L’anima si duole dei peccati e delle mancanze commesse.

Mi ricordo che una mattina mentre mi parlava sulla stessa virtù, mi disse che per mancanza d’umiltà avevo commesso tanti peccati, e che se io fossi stata umile, mi sarei tenuta più vicina a Lui e non avrei fatto tanto male;  mi fece capire quanto era brutto il peccato, l’affronto che questo misero vermicciolo aveva fatto a Gesù Cristo, l’ingratitudine orrenda, l’empietà enorme, il danno che ne era venuto all’anima mia. 

Ne rimasi tanto sbigottita che non sapevo che fare per riparare. Facevo qualche mortificazione, ne chiedevo altre al confessore, ma poche me n’erano date, quindi mi sembravano tutte ombre e non facevo altro che pensare ai miei peccati, ma sempre più stretta a Lui. Avevo tale timore d’allontanarmi e di fare peggio che prima, che io stessa non so esprimerlo. Non facevo altro, quando mi trovavo con Lui, che dirgli la pena che sentivo per averlo offeso, Gli chiedevo sempre perdono, Lo ringraziavo ch’era stato tanto buono con me, Gli dicevo di cuore: “Vedi, o Signore, il tempo che ho perduto, mentre potevo amarvi!” Onde non sapevo dire altro [che] il male grave che avevo fatto.

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