Libro di Cielo - Volume 2°

Maggio 9, 1899 (21)

Lamenti, domande e colloqui con Gesù, che la contenta e le partecipa i suoi patimenti.

Questa mattina mi trovavo in un mare d’afflizione per la perdita di Gesù. Dopo molto stentare Gesù è venuto e tanto si stringeva a me vicino che non potevo neppure vederlo. Giungeva a mettere la fronte sulla mia, il suo volto poggiava proprio sul mio, e così tutte le membra. Ora mentre Gesù stava in questa posizione gli ho detto: “Mio adorabile Gesù, non mi vuoi più bene?”

E lui: “Se non ti volevo bene, non mi stavo tanto a te vicino”.

Ed io ho ripreso: “Come mi dici che mi vuoi bene se non mi fai più soffrire come prima? Temo che non mi si vuole più in questo stato, almeno liberami pure dal fastidio del confessore”.

Mentre ciò dicevo pareva che Gesù non dava retta al mio dire e mi faceva vedere [una] moltitudine di gente che commetteva ogni specie di nefandezze, e Gesù sdegnato con loro faceva piombare in mezzo ad essi diverse specie di malattie contagiose, e molti morivano neri come carboni. Pareva che Gesù sterminasse dalla faccia della terra quella moltitudine di gente. Mentre io vedevo, ho pregato Gesù che versasse in me le sue amarezze, acciocché potesse risparmiare le genti, ma neppure mi dava retta a questo, e rispondendo alle parole che prima gli avevo detto ha soggiunto: “Il più gran castigo che posso dare a te, al sacerdote ed ai popoli è se ti liberassi da questo stato di sofferenze. La mia giustizia si sfogherebbe in tutto il suo furore, perché non troverebbe più alcuna opposizione. Tanto vero che il peggior male per uno è essere messo ad un ufficio e poi essere deposto; meglio per lui se non fosse stato ammesso a quell’uf­ficio, perché abusando e non profittando, se ne rende indegno”.

Poi Gesù ha seguitato a venire quest’oggi parecchie volte, ma tanto afflitto che moveva a pietà ed a lacrime forse le stesse pietre. Per quanto ho potuto cercavo di consolarlo, or me l’abbracciavo, or gli sostenevo la testa molto sofferente, or gli dicevo: “Cuor del mio cuore Gesù, non è stato mai tuo solito comparirmi così afflitto, se altre volte ti sei fatto vedere afflitto, col versare in me [le tue sofferenze], subito dopo hai cambiato aspetto, ma ora mi viene negato di darti questo sollievo. Chi doveva dirlo che dopo tanto tempo che ti sei benignato di versare e di farmi partecipe delle tue sofferenze e che tu stesso hai fatto tanto per dispormi, a quest’ora dovevo restarne priva? Era il patire per tuo amore l’unico mio sollievo, era il patire che mi faceva sopportare l’esilio dal cielo; ma adesso, mancandomi questo mi sento che non ho dove più appoggiarmi e mi viene a noia la vita. Deh, o sposo santo, amato bene, cara mia vita, deh, fammi tornare le pene, dammi il patire, non guardare la mia indegnità ed i miei gravi peccati, ma la tua grande misericordia che non è esaurita!”

Mentre in questo mi sfogavo con Gesù, avvicinandosi più a me mi ha detto: “Figlia mia, è la giustizia che vuole sfogarsi sulle creature. Il numero dei peccati negli uomini quasi è completo e la giustizia vuole uscire fuori per farsi pompa del suo furore e ripararsi delle ingiustizie degli uomini. Ecco, per farti vedere quanto sono amareggiato e per contentarti un po’ voglio versare il mio alito in te”.

E così, avvicinando le sue labbra alle mie mi mandava il suo respiro, che fu tanto amaro che mi sentivo intossicare la bocca, il cuore e tutta la persona. Se il solo suo alito era così amaro, che sarà del resto di Gesù? Mi ha lasciato tanto una pena che mi sentivo trafiggere il cuore.

<          >