Libro di Cielo - Volume 4°

Ottobre 4, 1900 (16)

Gesù soffre a castigare l’uomo, perché sono sue immagini.

Dopo aver passato un giorno di privazione e di scarso patire, mi sentivo convinta che il Signore non voleva più tenermi in questo stato, ma però l’ubbidienza anche in questo non me la vuol cedere e vuole che continui a starmene, dovessi crepare e schiattare. Sia sempre benedetto il Signore ed in tutto sia fatto il suo Santo ed amabile Volere. Onde questa mattina nel venire il benedetto Gesù si faceva vedere in uno stato compassionevole; pareva che soffriva nelle sue membra, ed il suo corpo veniva fatto in tanti pezzi ch'era impossibile numerarli; con lamentevole voce diceva:

“Figlia mia, che mi sento, che mi sento; sono pene inenarrabili ed incomprensibili all'umana natura; sono carni dei miei figliuoli che vengono lacerate, ed è tanto il dolore che sento, che mi sento lacerare le mie stesse carni!”

E mentre ciò diceva gemeva e si doleva. Io mi sentivo intenerire nel vederlo in questo stato ed ho fatto quanto ho potuto a compatirlo ed a pregarlo che mi partecipasse le sue pene. Mi ha contentato in parte, ed appena ho potuto dirgli: “Ah, Signore, non ve lo dicevo io: ‘Non mettete mano ai castighi, che quello che più mi dispiace [è] che resterete colpito nelle vostre stesse membra’? Ah, questa volta non c’è stato modo né preghiere come placarvi!”

Ma Gesù non ha dato retta alle mie parole, pareva che avesse una cosa seria nel cuore che lo tirava altrove, ed in un istante mi ha trasportato fuori di me stessa portandomi in luoghi dove succedevano stragi di sangue. Oh, quante viste dolorose si vedevano nel mondo, quante carni umane tormentate, fatte a pezzi, calpestate come si calpesta la terra e lasciate insepolte; quante disgrazie, quante miserie, e quello ch'era più, altre più terribili che devono succedere! Il benedetto Signore ha guardato, e tutto commuovendosi si è messo a piangere amaramente. Io non potendo resistere ho pianto insieme [a lui] la triste condizione del mondo, tanto che le mie lacrime si mescolavano con quelle di Gesù. Dopo aver pianto un buon pezzo, ho ammirato un altro tratto della bontà di Nostro Signore. Per farmi cessare dal piangere, ha voltato la sua faccia da me, di nascosto si è asciugato le lacrime e poi voltandosi di nuovo, con volto ilare mi ha detto:

“Diletta mia, non piangere, basta, basta, ciò che tu vedi serve ad iustificare iustitiam meam”.

Ed io: “Ah Signore, dico bene che non è più Volontà vostra il mio stato; a che pro il mio stato di vittima se non mi è dato di risparmiare le tue carissime membra? D’esentare il mondo da tanti castighi?”

E lui: “Non è come tu dici, anch'io fui vittima, e con l’essere vittima non mi venne dato di risparmiare il mondo da tutti i castighi. Gli aprii il cielo, lo sciolsi dalla colpa sì, portai sopra di me le sue pene, ma è giustizia che l’uomo riceva sopra di sé parte di quei castighi che lui stesso si attira peccando. E se non fosse per le vittime, meriterebbe non solo il semplice castigo, ossia la distruzione del corpo, ma anche la perdita dell’anima; ed ecco la necessità delle vittime, che chi se ne vuole avvalere, perché l’uomo è sempre libero nella sua volontà, può trovare il risparmio della pena ed il porto della sua salvezza”.

Ed io: “Ah, Signore, quanto me ne vorrei venire prima che più s’inoltrassero questi castighi!”

E lui: “Se il mondo giunge a tale empietà da non meritare nessuna vittima, sicuro che ti porterò”.

Nel sentire ciò ho detto: “Signore, non permettete che rimanga di qua, ad assistere a scene sì dolorose”.

E Gesù quasi rimproverandomi ha soggiunto: “Invece di pregarmi che risparmiassi [il mondo], tu dici che te ne vuoi venire? Se io portassi tutti i miei, del povero mondo che ne sarebbe? Certo che non avrei più che ci fare[1] e non l’avrei[2] più nessun riguardo”.

Dopo ciò ho pregato per varie persone; lui mi è scomparso ed io sono ritornata in me stessa.



[1] più che ci fare, cioè: più a che fare con lui

[2] l’avrei, cioè: avrei per lui

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