Non te l'ho detto sempre, che quello che voglio da te è l'imitazione della mia vita?

Dopo, quei nemici scomparirono e io restai sola col mio Gesù. Io cercaí di compatirlo, ma non ardivo di dirgli niente, e lui rompendo il silenzio mi disse «Tutto ciò che tu hai visto è niente a confronto di quelle offese che continuamente mi fanno; è tanta la cecità loro, l'ingolfamento delle cose terrene, che giungono a divenire non solo crudeli nemici miei, ma anche di loro stessi; e siccome l'occhio loro è fisso nel fango, perciò giun­gono a disprezzare l'Eterno. Chi metterà un riparo a tanta ingratitudine? Chi avrà compassione di tanta gente che mi costano Sangue e che vivono quasi sepolti nel lezzo delle cose terrene? Deh! vieni con me e prega e piangi insieme per tanti ciechi che sono tutt'occhi per tutto ciò che dà di terra e poi disprezzano e calpestano le mie grazie sotto dei loro immondi piedi come se fossero fango. Deh! sollevati sopra tutto ciò che è terra, aborrisci e disprezza tutto ciò che a me non appartiene! Non ti facciano più impressione gli insulti che ricevi dalla famiglia dopo che mi hai visto tanto soffrire; ma ti stia solo a cuore l'onore mio, le offese che con­tinuamente mi fanno, la perdita di tante anime. Deh! non lasciarmi solo in mezzo a tante pene che mi straziano il cuore. Tutto ciò che tu soffri adesso è poco, in confronto di quelle pene che soffrirai. Non te l'ho detto sempre, che quello che voglio da te è l'imitazione della mia vita? Vedi un po' quanto sei dissimile da me; perciò fatti coraggio e non temere».

Dopo questo ritornai in me stessa ed allora avvertii che ero cir­condata dalla famiglia che piangevano e stavano tutti in disturbo ed avevano tale timore che si replicasse quello stato, specialmente [se] ancora morivo, che fecero quanto più presto potettero a ricondurmi in Corato, onde farmi osservare dai medici.

Non so dire il perché, sentivo tale pena nel pensare che dovevo essere visitata dai medici, che molte volte piangevo e mi lamentavo col Signore dicendogli: «Quante volte, o Signore, Vi ho pregato che mi facciate patire nascosta. Era questo il mio solo ed unico contento, e adesso anche di questo sono priva. Deh! dimmi, come farò? Voi solo potete aiutar­mi e sollevarmi nella mia afflizione. Non vedete quante ne dicono? Chi la pensa in un modo e chi un altro, chi vuole farmi applicare un rimedio e chi un altro; sono tutti occhi sopra di me, in modo che non mi danno più pace. Deh! soccorretemi in tante pene, ché mi sento mancare la vita». Ed il Signore benignamente soggiunse: «Non volerti affliggere per questo; quello che voglio da te è che ti abbandoni come morta fra le mie braccia. Fino a tanto che tu hai aperti gli occhi per guardare ciò che fo Io, e ciò che fanno e dicono le creature, Io non posso liberamente operare su di te. Non vuoi fidarti di me? Non sai tu il bene che ti voglio e che tutto ciò che permetto, o per mezzo delle creature, o per parte dei demoni, o diretta­mente da me, è per tuo vero bene e non serve ad altro che a condurre l'anima a quello stato a cui Io l'ho eletta? Perciò voglio che ad occhi chiusi ti stia fra le mie braccia senza guardare ed investigare questo o quell'altro, fidandoti interamente di me e lasciandomi liberamente operare. Se poi vuoi fare l'opposto, ci perderai tempo e verrai ad opporti a ciò che voglio fare di te. In riguardo alle creature, usa profondo silenzio, sii benigna e sottomessa con tutti; fa' che la tua vita, il tuo respiro, i tuoi pensieri ed affetti, siano continui atti di riparazione che placano la mia Giustizia, offrendomi insieme le molestie delle creature, che non saranno poche».

Dopo questo feci quanto più potetti di rassegnarmi alla Volontà di Dio, sebbene molte volte ero messa a tale strettezze da parte delle creature, che delle volte non facevo altro che piangere.

Giunse anche il tempo di farmi visitare dal medico, e giudicò non essere altro che un fatto nervoso, onde ordinò medicine, distrazioni, passeggi, bagni freddi, raccomandò alla famiglia che mi guardas­sero bene quando ero sorpresa da quello stato, perché, dicevagli: «Se la movete, la potete spezzare ma non aggiustare», ché io quando ero sorpresa da quello stato, restavo impietrita.

Onde si suscitò una guerra da parte della famiglia: m'impedivano d'andare alla chiesa, non [mi] davano più quella libertà di starmene sola, ero guardata da per ogni dove, e più spesso se ne avvertivano. Molte volte mi lamentavo col Signore dicendogli: «Mio buon Gesù, quanto si sono aumentate le mie pene! Anche delle cose a me più care sono priva, quali sono i sacramenti. Non ci avevo mai pensato che dove­vo giungere a questo. Ma chi sa dove andrò a finire. Deh! dammi aiuto e fortezza, ché la natura viene meno».

Molte volte si benignava di dirmi qualche parola. Ora mi diceva: «Sono Io in tuo aiuto, di che temi? Non ti ricordi che anch'Io soffrii da parte di ogni specie di gente? Chi la pensava su di me in un modo e chi in un altro; le cose più sante che Io facevo erano giudicate da loro di­fettose, cattive, fino a dirmi che era un indemoniato, tanto che mi guar­davano con occhi torvi, mi tenevano in mezzo a loro, ma di malo umore e macchinavano tra loro quanto più presto potevano di togliermi la vita, ché la mia presenza s'era resa per loro intollerabile. Dunque non vuoi tu che ti faccia simile a me facendoti soffrire da parte delle creature?».

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