Libro di Cielo - Volume 4°

Ottobre 15, 1900 (20)

Lotta tra il confessore e Gesù per la crocifissione di Luisa.

Questa mattina avendo fatto la comunione il benedetto Gesù mi ha fatto sentire la sua voce che diceva:

“Figlia mia, questa mattina mi sento tutta la necessità d’essere ristorato. Deh, prendi un po’ le mie pene sopra di te e lasciami riposare alquanto nel tuo cuore!”

Ed io: “Sì, mio Bene, fatemi sentire le tue pene, e così mentre io soffro in vece tua, avrete tutto l’agio di potervi ristorare e prendere un dolce riposo; solo vi chiedo che indugiate un altro poco finché resto sola, perché mi pare che stia il confessore ancora, acciò nessuno mi possa vedere soffrire”.

E lui: “Che fa che stia il padre presente, non sarebbe meglio che invece d’averne uno a ristorarmi ne avessi due? Cioè, tu soffrendo e quello concorrendo meco con la stessa mia intenzione?”

In questo mentre ho visto il confessore che metteva l’intenzione della crocifissione, ed il Signore subito, senza il minimo indugio mi ha partecipato le pene della croce. Onde dopo essere stata un poco in quelle sofferenze il confessore mi ha chiamato all'ubbidienza, Gesù si è ritirato ed io cercavo di sottopormi a chi mi comandava. Quando in un istante di nuovo è venuto il mio dolce Gesù che mi voleva sottoporre la seconda volta alla pene della crocifissione, ed il padre non voleva; ed io quando mi uniformavo con Gesù, cioè a soffrire, Gesù veniva; quando il confessore vedeva che incominciavo a soffrire [e] con l’ubbidienza arrestava il patire, Gesù si ritirava. Soffrivo ben sì una pena grande nel vederlo ritirarsi, ma facevo quanto più potevo per ubbidire, e delle volte siccome il confessore lo vedevo presente lasciavo fare a loro, aspettando chi doveva vincere, l’ubbidienza o Nostro Signore. Ah, mi pareva di veder lottare l'ubbidienza e Gesù, tutti e due potenti, abili a poter affrontare una lotta. Dopo che hanno lottato ben bene, nell'atto di vedere chi vinceva, è venuta la Regina Mamma che avvicinandosi al padre gli ha detto:

“Figlio mio, stamattina che vuole lui stesso che soffra, lascialo fare, altrimenti non sarete risparmiati neppure in parte dai castighi”.

In quel momento il padre [era] come se fosse distratto a sostenere la lotta, e Gesù vincitore mi ha sottoposto di nuovo alle pene, ma con tale veemenza ed acerbi spasimi che non so io stessa come sono rimasta viva; quando mi credevo di morire l’ubbidienza di nuovo mi ha richiamato e per poco mi son trovata in me stessa. Ristorandosi il benedetto Gesù, ma non contento ancora, ritornando voleva ripetere [per] la terza volta, ma l'ubbidienza armandosi di fortezza questa volta si è fatta vincitrice, perdendo il mio diletto Gesù. Con tutto ciò di tanto in tanto cercava, chi sa potesse vincere lui di nuovo, tanto che non mi dava requie ed ho dovuto dire:

“Ma Signor mio, state un po’ quieto e lasciatemi in pace; non vedete che l’ubbidienza si è messa in armi e non ve la vuol cedere? Perciò abbiate pazienza e se volete ripetere la terza volta promettetemi di farmi morire”.

E Gesù: “Sì, vieni”.

L’ho detto al padre, ed anche in questo l’ubbidienza si è resa inesorabile, ad onta che il mio dolce Bene mi chiamava col dirmi:

“Luisa, vieni”.

Lo dicevo che mi chiama, ma mi era risposto un no reciso. Che bella ubbidienza è questa, siccome vuol fare in tutto e sopra tutto da signora, si vuol ficcare in cose che a lei non le appartiene qual è il morire; e poi bella cosa esporre una povera infelice ai pericoli di morire, farle toccare con mano il porto della felicità eterna, e poi per farsi vedere che sa fare in tutto da signora, a via di forza che possiede, la trattiene e la fa giacere nella misera prigione del corpo, e se si domanda perché tutto questo, primo non ti risponde e poi nel suo muto linguaggio ti dice: “Perché? Perché son signora ed ho impero su tutto”. Pare che se si vuol stare in pace con questa benedetta ubbidienza, ci vuole una pazienza da santo, non solo, ma quella dello stesso Nostro Signore; altrimenti si starà in continui attriti, perché si tratta che vuol toccare gli estremi. Onde vedendo che non poteva vincere niente, il benedetto Signore si è acquietato all'ubbidienza e mi ha lasciato in pace, mi ha mitigato le pene che soffrivo e mi ha detto:

“Diletta mia, nelle pene che hai sofferto ho voluto farti provare il furore della mia giustizia, col versarla un poco sopra di te. Se tu potessi vedere con chiarezza il punto dove l’hanno fatto giungere gli uomini e come il furore della mia giustizia si è armata contro di essi, tu tremeresti verga a verga, e non faresti altro che pregarmi che piovessero sopra di te le pene”.

Onde pareva che mi sostenesse nelle mie sofferenze e per rincorarmi mi diceva: “Io mi sento meglio, e tu?”

Ed io: “Ah, Signore, chi può dirvi quello che sento? Mi pare come se fossi stata stritolata dentro una macchina, provo tale sfinimento di forze che se voi non m'infondete vigore non posso riavermi”.

E lui: “Diletta mia, è necessario che almeno di tanto in tanto tu sentissi con intensità le pene; prima per te, perché per quanto buono fosse un ferro, se si lascia a lungo senza metterlo nel fuoco, sempre viene a contrarre qualche poco di ruggine; secondo per me: se a lungo non mi sgravassi sopra di te, il mio furore si accenderebbe in tal modo che non avrei nessun riguardo né gli[1] userei nessun risparmio, e se [tu] non prendessi sopra di te le mie pene, come potrei mantenerti la parola di risparmiare in parte il mondo dai castighi?”

Dopo ciò è venuto il confessore a chiamarmi all'ubbidienza, e così sono ritornata in me stessa.



[1] al mondo

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