Libro di Cielo - Volume 4°

Febbraio 19, 1902 (109)

L’anima è come tela che riceve in sé il ritratto dell’immagine divina.

Trovandomi nel solito mio stato, il mio adorabile Gesù si faceva vedere nel mio interno che dormiva, spandendo da sé tanti raggi, di luce indorati. Contenta di vederlo, ma scontenta insieme per non poter sentire la dolcezza e soavità della sua voce creatrice. Onde dopo molto aspettare è ritornato a farsi vedere, e vedendo il mio scontento mi ha detto:

“Figlia mia, nel ministero pubblico è necessario l’uso della voce per farmi intendere, ma nel ministero privato la sola mia presenza basta per tutto, perché vedermi e capire l’armonia delle mie virtù per copiarle in sé stessa è tutto lo stesso; quindi l’attenzione dell’anima deve essere nel vedermi e di uniformarsi in tutto alle operazioni interne del Verbo; perché quand'io tiro l’anima a me, si può dire, almeno per quel tempo che[1] la tengo alla mia presenza, che fa vita divina. Essendo la mia luce come pennello per dipingere, le mie virtù vi somministrano i vari colori, e l’anima è come tela che riceve in sé il ritratto dell’immagine divina. Succede come a quei ponti alti, che quanto più alto, altrettanto precipita nel basso una pioggia dirotta; così l’anima, innanzi alla mia presenza si mette nello stato che le conviene, cioè nel basso, nel nulla, tanto da sentirsi distruggere, e la Divinità a torrente vi piove la grazia e giunge a sommergerla in sé stesso[2]; perciò dev'essere contenta di tutto: se parlo, e contenta se non parlo”.

Mentre ciò diceva mi son sentita come sommergere in Dio, e dopo mi son trovata in me stessa.

 


 

[1] in cui

[2] in sé stesso, cioè: in Dio

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