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Febbraio 28, 1899  (1)

Gesù le parla della fede.

Per ordine del confessore incomincio a scrivere ciò che passa tra me e Nostro Signore giorno per giorno. Anno 1899, mese di febbraio, giorno 28. Confesso la verità, gran ripugnanza io provo; è tanto lo sforzo che devo fare per vincermi, che solo il Signore può sapere lo strazio dell’anima mia. Ma, oh santa obbedienza, che legame potente tu sei! Tu sola potevi vincermi e, superando tutte le mie ripugnanze, come monti insuperabili, mi leghi alla Volontà di Dio e del confessore. Ma deh, o sposo santo, per quanto è grande il sacrifizio, altrettanto ho bisogno d’aiuto; non voglio altro, che m’introduciate nelle vostre braccia e mi sosteniate; così, assistita da voi, possa dire la sola verità, per sola gloria vostra e per mia confusione.

Questa mattina, avendo celebrata la messa il confessore, ho fatto anche la comunione. La mia mente si trovava in un mare di confusione per cagione di queste obbedienze che mi vengono date dal confessore, di scrivere tutto ciò che passa nel mio interno. Appena ricevuto Gesù, ho incominciato a dirgli le mie pene, specialmente la mia insufficienza, e tant’altre cose; ma Gesù pareva che non si curava del fatto mio, e non rispondeva a niente. Mi è venuto un lume nella mente ed ho detto: “Chi sa che non sono io stessa la causa che Gesù non si mostra secondo il suo solito”. Allora con tutto il cuore gli ho detto: “Deh! Mio bene e mio tutto, non mostrarti meco sì indifferente, il cuore me lo fai spezzare per il dolore; se è per lo scritto, venga [quel] che venga, mi costasse il sacrifizio della vita, vi prometto di farlo”.

Allora Gesù ha cambiato aspetto, e tutto benigno mi ha detto: “Che cosa tu temi? Non ti ho io assistito le altre volte? La mia luce ti circonderà da per tutto, e così potrai tu manifestarla”.

Mentre così diceva, non so come, ho visto il confessore vicino a Gesù, ed il Signore gli ha detto: “Vedi, tutto ciò che fai passa nel cielo, perciò vedi la purità con cui devi operare, pensando che tutti i tuoi passi, parole ed opere, vengono alla mia presenza, e se son puri, cioè fatti per me, io ne prendo diletto grandissimo e me li sento a me d’intorno, come tanti messaggeri che mi ricordano continuamente di te; ma se sono per fini bassi e terreni invece, ne prendo fastidio”.

E mentre così diceva, pareva che gli prendesse le mani e, sollevandole al cielo, gli diceva: “L’occhio sempre in alto, sei del cielo, opera per il cielo”. Mentre vedevo il confessore, e che Gesù così gli diceva, nella mia mente mi pareva che, se così si operasse, succedeva [1] lo stesso come quando una persona deve sloggiare da una casa per andare ad un’altra: che fa? Prima manda tutte le robe e tutto ciò che essa tiene, e poi se ne va essa. Così noi, prima mandiamo le nostre opere a prenderne il posto per noi nel cielo, e poi, quando giungerà il nostro tempo, andremo noi. Oh, che bel corteggio ci faranno! Or, mentre vedevo il confessore, mi ricordavo che mi aveva detto che dovevo scrivere sulla fede, e il modo come il Signore mi aveva parlato su questa virtù. Mentre così pensavo, in un istante il Signore mi ha tirato talmente a sé, che mi son sentita fuori di me stessa nella volta dei cieli, insieme con Gesù, e mi ha detto queste precise parole: “La fede è Dio”. Ma queste due parole contenevano una luce immensa, che è impossibile spiegarlo; ma come posso, lo dirò.

