Libro di Cielo - Volume 3°

Gennaio 12, 1900 (28)

“Un Dio per amor mio umiliato e confuso, ed io peccatrice senza di queste divise!”

Trovandomi nel solito mio stato, l’amabile mio Gesù è venuto in uno stato compassionevole. Teneva le mani legate strettamente ed il volto coperto di sputi, e parecchie persone che lo schiaffeggiavano orribilmente. E lui se ne stava quieto, placido, senza fare un motto e muovere un lamento; neppure un muovere di ciglia, per far vedere che lui voleva soffrire quegli oltraggi, e questo non solo esternamente, ma anche internamente. Che spettacolo commovente, da fare spezzare i cuori più duri! Quante cose diceva quel volto con quegli sputi pendenti, imbrattato di fango! Io mi sentivo inorridire, tremavo, mi vedevo tutta superbia innanzi a Gesù. Mentre stava in quest’aspetto lui mi ha detto:

“Figlia mia, i soli piccolini si lasciano maneggiare come si vuole; non quelli che sono piccoli di ragione umana, ma quelli che sono piccoli di ragione divina. Io posso dire che sono umile, che nell’uomo ciò che si dice umiltà, piuttosto si deve dire conoscenza di sé stesso, e chi non conosce sé stesso cammina già nella falsità”.

Per qualche minuto Gesù ha fatto silenzio ed io me ne stavo a contemplarlo. Mentre ciò io facevo ho visto una mano che portava una luce, che frugando nel mio interno, nei più intimi nascondigli, voleva vedere se fosse in me la conoscenza di me stessa e l’amore alle umiliazioni e alle confusioni ed agli obbrobri. Quella luce trovava un vuoto nel mio interno ed io pur lo vedevo che doveva essere riempito di umiliazioni e confusioni, ad esempio del benedetto Gesù. Oh, quante cose mi faceva comprendere quella luce e quel volto santo che mi stava innanzi! Dicevo tra me:

“Un Dio per amor mio umiliato e confuso, ed io peccatrice senza di queste divise! Un Dio stabile, fermo nel sopportare tante ingiurie, tanto che non si muove un tantino per scuotersi da quegli sputi fetenti! Ah, mi si fa manifesto il suo interno innanzi a Dio, il suo esterno innanzi agli uomini, e vedo che se egli volesse respingere ogni patire, ogni oltraggio, di tutto resterebbe libero. Ma vedo che non le catene lo legano, ma la sua stabile Volontà che a qualunque costo vuol salvare il genere umano. Ed io, ed io? Dove sono le mie umiliazioni? Dove la fermezza, la costanza nell’operare il bene per amor del mio Gesù e del mio prossimo? Ahi, che vittime differenti siamo io e Gesù! Ahi, che non ci conformiamo affatto!”

Mentre il mio piccolo cervello si perdeva in queste considerazioni, il mio adorabile Gesù mi ha detto: “Solo la mia umanità fu ripiena di obbrobri e di umiliazioni, tanto da traboccarne fuori; ecco perciò innanzi alle mie virtù trema il cielo e la terra, e le anime che mi amano si servono della mia umanità come scala per salire e lambire qualche gocciolina delle mie virtù. Dimmi un po’: dinnanzi alla mia umiltà dove è la tua? Solo io posso gloriarmi di possedere la vera umiltà.

La mia Divinità unita alla mia umanità poteva operare prodigi in ogni passo, con le parole ed opere, ed invece volontariamente mi restringevo nel cerchio della mia umanità e mi mostravo il più povero e giungevo a confondermi cogli stessi peccatori. L’opera della Redenzione in pochissimo tempo potevo operarla ed anche per una sola parola; ma volli per il corso di tanti anni, con tanti stenti e patimenti, fare mie le miserie dell’uo­mo; volli esercitarmi in tante diverse azioni per fare che l’uomo fosse tutto rinnovato, divinizzato anche nelle mi­nime opere, perché esercitate da me che ero Dio ed uomo, ricevevano uno splendore nuovo e restavano con l’impronta di opere divine.

La mia Divinità nascosta nella mia umanità, [volle] scendere a tante bassezze, assoggettarsi al corso delle azioni umane, mentre con un solo atto di Volontà avrei potuto creare infiniti mondi, [volle] sentire le miserie, le debolezze altrui, come fossero di essa mia umanità, e [volle] vedere questa, coperta di tutti i peccati degli uomini innanzi alla divina giustizia e che ne dovevo pagare il fio col prezzo di pene inaudite e con lo sborso di tutto il mio sangue. Così esercitavo continui atti di profonda umiltà, ed eroica. Eccoti o figlia la diversità grandissima della mia umiltà con l’umiltà delle creature che innanzi alla mia appena è un’ombra; anche quella di tutti i miei santi, perché la creatura è sempre creatura e non conosce quanto pesa la colpa come lo conosco io; sia pure che anime eroiche, sul mio esempio si sono offerte a soffrire le pene altrui, ma queste non son diverse da quelle delle altre creature; non son cose nuove per loro perché son formate dalla stessa creta. Poi il solo pensare che quelle pene sono causa di nuovi acquisti e che glorificano Iddio è un grande onore per loro. Oltre di ciò la creatura è ristretta nel cerchio dove Iddio l’ha messa né può uscire da quei limiti ond’[4]è stata circuita da Dio. Oh, se stesse in loro potere il fare e il disfare, quant’al­tre cose non farebbero! Ognuno giungerebbe alle stelle.

