Libro di Cielo - Volume 2°

Maggio 7, 1899 (20)

Gesù le parla della retta intenzione e del vero amore del prossimo.

Mentre nel giorno ho fatto la meditazione, Gesù continuava a farsi vedere a me vicino, e mi ha detto: “La mia persona è circondata da tutte le opere che si fanno dalle anime, come da una veste; ed a misura della purità d’intenzione e dell’intensità dell’amore che[1] si fanno, così mi danno più splendore, ed io darò a loro più gloria, tanto che nel giorno del giudizio le mostrerò a tutto il mondo per far conoscere a tutto il mondo come mi hanno amato ed onorato i miei figli ed il modo come io onoro loro”.

Prendendo un’aria più afflitta ha soggiunto: “Figlia mia, che sarà di tante opere anche buone fatte senza retta intenzione, per usanza e per fine d’interesse? Quale vergogna non sarà di loro nel giorno del giudizio, nel vedere tante opere buone in sé stesse, ma marcite dalla loro intenzione, che invece di renderle[2] onore come a tante altre, le stesse loro azioni le[3] renderanno vergogna? Perché non sono le opere grandi che miro, ma l’intenzione con cui si fanno; qui è tutta la mia attenzione”.

Per poco Gesù ha fatto silenzio, ed io pensavo alle parole che aveva detto; mentre andavo ruminando nella mia mente, specialmente sulla purità dell’intenzione, e [su] come facendo il bene alle creature, le stesse devono scomparire facendo una la creatura con lo stesso Signore, e fare come se le creature non esistessero, Gesù ha ripreso il suo dire, dicendomi:

“Eppure così è; vedi, il mio cuore è larghissimo, ma la porta è strettissima. Nessuno può riempire il vuoto di questo cuore se non le anime distaccate, nude e semplici, perché come tu vedi, essendo la porta piccola, qualunque impedimento, anche minimo, cioè un’ombra d’attacco, un’intenzione storta, un’opera senza il fine di piacermi, impedisce che entrino a deliziarsi nel mio cuore. L’amore del prossimo, molto va nel mio cuore, ma deve essere tanto congiunto al mio, in modo che [ne] deve formare uno solo, senza potersi discernere uno dall’altro; ma quell’altro amore del prossimo che non è trasformato nel mio amore, io non lo guardo come cosa che a me appartiene”. 



[1] con cui

[2] rendere loro

[3] a loro

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