Nella parola fede comprendevo che la fede è Dio stesso. Come al corpo il cibo materiale dà vita acciocché non muoia, così la fede dà la vita all’anima; senza la fede l’anima è morta. La fede vivifica, la fede santifica, la fede spiritualizza l’uomo e gli fa tenere l’occhio all’Ente Supremo, in modo che niente apprende delle cose di quaggiù, e se le apprende, le apprende in Dio. Oh, la felicità di un’anima che vive di fede! Il suo volo è sempre verso il cielo; in tutto ciò che le succede si rimira sempre in Dio, ed ecco come: nella tribolazione, la fede la solleva in Dio, e non se ne affligge, neanche mena lamento, sapendo che non deve formare qui il suo contento, ma nel cielo. Così, se la gioia, la ricchezza, i piaceri, la circondano, la fede la solleva in Dio e le fa dire fra sé: “Oh, quanto sarò più contenta, più ricca nel cielo!”. Quindi, di questi beni terreni ne prende fastidio, li disprezza, se li mette sotto i piedi. A me sembra che ad un’anima che vive di fede, succede come ad una persona che possedesse milioni e milioni di monete, ed anche regni interi, ed un’altra che vorrebbe[2] offrirle un centesimo. Or, che direbbe costei? Non l’avrebbe a sdegno, non glielo getterebbe in faccia? Aggiungo: e se quel centesimo fosse tutto infangato, qual sono le cose terrene? Di più: e se quel centesimo fosse dato solo in prestito? Or, direbbe costei: “Immense ricchezze io godo e posseggo, e tu ardisci d’offrirmi questo vil centesimo, così fangoso e solo per poco tempo?”. Io credo che ritorcerebbe subito lo sguardo, e non accetterebbe il dono. Così fa l’anima che vive di fede riguardo alle cose terrene.

Ora, andiamo un’altra volta all’idea del cibo; il corpo, prendendo il cibo, non solo si sostiene, ma partecipa della sostanza del cibo che si trasforma collo[3] stesso corpo. Ora, così l’anima che vive di fede; siccome la fede è Dio stesso, l’anima viene a vivere dello stesso Dio, e cibandosi dello stesso Dio viene a partecipare della sostanza di Dio e, partecipando, viene ad assomigliarsi a lui e a trasformarsi collo[4] stesso Dio. Quindi, avviene all’anima che vive di fede, che: santo Iddio, santa l’ani­ma; potente Iddio, potente l’anima; sapiente, forte, giusto, Iddio, sapiente, forte, giusta, l’anima; e così di tutti gli altri attributi di Dio. Insomma, l’anima diviene un piccolo Dio. Oh, la beatitudine di quest’anima sulla terra, per essere poi più beata nel cielo!

Compresi ancora [che] non altro significano quelle parole che il Signore dice alle anime sue dilette, cioè: “Ti sposerò nella fede”, che il Signore in questo mistico sposalizio viene a dotare le anime delle sue stesse virtù. Mi sembra come due sposi, che unendo le loro proprietà insieme, non si discerne più la roba dell’uno e dell’altra, e ambedue si rendono padroni. Ma nel fatto nostro, l’ani­ma è povera, tutto il bene è da parte del Signore, che la rende partecipe delle sue sostanze.

