! Gesù, mi hai messo in un inferno vivente, anzi le mie pene superano le stesse pene infernali. Ahi, i dannati non ti amano, e siccome manca il germe dell’amore, fuggono da te, né sospirano il tuo amplesso; le loro pene si rincrudirebbero di più con la tua presenza: un amore odiato non sopporta la presenza della persona che [esso] odia, perciò, per loro è più sopportabile la tua privazione; ma per me infelice, tutto al contrario: io ti amo, sento il germe dell’amore fin nelle mie ossa, nei nervi, nel sangue. Ah! Non ti ricordi che coll’essere vissuti per ben quarant’anni insieme, tu mi riempivi di te le ossa, i nervi, il sangue, tutta me stessa? Io mi sentivo come una veste che ti copriva e ti nascondeva in me; ed ora, priva di te, mi sento svuotata di tutto, sicché le mie ossa gridano, i miei nervi, il mio sangue, gridano che vogliono colui che li riempiva. Sicché dentro di me è un grido continuo che mi lacera, mi strazia, che vuole te che riempivi la mia vita. Vedi dunque quanti strappi crudeli soffre la mia povera esistenza? Ah! Nell’inferno non ci sono queste pene atroci, questi strappi crudeli, questo svuoto[1] d’un Dio posseduto ed amato. Ah! Gesù, ritorna a chi ti ama, ritorna all’infelice dell’infelice[2], ma resa infelice solo per te, solo per causa tua; ah! lo posso dire, tu solo mi hai resa infelice, altre infelicità io non conosco.

Ora, mentre nuotavo nel mare amaro della privazione del mio Gesù, mi son messa a considerare le pene del cuore del mio Gesù per farne un confronto con le pene del povero mio cuore, ma invece di trovare un conforto nelle pene di Gesù, le mie pene più si rincrudivano, pensando tra me che le mie pene superavano le pene del mio Gesù, perché le pene del cuore di Gesù, per quanto grandi, erano pene dategli dalla creatura, e se queste, ingrate, lo offendono e fuggono da lui, sono sempre creature finite, non l’Essere infinito; invece per me sono pene che mi dà un Dio, non è una creatura che mi fugge, ma è un Dio, l’Essere infinito. Gesù non ha un altro Dio che lo può lasciare, né può averlo, quindi non può soffrire la pena che oltrepassa ogni pena, d’essere priva[3] d’un Dio. Invece la mia pena d’essere priva d’un Dio è grande, è infinita, per quanto è grande e infinito Dio. Ah! Il suo cuore trafitto non ha sofferto questa pena, e manca la trafittura della pena della privazione divina al suo cuore trafitto. E poi, per quanto le creature gli danno pena, il mio Gesù non perde mai la sua sovranità, il suo dominio anche su quelli che l’offendono, né l’impicco­liscono, né lo scoloriscono; nulla perde di quello che è, è sempre dominante su tutto, è sempre l’Essere eterno, immenso, infinito, amabile e adorabile. Invece io non ho sovranità, né dominio, e con l’essere priva di Gesù, mi impicciolisco, mi scolorisco, mi sento risolvere nel nulla, divento nauseante ed insopportabile anche a me stessa. Vedi dunque, o Gesù, come le mie pene sono più grandi delle tue. Ah! Tu sai le pene che ti danno le creature, ma non sai le pene che può dare un Dio, e quanto pesa la tua privazione.

La mia povera mente spropositava, sentivo che non c’è pena che può stare a confronto della pena della privazione di Gesù, è una pena senza principio e senza fine, incalcolabile ed irrimediabile. Qual è Gesù, tale si rende la pena. Il mio povero cuore era affogato e senza vita, e per non più spropositare, mi son sforzata di non più confrontare le mie pene con quelle di Gesù, ma di passare ad altro; solo pregavo che mi desse la forza e, siccome la pena della sua privazione era tanto grande, ed aveva un suono misterioso e divino che non hanno le altre pene ed un peso che supera il peso di tutte le altre pene insieme, che per bontà sua accettasse la mia pena, ed in vista di questa mi desse la grazia più grande, che tutti conoscessero la sua Santissima Volontà, e col suo suono misterioso e divino risuoni in tutti i cuori e chiami tutti a compiere la Santissima Volontà, schiacciando col suo peso la volontà umana, le passioni, il peccato, affinché tutti ti conoscano, ti amino e comprendano che significhi la perdita d’un Dio. Ma chi può dire tutto ciò che pensavo? Sarei troppo lunga, anzi, avrei voluto passare tutto in silenzio e non affidare alla carta i miei segreti, ma l’ubbidienza si è imposta ed ho dovuto dire: “Fiat”.

Onde, mi sentivo sfinita e non ne potevo più; ed il mio dolce Gesù, avendo di me compassione, è uscito da dentro il mio interno, tutto affannato, con la bocca tutta piena di sangue, ed era tanto il sangue che gli impediva la parola; ma col suo sguardo mesto mi chiedeva aiuto. Innanzi alle pene di Gesù ho dimenticato le mie, anzi, stando lui, io non avevo più pena, e l’ho pregato che soffrissimo insieme. Quindi, dopo aver sofferto un poco insieme, il sangue della bocca si è arrestato, e [lui,] guardandomi il modo come ero ridotta per la sua privazione, mi stringeva a sé, si stendeva in me per riempirmi di lui, e poi mi ha detto: “Povera figlia, come ti sei ridotta. Hai ragione, la pena della privazione d’un Dio è la più grande, e siccome è grande, ci voleva tutta la forza della mia Volontà a sostenerti. Ma tu non sai che significa soffrire nella mia Volontà. Dovunque c’era la mia Volontà, correva la tua pena, in terra, in cielo, nei santi ed angioli; e come giungeva, tutti si mettevano in atto di guardarti e di aiutarti, sicché tutti erano rivolti a te, e se il paradiso fosse capace di pena, avrebbero cambiato in dolore tutte le loro gioie e felicità, ma non essendo capace di pena, tutti imploravano grazie pel ricambio d’una pena sì grande. Quindi, le pene dell’anima che vive nella mia Volontà sono la croce di tutti, che soddisfano per tutti e convertono in celeste rugiada il furore della giustizia divina. Perciò fatti coraggio, e non voler mai uscire dalla mia Volontà”.

Io son rimasta confusa, aspettavo da Gesù un rimprovero ai miei spropositi, ma nulla, e siamo restati in perfetta pace.

 



[1] svuotamento

[2] degli infelici

[3] privo

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