Libro di Cielo - Volume 2°

Ottobre 3, 1899 (80)

Si mette d’accordo con l’ubbidienza e Gesù ne spiega il valore

Questa mattina continuava a farsi vedere Gesù afflitto. Al mio pazientissimo Gesù non avevo coraggio di dirgli nessuna parola per timore che riprendesse il suo dire lamentevole sullo stato religioso. V’è questo, perché l’ubbidienza vuole che scriva tutto, ed anche quello che riguarda la carità del prossimo; è questo per me tanto penoso che ho dovuto lottare a forze di braccia con la signora obbedienza, molto più che cambiandosi[1] in aspetto di guerriero potentissimo, armato sì delle sue armi per darmi la morte. In verità mi son trovata a tali strettezze, che io stessa non sapevo che fare. Scrivere secondo la luce che Gesù mi faceva vedere sulla carità del prossimo, mi pareva impossibile, mi sentivo ferire il cuore da mille punture, la bocca me la sentivo ammutolire e venir meno il coraggio, e le dicevo: “Cara obbedienza, tu sai quanto ti amo e che volentieri per amor tuo darei la vita; ma veggo che qui non posso e tu stessa vedi lo strazio dell’animo mio. Deh, non farti nemica, non essere meco spietata, sii più indulgente verso chi tanto ti ama! Deh, vieni meco tu stessa e discorriamo insieme quello che più ci conviene dire”.

Così pare che ha deposto il suo furore e lei stessa dettava quello che più era necessario, rinchiudendo in poche parole tutto il senso delle diverse cose che riguardavano la carità, sebbene delle volte voleva essere più minuta ed io le dicevo: “Basta che per un poco di riflessione capiscano ciò che significa; non è meglio rinchiudere in una parola tutto il significato, che in tante parole?”

Delle volte cedeva l’ubbidienza, delle volte io, e così pare che siamo andate d’accordo. Quanta pazienza ci vuole con questa benedetta signora obbedienza, veramente signora, che basta che [le] si dà il diritto di signoreggiare, cambiandosi[2] in aspetto di mansuetissima agnella; lei stessa ne fa il sacrificio della fatica e, l’ani­ma, la fa riposare col suo Signore, mettendosi intorno lei con occhio vigilante per fare che nessuno ardisca di molestarla ed interromperle il sonno. E mentre l’anima dorme, questa nobile signora che fa? Oh, sta gocciolando sudore dalla sua fronte, affrettando la fatica che toccava all’anima! Cosa veramente che fa stupire ogni mente umana più intelligente, e che scuote ogni cuore ad amarla.

Ora mentre ciò dico, nel mio interno vado dicendo: “Ma che cosa è quest’obbedienza? Di che è formata? Qual è l’alimento che la sostiene?”

E Gesù che mi fa sentire la sua armoniosa voce al mio udito, che dice: “Vuoi sapere che cosa è l’ubbidien­za? L’ubbidienza è la quint’essenza dell’amore; l’ubbi­dienza è l’amore più fino, più puro, più perfetto, estratto dal sacrifizio più doloroso, qual è il distruggere sé medesimo per rivivere di Dio. L’ubbidienza, essendo nobilissima e divina, non ammette nell’anima niente d’uma­no, che non fosse suo. Perciò tutta la sua attenzione è distruggere nell’anima tutto ciò che non appartiene alla sua nobiltà divina, qual è l’amor proprio; e fatto questo, poco si cura che essa sola stenti fatica in ciò che appartiene all’anima, e l’anima la fa tranquillamente riposare. Finalmente l’ubbidienza sono io medesimo”.

Chi può dire come sono restata meravigliata e rimasta estatica nel sentire questo parlare di Gesù benedetto? Oh santa obbedienza, quanto tu sei incomprensibile! Io mi prostro ai tuoi piedi e ti adoro, ti prego d’essermi guida, maestra, luce nel disastroso cammino della vita, ché guidata, ammaestrata, scortata dalla tua luce purissima, posso con sicurezza prendere possesso del porto eterno.

Finisco, quasi sforzandomi d’uscire da questa virtù dell’ubbidienza, altrimenti non la finirei mai di parlare; è tanta la luce che veggo di questa virtù, che potrei scrivere sempre su di essa; ma altre cose mi chiamano, perciò faccio silenzio e ritorno dove lasciai.

Onde vedevo il mio Gesù afflitto, e ricordandomi che l’ubbidienza mi aveva detto di pregare per una persona, quindi con tutto il cuore l’ho raccomandato, e Gesù mi ha detto: “Figlia, [egli] faccia che tutte le sue opere risplendano, però di sole virtù; ma specialmente gli raccomando di non imbrogliarsi nelle cose d’interesse di famiglia. Se tiene qualche cosa la desse pure, se non tiene non voglio che lui s’impicci d’altro. Lasciasse che le cose le facesse chi ne è dovuto, e lui se ne rimanga spedito, libero, senza infangarsi nelle cose terrene; altrimenti verrebbe ad incorrere nella sventura degli altri, che da principio, avendo voluto impicciarsi di qualche cosa di famiglia, poi tutto il peso è gravato sulle loro spalle, ed io per sola mia misericordia, ho dovuto permettere di non prosperarli, ma piuttosto d’ammiserirli, e così fare toccare con mano quanto è disdicevole ad un mio ministro l’infangarsi nelle cose terrene; mentre è parola uscita dalla mia bocca che ai ministri del mio santuario, sempre che non toccassero affatto le cose terrene, mai sarebbe mancato il cibo quotidiano.

Ora questi tali, se io li avessi solamente prosperati, avrebbero infangato il loro cuore e non avrebbero badato né a Dio né alle cose appartenenti al loro ministero. Ora tediati, stanchi del loro stato, vorrebbero sbrigarsi, ma non possono, e questo è in pena di ciò che non dovrebbero fare”.

Dopo gli raccomandai un infermo, e Gesù mi mostrava le sue piaghe fattegli da quell’infermo, ed io ho cercato di pregarlo, placarlo e ripararlo, e pareva che quelle piaghe si saldavano. E Gesù tutto benignità mi ha detto: “Figlia mia, tu oggi mi hai fatto l’uffizio d’un peritissimo medico, che non solo hai cercato di medicarle, fasciarle, ma anche di guarirle le mie piaghe fattemi da quell’infermo, perciò mi sento molto ristorato e placato”.

Onde ho compreso che pregando per gli infermi si viene a fare l’uffizio di medico a Nostro Signore, che soffre nelle stesse sue immagini.



[1] si era cambiata

[2] che si cambia

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