Libro di Cielo - Volume 11°

Febbraio 8, 1915 (87)

L’unione di Volontà forma tutta la perfezione delle Tre Divine Persone.

Me la passo afflittissima per i modi che il mio sempre amabile Gesù tiene con me, ma rassegnata al suo Santissimo Volere. Se mi lamento con Gesù delle sue privazioni e del suo silenzio, lui mi dice che:

“Non è il tempo di badare a ciò; queste sono bambinate e di anime molto deboli che badano a se stesse e non a me, che pensano a ciò che sentono e non a quello che conviene loro fare; queste anime mi puzzano d’umano e non posso fidarmi di loro. Da te non mi aspetto questo; voglio l’eroismo delle anime che dimenticandosi di se stesse badano solo a me, ed unite con me si occupano della salvezza dei miei figli, che il demonio usa tutte le astuzie per strapparli dalle mie braccia. Voglio che ti adatti ai tempi, ora dolorosi ora luttuosi ed ora tragici, ed insieme con me prega e piangi la cecità delle creature; la tua vita deve scomparire facendo sottentrare in te tutta la mia vita; facendo così sentirò in te il profumo della mia Divinità, mi fiderò di te in questi tempi tristi. Eppure non sono altro che i preludi dei castighi; che sarà quando le cose s’inoltreranno di più? Poveri figli, poveri figli!”

E pare che Gesù soffre tanto, che resta senza parola e si nasconde più dentro del cuore, in modo che scomparisce del tutto. E quando stanca del mio stato doloroso rinnovo i lamenti, lo chiamo e richiamo, gli dico: “Gesù, non senti le tragedie che succedono? Com’è possibile che il tuo cuore pietoso possa sopportare tanto strazio nei tuoi figli?” E lui pare che appena si muove nel mio interno, come se non si volesse far sentire, e sento dentro del mio respiro un altro respiro affannoso, come se avessi il rantolo: è il respiro di Gesù, perché lo avverto ch’è dolce, ma mentre mi rinfranca tutta mi fa sentire pene mortali, perché in quel respiro sento il respiro di tutti, specie di tante vite [che stanno] morendo e che Gesù soffre con loro il rantolo dell’agonia. Altre volte pare che si duole tanto che manda flebili lamenti, da muovere a pietà i cuori più duri. Onde seguitando i miei lamenti, questa mattina nel venire mi ha detto:

“Figlia mia, l’unione dei nostri Voleri è tanta, da non distinguersi qual sia il Voler dell’uno e quale quello dell’altro. È questa unione di Volontà che forma tutta la perfezione delle Tre Divine Persone, perché come siamo uniformi nella Volontà, questa uniformità porta uniformità di santità, di sapienza, di bellezza, di potenza, d’amore e di tutto il resto del nostro Essere; sicché ci specchiamo a vicenda uno nell’altro, ed è tanto il nostro compiacimento nel guardarci, da renderci pienamente felici. Onde uno [si] riverbera nell’altro, ed ogni qualità del nostro Essere, come tanti mari immensi diversi di gaudi, uno scarica nell’altro; perciò se qualche cosa fosse dissimile tra noi, il nostro Essere non poteva essere né perfetto né pienamente felice.

Ora nel creare l’uomo abbiamo infuso in lui la nostra immagine e somiglianza, per poter travolgere l’uomo nella nostra felicità, e specchiarci e felicitarci in lui; ma l’uomo ha rotto il primo anello di congiunzione di volontà tra lui e il Creatore, e quindi ha perduto la vera felicità, anzi gli sono piombati sopra tutti i mali, perciò né possiamo specchiarci in lui né felicitarci. Solo in quell’anima che fa in tutto il nostro Volere lo facciamo e godiamo il frutto completo della creazione, ché anche in quelle che hanno qualche virtù, che pregano, che frequentano i sacramenti, se non sono uniformi al nostro Volere non possiamo specchiarci in loro, perché come è rotta la volontà loro dalla nostra, così tutte le cose sono disordinate e sossopra. Ah, figlia mia, solo la nostra Volontà è accetta, ché riordina, felicita e porta con sé tutti i beni. Perciò sempre ed in tutto fa la mia Volontà, non ti curi[1] d’altro”.

Ed io: “Amor mio e vita mia, come posso uniformarmi alla tua Volontà, ai tanti flagelli che stai mandando? Ci vuole troppo per dire il Fiat; e poi quante volte mi hai detto che se io facevo il tuo Volere, tu avresti fatto il mio? Ed ora come hai cambiato?”

E Gesù: “Non sono io che ho cambiato, è che è giunta a tanto la creatura, che si è resa insopportabile. Avvicinati e succhia dalla mia bocca le offese che le creature mi mandano, e se tu puoi ingoiarle io sospenderò i flagelli”.

Onde mi sono avvicinata alla sua bocca e con avidità succhiavo, ma con mio sommo dolore mi sforzavo di ingoiarlo e non potevo, mi soffocavo; ritornavo a fare nuovi sforzi e non ci riuscivo. Allora Gesù con voce tenera e singhiozzando mi ha detto:

“Hai visto? Non puoi ingoiarlo; gettalo a terra e cadrà sopra le creature”.

Ond’io l’ho gettato, ed anche Gesù gettavalo dalla sua bocca sopra la terra dicendo:

“È nulla ancora, è nulla ancora!”

Ed è scomparso.

 



[1] curare

<          >