Libro di Cielo - Volume 4°

Marzo 18, 1902 (120)

L’inquietudine fa soffrire Gesù.

Questa mattina mi sentivo inquieta per l’assenza del mio adorabile Gesù, onde avendo fatto la comunione, appena venuto nel mio cuore ho cominciato a dire tanti spropositi: “Dolce mio Bene, non è cosa di star quieta quando non venite; voi vedendomi calma ve ne abusate, e non vi date nessun pensiero di venire; quindi è necessario fare passi, altrimenti non si riesce”.

Lui nel sentirmi si è mosso nel mio interno e si è fatto vedere in atto di sorridere ché sentiva i miei spropositi, e mi ha detto:

“Tu poi, vuoi che soffra; perché sapendo che se tu stai inquieta io vengo più a soffrire, non cercando di star quieta è lo stesso che volermi far più soffrire”.

Ed io, pazza come stavo ho detto: “Meglio che soffrite, perché dalla stessa sofferenza vostra potete avere più compassione della mia sofferenza; e poi la sofferenza che vi viene dal peccato, quella è brutta; basta che non è quella”.

E Gesù: “Ma se io vengo tu mi costringi a non far castighi, mentre sono tanto necessari, allora dovresti conformarti meco a volere ciò che voglio io”.

Ed io ricordandomi ciò che avevo visto nei giorni passati, ho detto: “Che castighi? Che, volete far morire le genti? Fateli morire, una volta devono venire a voi ed alla patria propria, purché li salvate; quello che voglio è che li liberate dai mali contagiosi”.

Il Signore non mi ha dato retta ed è scomparso. Ritornando a venire si faceva vedere sempre con le spalle voltate al mondo, e più[1] che ho fatto, non mi è riuscito a farlo guardare, e quando lo volevo costringere per forza:

“Non mi forzare, altrimenti mi costringi a privarti della mia presenza”.

Onde son rimasta con un rimorso, e mi sento d’aver fatto tanti difetti.

 


[1] per quanto

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