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“Il tuo pregare ha formato un diritto sul Mio cuore che brucia per te, prendi di nuovo ciò che perdesti”.

Noi ci troviamo, la nostra Maestà adorabile, come un padre che già teneva il suo figlio felice, d’una bellezza rara, che gli portava gioia e felicità, e che da padrone viveva dell’eredità del padre datagli da lui; questo figlio volontariamente uscì dall'eredità paterna e si rese infelice, e spezzò le belle e pure gioie tra padre e figlio.

Ora qual non sarebbe il dolore del padre, i sospiri, le lacrime e la sua volontà irremovibile, che il suo caro figlio ritornasse felice? Molto più che l’eredità data al figlio esiste, la tiene il padre stesso in consegna, e sospira che prenda di nuovo il possesso. Ma in tanto dolore di questo padre, lacrime e sospiri, è volontà decisa, vuole che il suo figlio infelice desidera, prega, che gli ritorni la sua eredità paterna, la sua felicità perduta. Questo dispone il figlio a ricevere ed apprezzare il suo stato felice, il ritorno della sua eredità, ed il padre affogato d'amore per il suo caro figlio dirà: ‘Il tuo pregare ha formato un diritto sul mio cuore che brucia per te, prendi di nuovo ciò che perdesti, te lo sei meritato. Son contento purché ti veggo felice e posso dire: il mio figlio non è più infelice, ma felice’.

Ora più che padre siamo noi, anzi l’amore di questo è un’ombra paragonata al nostro, e la nostra Volontà Divina è irremovibile, nessuno potrà mutarla. L’infelicità dell’uomo è un disordine all'opera della creazione, e vogliamo i nostri diritti nell'opera nostra. Come uscì vogliamo che ci ritorni, il nostro amore ci affoga, la nostra giustizia lo esige, la nostra bontà lo reclama, la nostra stessa felicità lo sospira e non tollera l’infelicità nell'opera nostra. La nostra Divina Volontà facendoci corona, ci rende immutabile e vuole che il suo regno sia posseduto. Ma ad onta di ciò vogliamo che la creatura prega, sospira il bene che le vogliamo dare, e questo forma un diritto sul nostro cuore paterno ed un poggio nel cuore dell'uomo, per poter ricevere ciò che vogliamo dare, e così potergli dire nella nostra enfasi d’amore: ‘Figlio mio, te lo sei meritato, e noi ti abbiamo dato ciò che volevamo darti’ .

(Libro di Cielo 24° Volume - 24 settembre 1928)