Libro di Cielo - Volume 2°

Aprile 12, 1899 (13)

Gesù trova in lei il suo tabernacolo, e mostra il suo dolore per le sante messe sacrileghe e le ipocrisie.

Quest’oggi, senza farmi tanto aspettare, Gesù è venuto subito e mi ha detto: “Tu sei il mio tabernacolo; tanto è per me stare nel sacramento, quanto nel tuo cuore; anzi, in te ci trovo un’altra cosa di più, che è il poterti partecipare le mie pene ed averti insieme con me, vittima vivente innanzi alla divina giustizia, ciò che non trovo nel sacramento”.

E mentre diceva queste parole si è rinchiuso dentro di me. Stando dentro di me, Gesù mi faceva sentire, ora le punture delle spine, ora i dolori della croce, gli affanni e le sofferenze del cuore. Intorno al suo cuore vedevo un intreccio di punture[1] di ferro, che lo facevano soffrire molto a Gesù. Ah, quanta pena mi faceva, vederlo tanto soffrire! Avrei voluto io tutto soffrire, anziché far soffrire il mio dolce Gesù, e di cuore l’ho pregato che a me desse le pene, a me il patire.

Gesù mi ha detto: “Figlia, le offese che più trafiggono il mio cuore sono le messe sacrilegamente dette e le ipocrisie”.

Chi può dire quello che compresi in queste due parole? A me più[2] pareva che esternamente si fa vedere che si ama, si loda il Signore, internamente si ha il veleno pronto per ucciderlo; esternamente si fa vedere che si vuole la gloria, l’onore di Dio, internamente si cerca l’onore, la stima propria. Tutte le opere fatte con ipocrisia, anche [le] più sante, sono opere tutte avvelenate, che amareggiano il cuore di Gesù. 



[1] punte

[2] soprattutto

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