Libro di Cielo - Volume 11°

Febbraio 14, 1912 (3)

Gesù dice che nella sua Volontà qualunque cosa ha lo stesso valore, e parla della sua Volontà.

Continuando il mio solito stato, il mio sempre amabile Gesù è venuto ed io stavo dicendogli: “Dimmi, o Gesù, come va che dopo che hai disposto l’anima al patire, la quale conoscendo il bene che c’è nel patire ama il patire, patisce quasi con passione, e mentre crede che il suo retaggio è il patire, al più bello tu le togli questo tesoro?”

E Gesù: “Figlia mia, il mio amore è grande, il mio regime è insuperabile, i miei insegnamenti sono sublimi, le mie istruzioni divine, creatrici ed inimitabili; quindi per fare che tutte le cose, siano grandi o piccole, patire e godere, naturali o spirituali, acquistino un solo colore ed abbiano un solo valore, permetto che quando l’anima si è addestrata a patire e giunge ad amarlo, io questo patire lo faccio passare come proprietà propria, nella volontà. Sicché ogni qual volta io le manderò il patire, tenendo la proprietà, le disposizioni nella volontà, si troverà sempre disposta a patire e ad amarlo[1]; quindi io guardo le cose nella volontà, ed è per l’anima come se sempre patisse ad onta che non patisce. Ed affinché il godere avesse il valore dello stesso patire, e il pregare, l’operare, il mangiare, il sonno, insomma tutto - perché il tutto sta se le cose sono di mia Volontà - per fare che qualunque siano, avessero un solo valore, permetto che l’anima si addestri a tutte le cose nella mia Volontà con santa indifferenza.

Sicché pare per l’anima che mentre io le do una cosa, poi gliela tolgo, ma non è vero; piuttosto è che in principio, quando l’anima non è ben addestrata, sente la sen­sibilità nel patire, nel pregare, nell’amare, ma quando con l’addestrarsi passano come proprietà proprie nella volontà, cessa la sensibilità; ma succedendole l’occasio­ne d’aver bisogno di servirsene di queste proprietà divine che le ho fatto acquistare, con passo fermo e con animo imperturbabile si mette ad esercitarsi nell’occasio­ne che si presenta. Come per esempio: si presenta il patire? [Queste anime] trovano in loro la forza, la vita del patire. Devono pregare? Trovano in loro la vita della preghiera, e così di tutto il resto”.

A me sembra così, secondo che dice Gesù: suppongo che io abbia ricevuto un dono; fino a tanto che non mi decida dove debbo conservare quel dono, io lo guardo, lo apprezzo, sento una certa sensibilità d’amare quel do­no, ma se lo conservo sotto chiave, non guardandolo più, la sensibilità cessa. Ma con ciò non posso dire che il dono non è più mio, anzi è più certo mio, perché lo tengo sotto chiave, mentre prima stava in pericolo e me lo potevano rubare.

Gesù continua: “Nella mia Volontà tutte le cose si danno la mano tra loro, tutte si rassomigliano, tutte sono d’accordo. Sicché il patire dà il luogo al godere e dice: ‘Ho fatto la mia parte nella Volontà di Dio, fanne ora la tua, e solo che Gesù vorrà mi metterò di nuovo in campo’. Il fervore dice al freddo: ‘Tu sarai più ardente di me, se ti contenterai di stare nella Volontà del mio eterno amore’. La preghiera all’operare, il sonno alla veglia, l’infermità alla sanità, tutte, tutte fra loro, pare che uno cede il posto all’altra a stare in campo, ma tutte ci hanno il loro posto distinto.

Poi chi vive nella mia Volontà non è necessario che faccia la via per mettersi in attitudine a fare quello che voglio, ma come filo elettrico già si trova in me a fare quello che voglio”. 



[1] amare il patire

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fonte audio: www.divinavoluntas.it

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