Ma la mia umanità divinizzata non aveva limiti, ma volontariamente si restringeva in sé stessa e questo era un intrecciare tutte le mie opere di eroica umiltà. Era stata questa la causa di tutti i mali che inondano la terra, cioè la mancanza di umiltà; ed io con l’esercizio di questa virtù dovevo attirare dalla divina giustizia tutti i beni. Ah, ché non si partono dal mio trono rescritti di grazia se non per mezzo dell’umiltà! Né alcun biglietto può essere da me ricevuto se non contiene la firma dell’umiltà. Nessuna preghiera ascoltano le mie orecchie e muove a compassione il mio cuore, se non è profumata dall’olez­zo dell’umiltà. Se la creatura non giunge a distruggere quel germe d’onore, di stima, e questo si distrugge col giungere ad amare di essere disprezzata, umiliata, confusa, sentirà un intreccio di spine intorno al cuore, avvertirà un vuoto nel suo cuore che le darà sempre fastidio e la renderà molto dissimile dalla mia santissima umanità. E se non giunge ad amare le umiliazioni, al più potrà qualche poco conoscere se stessa, ma non risplenderà innanzi a me vestita della bella e simpatica veste dell’umiltà”.

Chi può dire quante cose comprendevo su questa virtù e la differenza tra il conoscere sé stessa e l’umiltà? Mi pareva di toccare con mano la distinzione di queste due virtù, ma non ho parola come spiegarmi. Per dire qualche cosa mi avvalgo di un’idea, per esempio: un povero conosce che è povero, ed anche a persone che non lo conoscono e che forse possono credere che possiede qualche cosa manifesta schiettamente la sua povertà. Si può dire che conosce sé stesso e dice la verità, e per questo viene più amato, muove gli altri a compassione del suo misero stato e tutti l’aiutano. Tale è il conoscere sé stesso. Se poi quel povero, vergognandosi di manifestare la sua povertà menasse vanto che lui è ricco, mentre tutti sanno che lui non tiene neppure le vesti come coprirsi e si muore di fame, che avviene? Tutti lo disprezzano, nessuno l’aiuta ed addiviene soggetto di burla e di ridicolaggine a chiunque lo conosce; ed il misero, andando di male in peggio, finisce col perire. Tale è la superbia innanzi a Dio ed anche innanzi agli uomini. Ed ecco che chi non conosce sé stesso già esce dalla verità e precipita nella via della falsità.

Seguitando questo esempio ne viene di conseguenza un’altra forma di umiltà eroica che prende pure il merito della conoscenza di sé stesso. Figuriamoci un ricco il quale nato fra gli agi e le ricchezze conosce bene di essere tale, di possedere ogni sorta di beni temporali, ma considerando le profonde umiliazioni alle quali si assog­gettò Nostro Signore Gesù Cristo per nostro amore, si innamora della santa umiltà, abbandona le ricchezze e tutti gli agi, si spoglia delle sue nobili vesti, si copre di miseri cenci, vive sconosciuto, a nessuno manifesta chi egli sia, si confonde coi più poveri, vive coi poveri come se fosse loro pari, fa le sue delizie i disprezzi e le confusioni[2]. Allora in costui si trova ciò che avviene nei santi, i quali tanto più si umiliano per quanto più conoscono che il Signore li colma delle sue grazie e dei suoi doni contro ogni loro merito.

Tanto nel primo esempio dei due poveri detti avanti, quanto in questo ricco, si vede come la conoscenza di sé stesso senza l’umiltà nuoce e a nulla giova, ma quanto genera l’umiltà è preziosissimo. Ah, sì! L’umiltà chiama la grazia, l’umiltà spezza le catene più forti, l’umiltà supera qualunque muro di divisione tra l’anima e Dio e a lui la ritorna. L’umiltà è la piccola pianta, ma sempre verde e fiorita, non soggetta ad essere rosa dai vermi, né i venti, la grandine, il caldo potranno portarle nocumento né farla menomamente appassire. L’umiltà, sebbene è la più piccola pianta, pure manda fuori rami altissimi che penetrano fino nel cielo e si intrecciano intorno al cuore di Nostro Signore; e solo i rami che escono da questa piccola pianta hanno libera entrata in quel cuore adorabile. L’umiltà è l’àncora della pace nelle tempeste delle onde di questa vita. L’umiltà è sale che condisce tutte le virtù e preserva l’anima dalla corruzione del peccato. L’umiltà è l’erbetta che spunta sulla via battuta dai viandanti; l’umiltà mentre è calpestata scomparisce, ma subito si vede spuntare più bella di prima. L’umiltà è qual innesto gentile che ingentilisce la pianta selvatica. L’umiltà è il tramonto della colpa. L’umiltà è la moneta della grazia. L’umiltà è qual luna che ci guida nelle tenebre della notte di questa vita. L’umiltà è come quello scaltro negoziante che sa ben trafficare le sue ricchezze, non ne fa sciupio neppure d’un centesimo della grazia che gli vien data. L’umiltà è la chiave della porta del cielo, sicché nessuno può entrarvi se non si tiene ben custodita questa chiave.

Finalmente, altrimenti non la finisco più ed andrei troppo per le lunghe, l’umiltà è il sorriso di Dio e di tutto l’empireo, ed il pianto di tutto l’inferno.



[1] in cui

[2] fa le sue delizie i disprezzi e le confusioni, cioè fa dei disprezzi e delle confusioni le sue delizie

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