Io miravo le creature tutte in Dio.

Io restavo muta, tutta confusa, cercavo quanto più potevo di starmene sola, Gli confessavo la mia debolezza, Gli chiedevo aiuto e grazia di poter fare ciò che Lui voleva, ché da me sola non sapevo fare altro che male. Se fra il giorno la mia mente si occupava di pensare a persone a cui io volevo bene, subito mi riprendeva dicendomi: “Questo è il bene che mi vuoi? Chi mai ti ha amato come Me? Vedi, se tu non la finisci, Io ti lascio!” Alle volte mi sentivo dare tali e tanti rimproveri amari che non facevo altro che piangere. 

Specialmente una mattina, dopo la Comunione mi diede un lume tanto chiaro sull’amore grande che Lui mi portava e sulla volubilità ed incostanza delle creature, che il mio cuore ne restò tanto convinto, che d’allora in poi non è stato più capace d’amare persona alcuna. M’insegnò il modo come amare le creature senza discostarmi da Lui;  cioè, col mirare le creature come immagine di Dio, in modo che se ricevevo il bene dalle creature, dovevo pensare che solo Iddio era il primo autore di quel bene e che se ne era servito per mezzo della creatura di mandarmelo; quindi il mio cuore più a Dio si legava. Se poi ricevevo delle mortificazioni, dovevo guardarle pure come strumenti nelle mani di Dio per la mia santificazione; onde il mio cuore non restava ombrato col mio prossimo. Onde da questo modo avveniva che io miravo le creature tutte in Dio, [tanto che] per qualunque mancanze vedevo in loro, mai non perdevo la stima;  se mi motteggiavano, mi sentivo obbligata, pensando che mi facevano fare nuovi acquisti per l’anima mia;  se mi lodavano, ricevevo con disprezzo queste lodi, dicendo: “Oggi questo, domani possono odiarmi”, pensando alla loro incostanza. Insomma, il mio cuore acquistò tale una libertà, che io stessa non so esprimerlo.

<          >