Vita dell’anima è Dio, la fede è Dio; e l’anima, possedendo la fede, viene ad innestare in sé tutte le altre virtù, di modo che essa[5] se ne sta come re nel cuore e le altre se ne stanno d’intorno come suddite, servendo alla fede; sicché le stesse virtù, senza la fede, sono virtù che non hanno vita. Pare a me che Iddio in due modi comunica la fede all’uomo. La prima è nel santo battesimo. La seconda è quando Iddio benedetto, spiccando una particella della sua sostanza nell’anima, le comunica le virtù di far miracoli, come poter risorgere i morti, sanare gl’infermi, arrestare il sole ed altro. Oh, se il mondo avesse fede, si cambierebbe in un paradiso terrestre! Oh, quanto alto e sublime è il volo dell’anima che si esercita nella fede! A me sembra che l’anima, esercitandosi nella fede, fa come quei timidi uccelletti che, temendo di essere presi dai cacciatori oppure da qualche altra insidia, fanno la loro dimora sulle cime degli alberi, oppure sulle alture; quando poi son costretti a prendere il cibo, scendono, prendono il cibo, e subito se ne volano nella loro dimora; e qualcuno più accorto prende il cibo e neppure se lo mangia sul terreno, per essere più sicuro se lo porta sulle cime degli alberi e là se lo inghiotte. Così l’anima che vive di fede: è tanto timida delle cose terrene che, per paura di essere insidiata, neppure le degna d’uno sguardo. La sua dimora è in alto, cioè sopra tutte le cose della terra, e specialmente nelle piaghe di Gesù Cristo, e da dentro quelle beate stanze, geme, piange, prega e soffre insieme col suo sposo Gesù, sulla condizione e miseria in cui giace il genere umano. Mentre essa vive in quei forami delle piaghe di Gesù, il Signore le dà una particella delle sue virtù, e l’anima si sente in sé quelle virtù come se fossero sue; ma però avverte che, sebbene se le vede sue, il possesso che le viene dato, è stato comunicato dal Signore. Succede come ad una persona che ha ricevuto un dono che essa non possedeva; ora, che fa? Se lo prende e se ne rende padrona, ma ogniqualvolta lo guarda, dice fra sé: “Questo è mio, però mi fu donato da quel tale”.

Così fa l’anima cui il Signore, spiccando da sé una particella del suo Essere Divino, la trasmuta in se stesso. Or, quest’anima, oh! Come aborrisce il peccato, ma insieme compatisce gli altri, prega per chi vede che cammina nella via del precipizio, si unisce insieme con Gesù Cristo e si offre vittima a soffrire per placare la divina giustizia e per risparmiare le creature dai meritati castighi. E se fosse necessario il sacrificio della vita, oh, quanto volentieri lo farebbe per la salvezza [anche] di un’anima sola!

Avendomi detto il confessore che io gli spiegassi come veggo la divinità di Nostro Signore qualche volta, io gli risposi che era impossibile sapergli dir nulla; ma la notte mi apparve il benedetto Gesù, e quasi mi rimproverò di questo mio diniego; ed allora mi fece balenare come due raggi luminosissimi. Col primo compresi nel mio intelletto che la fede è Dio e Dio è la fede; mi son provata a dire qualche cosa sulla fede, proverò [ora] a dire come veggo Iddio, e questo fu il secondo raggio.

Ora, mentre mi trovo fuori di me stessa e trovandomi nell’alto dei cieli, mi è parso di vedere Dio dentro a una luce, ed egli stesso pareva anche luce; ed in questa luce si trovava bellezza, fortezza, sapienza, immensità, altezza, profondità, senza termini e confini; sicché pure nel­l’aria che respiriamo vi è Dio, è Dio stesso che si respira; sicché ognuno lo può fare come vita propria, come lo è infatti. Sicché nessuna cosa gli sfugge e nessuno lo può sfuggire. Questa luce pare che sia tutta voce, senza che parla; tutta operante, mentre sempre riposa; si trova da per tutto, senza niente ingombrare; e mentre si trova da per tutto, tiene anche il suo centro. Oh Dio, quanto sei incomprensibile! Ti veggo, ti sento, sei la mia vita, ti restringi in me, mentre resti sempre immenso e niente perdi di te; eppure mi sento balbuziente e mi pare di non saperne dire nulla.

Per potermi spiegare meglio, secondo il nostro umano linguaggio, dirò che veggo un’ombra di Dio in tutto il creato; perché in tutto il creato, dove ha gettato l’ombra della sua bellezza, dove i suoi profumi, dove la sua luce, come nel sole, [nel quale] io veggo un’ombra speciale di Dio. Lo veggo come adombrato in questo pianeta, come re di tutti gli altri pianeti.

Che cosa è il sole? Non è altro che un globo di fuoco; uno è il globo, ma molti sono i raggi, di modo che noi possiamo comprendere facilmente, il[6] globo, Iddio, e dai raggi, gli immensi attributi di Dio.

