Libro di Cielo - Volume 3°

Dicembre 2, 1899 (17)

La croce ha virtù di disporre l’anima alla grazia

Trovandomi molto afflitta su certe cose che non è qui lecito il dirle, l’amabile Gesù, volendomi sollevare nella mia afflizione, è venuto in un aspetto tutto nuovo. Mi pareva vestito di color celeste, tutto ornato di campanellini piccoli d’oro che, toccandosi fra loro, risuonavano di un suono non mai udito. All’aspetto di Gesù ed al grazioso suono mi son sentita incantare e sollevare nella mia afflizione, che come fumo si dipartiva da me. Io sarei rimasta lì in silenzio, tanto mi sentivo attonite e stupite le potenze dell’animo mio, se il benedetto Gesù non avesse rotto il mio silenzio col dirmi:

“Figlia a me diletta, tutti questi campanellini sono tante voci che ti parlano del mio amore e che chiamano te ad amarmi. Ora lasciami vedere quanti campanelli tieni tu che mi parlano del tuo amore e che chiamano me ad amarti”.

Ed io tutta piena di rossore gli ho detto: “Deh, Signore, che dite? Io non ho niente, non ho altro che i soli difetti”.

Allora Gesù compatendo la mia miseria ha ripreso a dirmi: “Tu non hai niente, è vero; ebbene voglio ornarti io coi miei stessi campanelli, acciò [tu] possa aver tante voci come chiamarmi e come mostrarmi il tuo amore”.

Così pareva che con una fascia ornata di questi campanellini mi cingesse la vita. Dopo ciò, io son rimasta in silenzio e lui ha soggiunto: “Oggi ho piacere di trattenermi con te, dimmi qualche cosa”.

Ed io: “Voi sapete che tutto il mio contento è di stare insieme con voi, ed avendo voi ho tutto; onde possedendo voi mi pare che non ho che altro desiderare né che dire”.

E Gesù: “Fammi sentire la tua voce che ricrea il mio udito; conversiamo un poco insieme. Io ti ho parlato tante volte della croce. Oggi fammi sentire parlare te della croce”.

Io mi sentivo tutta confusa, non sapevo che dire; ma lui mandandomi un raggio di luce intellettuale, per contentarlo ho incominciato a dire: “Diletto mio, chi vi può dire che cosa è la croce e che fa la croce? Solo la vostra bocca può degnamente parlare della sublimità della croce. Ma giacché lo volete che parli, io pure lo faccio.

La croce sofferta da voi, Gesù Cristo, mi liberò dalla schiavitù del demonio e mi sposò alla Divinità con nodo indissolubile; la croce è feconda e mi[1] partorisce la grazia; la croce è luce e mi disinganna del temporale e mi svela l’eterno; la croce è fuoco e tutto ciò che non è Dio mette in cenere, fino a vuotarmi il cuore di un minimo filo d’erba che possa starci. La croce è moneta di inestimabile prezzo e se io avrò, sposo santo, la fortuna di possederla, mi arricchirò di monete eterne fino a rendermi la più ricca del paradiso, perché la moneta che corre in cielo è la croce sofferta in terra. La croce poi fa conoscere me stessa, non solo, ma mi dà la conoscenza di Dio. La croce m’innesta tutte le virtù. La croce è nobile cattedra dell’Increata Sapienza, che m’insegna le dottrine più alte, sottili e sublimi. Sicché la sola croce mi svelerà i misteri più nascosti, le cose più recondite, la perfezione più perfetta, nascosta ai più dotti e sapienti del mondo. La croce è qual acqua benefica che mi purifica, non solo, ma mi somministra il nutrimento alle virtù, me le fa crescere, ed allora mi lascia, quando mi riconduce all’eterna vita. La croce è qual rugiada celeste che mi conserva ed abbellisce il bel giglio della purità. La croce e l’alimento della speranza. La croce è la fiaccola della fede operante. La croce è qual legno solido che conserva e fa mantenere sempre acceso il fuoco della carità. La croce è qual legno asciutto che fa svanire e mettere in fuga tutti i fumi di superbia e di vanagloria, e produce nell’anima l’umile viola dell’umiltà. La croce è l’arma più potente che offende i demoni e mi difende da tutti i loro artigli. Sicché l’anima che possiede la croce è d’invidia e d’ammirazione agli stessi angeli e santi, di rabbia e di sdegno ai demoni. La croce è il mio paradiso in terra, di modo che se il paradiso di là, dei beati, sono i godimenti, il paradiso di qua sono i patimenti. La croce è la catena d’oro purissimo che mi congiunge con voi, mio sommo Bene, e forma l’unione più intima che dar si possa, fino a far scomparire l’essere mio, e mi tramuta in voi, mio oggetto amato, tanto da sentirmi perduta in voi e viva della stessa vita”.

Dopo che ebbi detto questo, non so se sono spropositi, l’amabile mio Gesù nel sentirmi tutto si compiaceva e preso da entusiasmo d’amore tutta mi baciava, e mi ha detto:

“Brava, brava la mia diletta, hai detto bene. L’amo­re mio è fuoco, ma non come il fuoco terreno che dovunque penetra, rende sterile e mette tutto in cenere. Il mio fuoco è fecondo e solo sterilisce tutto ciò che non è virtù, ma [per] il resto dà vita a tutto e vi fa germogliare i bei fiori, fa produrre i più squisiti frutti e lo rende il più delizioso giardino celeste. La croce è tanto potente e le ho comunicato tanta grazia, da renderla più efficace degli stessi sacramenti, e questo perché nel ricevere il sacramento del mio corpo ci vogliono le disposizioni ed il libero concorso dell’anima per ricevere le mie grazie, che[2] molte volte possono mancare, ma la croce ha virtù di disporre l’anima alla grazia”.



[1] in me

[2] le disposizioni ed il libero concorso

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