Libro di Cielo - Volume 4°

Gennaio 15, 1901 (48)

Gesù le dice che lei forma il suo più gran martirio.

Siccome nei giorni passati il mio diletto Gesù si è fatto vedere in qualche modo adirato col mondo, e questa mattina non vedendolo venire andavo pensando fra me: “Chi sa che non viene, ché vuol mandare qualche castigo? E che colpa ne ho io? Siccome vuol mandare i castighi non si benigna di venire a me; sarebbe bello che mentre vuol punire gli altri, fa toccare a me il più grande dei castighi, qual è la sua privazione”.

Ora mentre dicevo questi ed altri spropositi, il mio amabile Gesù quando appena si è fatto vedere e mi ha detto:

“Figlia mia, tu formi per me il più grande martirio, perché dovendo mandare qualche castigo non posso teco mostrarmi, perché mi leghi da per tutto e non vuoi che faccia niente; e non venendo, tu mi assordi con le tue querele, coi tuoi lamenti ed aspettazioni, tanto che mentre mi occupo a castigare, son costretto a pensare a te, a sentirti, ed il mio cuore viene lacerato nel vederti nel tuo stato doloroso della mia privazione; perché il martirio più doloroso è il martirio dell’amore, e quanto più si amano due persone tanto più riescono dolorose quelle pene che non da altri, ma da mezzo loro stesse[1] si suscitano. Perciò statti quieta, calma; non volere accrescere le mie pene per mezzo delle tue pene”.

Onde lui è scomparso ed io sono rimasta tutta mortificata nel pensare che io formo il martirio del caro Gesù, e che per non farlo tanto soffrire, quando non viene debbo starmi quieta, ma chi può farlo questo sacrifizio? Mi pare impossibile, e sarò costretta a continuare a martirizzarci a vicenda.



[1] da mezzo loro stesse, cioè: tra di loro stesse

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