La vera rassegnazione sa cambiare la natura alle cose e l'amaro lo converte in dolce.

Ciò mi costò molto in principio, specialmente per le obbe­dienze che mi dava il confessore. Non so come, voleva che prendessi il chinino, e tenevo data l'ubbidienza che, quante volte rovesciavo, altrettante volte dovevo ritornare a prendere il cibo. Ora, il chinino mi stuzzicava l'appetito e delle volte sentivo ben bene la fame, prendevo il cibo ed appena preso, e delle volte nell'atto stesso di prenderlo, dai continui urti di vomiti ero costretta a rimetterlo e rimanevo con la stessa fame di prima. La parola povera che Gesù mi aveva detto non mi faceva ardire di chiedere niente, ed io stessa avevo vergogna di chiedere; pensavo tra me: Che dirà la famiglia: «Ma ha vomitato ed ora vuole mangiare». Se me la danno qualche cosa, la prendo, se no, il Signore ci penserà. Così me la passavo, contenta di poter offrire qualche cosa al mio caro Gesù.

Però questo non durò molto tempo, ma circa quattro mesi. Un giorno il Signore mi disse: «Ripeti la domanda che ti dia l'ubbidienza di non prendere il chinino e di non farti prendere il cibo tante volte, ché Io gli darò lume».

Così, venne il confessore e glielo dissi; e lui mi disse: «Per non mo­strare singolarità, d'ora in poi voglio che prendi il cibo una sol volta al giorno». E sospese anche il chinino. Così restai più quieta e mi passò la fame, ma però non cessò il vomito, quella sol volta che prendevo il cibo ero costretta a rimetterlo. Il Signore delle volte mi diceva di chiedere l'ubbidienza di non mangiare, ma il confessore non mi ha dato mai questa ubbidienza; mi diceva: «Fa niente che vomiti, è un'altra mortificazione».

Io però lo dicevo al Signore, e lui mi diceva: «Voglio che fai la do­manda, ma con santa indifferenza voglio che stia a ciò che ti dice l'ubbi­dienza». E così continuai a fare.

Quando furono passati circa quaranta giorni, da me presi da quel­la parola che disse il Signore, (per un certo dato tempo) e che io così avevo detto al confessore, le sofferenze continuavano a sorprendermi ogni giorno e lui era costretto a venire tutti i giorni. Il confessore inco­minciò a darmi l'ubbidienza di non dovere più stare in quello stato, e mi soggiungeva che se cadessi nelle sofferenze, lui non ci sarebbe più venuto.

Da parte mia mi sentivo prontissima a fare l'ubbidienza; special­mente la natura voleva liberarsi da quello stare continuamente nel letto, che, per quanto bello fosse, era sempre letto; quel dovere [as]soggettarsi a tutti, anche nelle cose più ripugnanti e necessarie alla na­tura, ed essere costretta a dirle agli altri, è un vero sacrificio. Quindi la natura fece il suo uffizio: tutta si consolò nel sentirsi data quest'ubbi­dienza. L'animo mio pronto a fare l'ubbidienza e pronto a stare nel letto, se il Signore così volesse, perché avevo incominciato a speri­mentare quanto era stato buono con me e che la vera rassegnazione sa cambiare la natura alle cose e l'amaro lo converte in dolce.

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