Secondo: il sole è fuoco, ma insieme è luce ed è calore, quindi la Santissima Trinità è adombrata nel sole; il fuoco è il Padre, la luce è il Figlio, il calore è lo Spirito Santo, ma uno è il sole; e come non si può dividere il fuoco dalla luce e dal calore, così una è la potenza del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, che fra loro non si possono realmente separare. Come il fuoco nello stesso istante produce la luce ed il calore, sicché non si può concepire il fuoco senza concepirsi anche la luce ed il calore, così non si può concepire il Padre prima del Figlio e dello Spirito Santo, e così, vicendevolmente hanno tutti e Tre lo stesso principio eterno.

Aggiungo che la luce del sole si spande ovunque; così Iddio, con la sua immensità, dovunque penetra; però ricordiamoci che questo non è che un’ombra, perché il sole non giunge dove non può penetrare con la sua luce, ma Dio penetra dovunque. È spirito purissimo Iddio, e noi lo possiamo raffigurare nel sole che fa penetrare i suoi raggi dovunque, e senza che nessuno li possa prendere fra le mani; di più: Dio guarda tutto, le iniquità, le nefandezze degli uomini, e lui resta sempre quello che è, puro, santo, immacolato. Ombra di Dio è il sole, che manda la sua luce sulle immondezze e resta immacolato; nel fuoco, spande la sua luce e non si arde; nel mare, nei fiumi, e non si affoga; dà luce a tutti e feconda tutto; dà vita a tutto col suo calore e non si ammiserisce di luce, né niente perde del suo calore; e molto più, fa tanto bene a tutti e lui di nessuno fa bisogno, e resta sempre quello che è: maestoso, risplendente, senza mai mutarsi.

Oh, come si ravvisano bene nel sole le qualità divine! Con la sua immensità si trova nel fuoco e non si arde; nel mare e non si affoga; sotto dei nostri piedi e non [lo] si calpesta; dà a tutti e non si ammiserisce, e di nessuno fa bisogno; guarda tutto, anzi è tutt’occhi e non c’è cosa che non sente, è a giorno d’ogni fibra del nostro cuore, d’ogni pensiero della nostra mente. Ed essendo spirito purissimo, non ha né orecchie né occhi, e per qualunque successo non mai si muta. Il sole, investendo il mondo con la sua luce, non si affatica; così Iddio, dando vita a tutti, aiutando e reggendo il mondo non si affatica. Per non godere più, l’uomo, la luce del sole ed i suoi benefici influssi, può nascondersi, può mettere ripari, ma al sole nulla fa, [il sole] rimane quello che è; il male cadrà tutto sopra dell’uomo. Così, col peccato può allontanarsi da Dio e non godere più i suoi benefici influssi, ma a Dio nulla gli fa, il male è tutto suo.

Anche la rotondità del sole mi simboleggia l’eternità di Dio, che non ha né principio né fine. La stessa luce penetrante del sole, che nessuno può restringere nel suo occhio, che se alcuno volesse fissarlo nel suo pieno meriggio resterebbe abbagliato, e se il sole si volesse avvicinare all’uomo, l’uomo ne resterebbe incenerito, così del sol Divino: nessuna mente creata può restringerlo nella sua piccola mente, per comprenderlo in tutto quello che è; e se volesse sforzarsi, ne resterebbe abbagliato e confuso; e se questo sole Divino volesse sfoggiare tutto il suo amore, facendolo sentire [all’uomo] mentre è in carne mortale, l’uomo ne resterebbe incenerito. Onde [Dio] ha gettato un’ombra di sé e delle sue perfezioni su tutto il creato, sicché pare [che] lo vediamo e tocchiamo e ne restiamo toccati continuamente.

Oltre di ciò, dopo che il Signore disse quelle parole: “La fede è Dio”, io gli dissi: “Gesù, mi vuoi bene?”.

E lui ha soggiunto: “E tu mi vuoi bene?”.

Io subito ho detto: “Sì, Signore e voi lo sapete che senza di voi mi sento mancare la vita”.

“Ebbene ‑ ha ripreso Gesù ‑ tu mi vuoi bene, io pure; quindi amiamoci e stiamoci sempre insieme”.

