Libro di Cielo - Volume 3°

Giugno 14, 1900 (82)

La croce assorbe nell'anima la Divinità e la rassomiglia all'umanità di Gesù

Trovandomi non poco sofferente, il mio adorabile Gesù, nel venire, tutta mia compativa e mi ha detto: “Figlia mia, che hai che soffri tanto? Lasciami sollevarti un poco”.

Ma Gesù era più sofferente di me. Così ha baciato l’anima mia; siccome era crocifisso mi ha tirato fuori di me stessa ed ha messo le mie mani nelle sue, i miei piedi nei suoi, la mia testa poggiava sulla sua e la sua sopra la mia. Come ero contenta nel trovarmi in questa posizione! Sebbene i chiodi e le spine di Gesù mi davano dolori, pure erano dolori che mi davano gioia perché sofferti per l’amato mio Bene, anzi avrei voluto che più crescessero.

Anche Gesù pareva contento di me, che mi teneva in quel modo attirata a sé. Mi pareva che Gesù ristorava me ed io fossi di ristoro a lui. Onde in questa posizione siamo usciti fuori, ed avendo trovato il confessore, subito l’ho pregato per i bisogni di lui e ho detto al Signore che si benignasse di fare sentire quanto è dolce e soave la sua voce, al confessore.

Gesù per contentarmi si è rivolto a lui ed ha parlato della croce col dire: “La croce assorbe nell'anima la mia Divinità, la rassomiglia alla mia umanità, e ricopia in sé stessa[1] le mie stesse opere”.

Dopo abbiamo continuato a girare un altro poco, ed oh! Quante viste dolorose, che trafiggevano l’anima parte a parte: le gravi iniquità degli uomini che neppure si abbassano a fronte nella[2] giustizia, anzi si scagliano con maggiore furore, quasi che volessero rendere ferite per doppie ferite[3]; e la grande miseria che loro stessi si stanno preparando. Onde con nostro sommo rammarico ci siamo ritirati. Gesù è scomparso ed io mi sono ritirata in me stessa.



[1] in se stessa, cioè nell'anima

[2] a fronte nella, cioè di fronte alla

[3] ferite per doppie ferite, cioè per ferite, doppie ferite

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