Libro di Cielo - Volume 3°

Giugno 24, 1900 (86)

La sola croce è l’alimento dell’umiltà

Dopo aver passato qualche giorno di privazione, al più si è fatto vedere ad ombra ed a lampo, però tutte le mie potenze me le sentivo tutte addormentate, in modo che io stessa non capivo ciò che succedeva nel mio interno. In questo assonnamento, una sola pena si destava nel mio interno ed era che mi pareva di essermi accaduto come a colui che mentre dorme perde la vista ovvero viene spogliato di tutte le sue ricchezze; onde il misero non può dolersi né difendersi né usare qualche mezzo per liberarsi dai suoi infortuni. Poveretto, in che stato compassionevole si trova! Ma quale la causa? Il sonno, perché se fosse desto si saprebbe certo ben difendere dalle sue sventure. Tale è il mio misero stato; non mi vien dato neppure di mandare un gemito, un sospiro, di versare una lacrima, perché ho perduto di vista colui che è tutto il mio amore[1], tutto il mio bene e che forma tutto il mio contento. Parmi che per non farmi dolere della sua privazione mi ha assonnata e mi ha lasciata. Ah, Signore, destatemi voi, acciocché possa vedere le mie miserie e conoscere almeno di chi sono priva!

Ora mentre mi trovavo in questo stato, da dentro il mio interno ho inteso il benedetto Gesù che si lamentava continuamente. Quei lamenti hanno ferito il mio udito; ed un po’ destandomi ho detto: “Mio solo ed unico Bene, dai vostri lamenti avverto lo stato troppo sofferente in cui vi trovate; ciò vi avviene perché volete soffrire da solo e non farmi parte delle vostre pene; anzi, per non avermi in vostra compagnia mi avete assonnata e mi avete lasciata senza farmi capire più nulla. Capisco il tutto donde ciò viene, ed è [per essere] più libero nel castigare; ma deh, abbiate pietà, compassione, di me che senza di voi sono cieca, e di voi ché è sempre buono in tutte le circostanze avere chi vi faccia compagnia, chi vi sollevi e chi in qualche modo spezzi il vostro furore; perché per ora state nel furore di mandare flagelli, ma quando vedrete le nostre immagini perire per la miseria, manderete più lamenti che ora e forse mi direte: ‘Ah, se tu ti fossi più impegnata a placarmi, se avessi preso su di te le pene delle creature, non vedrei tanto straziate le mie stesse membra!’ Non è ciò vero, mio pazientissimo Gesù? Deh, sollevatevi un poco e lasciatemi soffrire in vece vostra!”

Mentre ciò dicevo, lui continuamente si lamentava, quasi in atto di volere essere compatito e sollevato; ma questo stesso sollievo del parteciparmi le sue pene, lo voleva strappato quasi per forza. Onde dietro le mie importunità ha disteso nel mio interno le sue mani e i suoi piedi inchiodati e mi ha partecipato un poco le sue pene. Dopo ciò dando un po’ di tregua ai suoi lamenti mi ha detto:

“Figlia mia, sono tristi tempi che a ciò mi costringono, perché gli uomini si sono tanto ingagliarditi ed insuperbiti che ognuno crede di essere dio a sé stesso; e se io non metto mano ai flagelli, farei un danno alle loro anime, perché la sola croce è l’alimento dell’umiltà. Onde se ciò non facessi, verrei io stesso a far loro mancare il mezzo come farli umiliare ed arrenderli dalla loro strana pazzia, sebbene la maggior parte degli uomini si irritano e mi offendono. Ma io faccio come un padre che spezza a tutti il pane come alimentarsi; ma alcuni figli non lo vogliono prendere, anzi se ne servono per gettarlo in faccia al padre. Che colpa ne ha il povero padre? Tale sono io; perciò compatiscimi nelle mie afflizioni”.

Detto ciò è scomparso, lasciandomi mezza desta e mezza addormentata, non sapendo io stessa né se debbo perfettamente destarmi né se devo un’altra volta assonnarmi.



[1] in altra versione, timore

<          >