Inizio della narrazione: Novena di preparazione al Santo Natale.

Incomincio. Una Novena del Santo Natale, circa l’età di diciassette anni, mi preparai alla festa del Santo Natale praticando diversi atti di virtù e mortificazione, e specialmente onorando i nove mesi che Gesù stette nel seno materno con nove ore di meditazione al giorno, appartenente sempre al mistero dell’Incarnazione.

Come, per esempio, in un’ora mi portavo col pensiero nel Paradiso e mi immaginavo la Santissima Trinità: il Padre che mandava il Figlio sulla terra, il Figlio che prontamente ubbidiva al Volere del Padre, lo Spirito Santo che vi consentiva. La mia mente si confondeva nel mirare un sì grande mistero, un amore sì reciproco, sì uguale, sì forte tra Loro e verso degli uomini; e poi [consideravo] l’ingratitudine degli uomini e specialmente la mia!  In questa considerazione mi sarei stata non solo una bella ora, ma ancora tutta l’intera giornata, se non mi avesse fatto sentire una voce nel mio interno che mi diceva: “Basta così per ora;  vieni e vedi altri eccessi più grandi del mio amore”.

Quindi la mia mente si portava nel seno materno, e rimaneva stupita nel considerare quel Dio, sì grande nel Cielo, ora così annichilito, impicciolito, ristretto, che non poteva muoversi, e quasi neppure respirare.  [Al]la voce interna che mi diceva: “Vedi quanto ti ho amato?  Deh, dammi un po’ di largo nel tuo cuore, togli tutto ciò che non è mio ché così Mi darai più agio a potermi muovere ed a farmi respirare!”, il mio cuore si struggeva, Gli chiedevo perdono, promettevo d’essere tutta sua, mi sfogavo in pianto, ma però, lo dico a mia confusione, che ritornavo ai miei soliti difetti!  Oh, Gesù, quanto siete stato buono con questa misera creatura!

E così passavo la seconda ora del giorno, e poi, via via il resto, che dirle tutte sarebbe seccare.  E questo lo facevo, quando in ginocchio e, quando ne ero impedita dalla famiglia, anche lavorando, poiché la voce interna non mi dava né tregua né pace se non facevo quel che voleva, quindi il lavoro non mi era d’impedimento di fare quel che dovevo fare.  

Così passai i giorni della Novena. Mentre giunse la vigilia, mi sentivo più che mai accesa d’insolito fervore e vi stavo sola nella stanza;  ed eccomi che mi si fa d’innanzi il Bambinello Gesù, tutto bello, sì, ma tremante, in atto di volermi abbracciare;  ed io mi alzai e corsi per abbracciarlo, ma nell’atto di stringerlo mi scomparve; e questo si ripetette per ben tre volte.  Restai tanto commossa ed accesa che non so spiegarlo. Ma però dopo qualche tempo non ne feci [più] tanto conto, non feci motto a nessuno, e d’intanto in tanto vi cadevo nelle solite mancanze, sebbene la voce interna non mi lasciò più mai. In ogni cosa mi riprendeva, mi correggeva, mi animava, in una parola: fece, per me, il Signore, come un buon padre, che il figlio cerca di sviare dal dritto sentiero, e lui che usa tutte le diligenze, le cure per ritenerlo, in modo da formarne il suo onore, la sua gloria, la sua corona. Ma, oh Signore, troppo ingrata Vi sono stata!

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