Libro di Cielo - Volume 4°

Ottobre 10, 1900 (17)

Questi scritti manifestano a chiare note il modo come Gesù ama le anime. L’anima può uscire dal corpo solo per forza del dolore o dell’amore.

Mentre scrivevo, stavo pensando tra me: “Chi sa quanti spropositi in questi scritti; meritano essere gettati nel fuoco, se l’ubbidienza me lo concedesse lo farei, perché mi sento come un intoppo nell'anima, specie se giungessero a vista di qualche persona; in certi punti fanno vedere come se amassi e facessi qualche cosa per Dio, mentre non faccio niente e non l’amo e sono l'anima più fredda che possa trovarsi nel mondo, ed ecco che mi riterrebbero diversa da quello che sono, e questo è una pena per me. Ma siccome è l’ubbidienza che vuole che scriva essendo questo per me uno dei più grandi sacrifizi, perciò mi rimetto tutta a lei, con certa speranza che essa farà le mie scuse e giustificherà la mia causa presso Dio e presso gli uomini”.

Ma mentre ciò dico, il benedetto Gesù nel mio interno si è mosso e mi sta rimproverando e vuole che disdica ciò che ho detto, non volendo che continuassi a scrivere se ciò non facessi. Onde mi sta dicendo che col dire ciò mi sono partita dalla verità, essendo la cosa più essenziale di un’anima il non mai uscire dal circolo della verità:

“Come non mi ami tu? Con qual coraggio tu lo dici, non vuoi tu patire per me?”

Ed io tutta arrossendo: “Sì, Signore”.

E lui: “Ebbene come ti vieni ad uscire dalla verità?”

Detto ciò si è ritirato nel mio interno senza farsi più sentire, restando io come se avessi ricevuto una mazzata. Quante ne fa la signora ubbidienza, se non fosse per lei non mi troverei in questi cimenti col mio diletto Gesù; quanta pazienza ci vuole con questa benedetta ubbidienza! Onde riprendo a dire ciò che dovevo dire, avendomi il Signore un po’ distratta da ciò che ho incominciato; quindi nel venire il benedetto Gesù ha risposto al mio pensiero col dirmi:

“Sicuro che meritano d’essere bruciati questi tuoi scritti, ma vuoi sapere in qual fuoco? Nel fuoco del mio amore, perché non vi è pagina che non manifesti a chiare note il modo come amo le anime, tanto se son cose che riguardano te, tanto se riguardano il mondo, ed il mio amore in questi tuoi scritti trova uno sfogo ai miei preoccupati ed amorosi languori”.

Dopo ciò mi ha trasportato fuori di me stessa, ed [io] trovandomi sola senza corpo ho detto:

“Mio diletto ed unico bene, qual castigo è per me, dovendo ritornare tante volte nel mio corpo; perché è certo che adesso non lo tengo, è la sola anima che sta insieme con voi, e poi, non so come, mi trovo imprigionata nel misero mio corpo, come dentro un carcere tenebroso e lì ci perdo quella libertà che con l’uscire mi viene data. Non è questo un castigo per me, il più duro che dar si potesse?”

E Gesù: “Figlia mia, non è castigo quello che tu dici né per colpa tua che ciò ti succede; anzi devi sapere che solo per due ragioni l’anima può uscire dal corpo: per forza del dolore che[1] succede la morte naturale o per forza d’amore reciproco tra me e l’anima, perché essendo quest’amore tanto forte che né l’anima la durerebbe né io posso durarla a lungo senza godere di lei, perciò la vado tirando a me, e poi la rimetto di nuovo nel suo stato naturale, e l’anima più che da un filo elettrico tirata, va e viene come a me piace. Ecco che ciò che tu credi castigo è amore finissimo”.

Ed io: “Ah, Signore! Se il mio amore fosse bastante e forte, credo che avrei la forza di sussistere innanzi a voi, e non sarei soggetta di ritornare al corpo; ma siccome è molto debole, perciò son soggetta a queste vicende”.

E lui: “Anzi ti dico che è amore più grande, è estratto dall'amore del sacrifizio, che per amor mio e per amor dei tuoi fratelli ti privi e ritorni alle miserie della vita”.

Dopo ciò il benedetto Gesù mi ha trasportato ad una città, dove erano tante le colpe che si commettevano che usciva come una nebbia densissima, puzzolente che s'innalzava verso il cielo; e dal cielo scendeva un’altra nebbia folta e dentro vi stavano condensati tanti castighi che pareva che fossero bastanti a sterminare questa città, ond'io ho detto: “Signore dove ci troviamo? Che parti son queste?”

E lui: “Qui è Roma, dove son tante le nefandezze che si commettono non solo dai secolari, ma anche dai religiosi, che meritano che questa nebbia li finisca d'accecare, meritandosi il loro sterminio”.

In un istante ho visto il macello che ne succedeva e pareva che il Vaticano ricevesse parte delle scosse, non erano risparmiati neppure i sacerdoti; perciò tutta costernata ho detto: “Mio Signore, risparmiate la vostra prediletta città, tanti ministri tuoi, il Papa. Oh, quanto volentieri vi offro me stessa a soffrire i loro tormenti, purché li risparmiate!”

E Gesù commosso mi ha detto: “Vieni con me e ti farò vedere fin dove giunge la malizia umana”.

E mi ha trasportato dentro un palazzo, ed in una stanza segreta stavano cinque o sei deputati, e dicevano tra loro: “Allora ci arrenderemo, quando avremo distrutto i cristiani”, e pareva che volevano costringere il re a scrivere di proprio pugno il decreto di morte contro i cristiani e la promessa d’impadronirsi dei beni di questi, dicendo, purché consentiva loro, non faceva niente che non lo facevano per ora[2]: a tempo ed a circostanza opportuna, allora l’avrebbero fatto.

Dopo ciò, mi ha trasportato altrove e facevami vedere che doveva morire uno di quelli che si dicono capi, e questo tale pareva tanto unito col demonio che neppure a quel punto si scostava, tutta la sua forza la prendeva dai demoni, che lo corteggiavano come loro fido amico. I demoni nel vedermi si sono scossi, e chi mi voleva battere, e chi mi voleva fare una cosa e chi un’altra, io però nulla curando le loro molestie, perché mi costava più la salvezza di quell'anima, mi sono sforzata e sono giunta vicino a quell'uomo. Oh, Dio, che vista spaventevole, più degli stessi demoni! In che stato lacrimevole giaceva egli! Faceva più che pietà, [in] niente l’ha commosso la nostra presenza, anzi pareva che se ne facesse beffe. Gesù subito mi ha tirato da quel punto ed io ho cominciato a perorare presso Gesù la salvezza di quell'anima.

 


[1] al quale

[2] dicendo, purché consentiva loro, non faceva niente che non lo facevano per ora cioè: dicendo che, purché egli avesse acconsentito, non era importante che essi non agissero per ora

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