Così è finito per questa mattina. Ora, chi può dire quanto la mia mente ha compreso di questo sole divino? Mi pare di vederlo e di toccarlo ovunque, anzi mi sento investita dentro e fuori di me stessa; ma la mia capacità è piccina; mentre pare che comprenda qualche cosa di Dio, al vederlo pare che non ho compreso niente, anzi di avere spropositato; spero che Gesù perdoni i miei spropositi.

 

Marzo 10, 1899  (2)

Gesù le mostra molti castighi.

Stando nel mio solito stato, si è fatto vedere il mio sempre amabile Gesù tutto amareggiato ed afflitto, e mi ha detto: “Figlia mia, la mia giustizia si è troppo appesantita, e son tante le offese che mi fanno gli uomini, che non posso più sostenerle. Quindi la falce della morte sta per mietere molti, e all’improvviso, e di malattie; e poi sono tanti i castighi che verserò sul mondo, che saranno una specie di giudizio”.

Chi può dire i tanti castighi che mi ha fatto vedere, ed il modo con cui io sono stata atterrita e spaventata? L’animo mio, è tanta la pena che sente, che credo meglio passarlo in silenzio; riprendo a dire, ché l’ubbidien­za non vuole. Quindi mi pareva di vedere le strade piene di carni umane ed il sangue che inondava il terreno; città assediate da nemici, che non risparmiavano neppure i bambini; [i nemici] mi parevano come tante furie uscite dall’inferno, non rispettando né chiese né sacerdoti. Il Signore pareva che mandava un castigo dal cielo; qual sia non so dire; solo mi pareva che tutti ricevevano un colpo mortale, e chi resterà vittima della morte e chi si rimetterà. Mi pareva pur di vedere le piante disseccate e tanti altri mali che devono venire sui raccolti. Oh Dio, che pena, vedere queste cose ed essere costretta a manifestarle!

Ah! Signore, placatevi; io spero che il tuo sangue e le tue piaghe saranno il nostro rimedio; oppure versateli [7] sopra di questa peccatrice, che ne son meritevole, altrimenti prendetemi, che allora sarete libero di fare ciò che volete; ma finché vivrò, farò quanto posso per oppormi”.

 

Marzo 13, 1899  (3)

Gesù le mostra come la carità non è altro che lo sbocco dell’Essere Divino.

Questa mattina il diletto Gesù non si faceva vedere, secondo il solito, tutto affabilità e dolcezza, ma severo. La mia mente me la sentivo in un mare di confusione e l’anima mia tanto afflitta ed annichilita, specialmente per i castighi visti nei giorni passati. Vedendolo in quel­l’aspetto, non ardivo dirgli niente; ci guardavamo, ma in silenzio. Oh Dio, che pena!

Quando in un momento ho visto anche il confessore; e Gesù, mandando un raggio di luce intellettuale, ha detto queste parole: “Carità; la carità non è altro che uno sbocco dell’Essere Divino, e questo sbocco l’ho diffuso in tutto il creato, di modo che tutto il creato parla del­l’amore che porto all’uomo, e tutto il creato insegna il modo come deve amarmi, cominciando dall’essere più grande fino al più piccolo fiorellino del campo”.

“Vedi — dice all’uomo [il piccolo fiorellino del campo] — col mio soave odore e collo starmi sempre rivolto al cielo, cerco di mandare un omaggio al Creatore; anche tu fa che tutte le tue azioni siano odorose, sante, pure; non fare che col cattivo odore delle tue azioni [tu] offenda il Creatore. Deh! O uomo — ci ripete il fiorellino — non essere così insensato da tener l’occhio fisso alla terra, ma alzalo al cielo; vedi, lassù è il tuo destino, la tua patria, lassù è il mio e tuo Creatore che ti aspetta”.

L’acqua che continuamente scorre sotto dei nostri occhi, ci dice ancora: “Vedi, dalle tenebre sono uscita, e tanto devo scorrere e correre, fin quando che giungerò a seppellirmi nel luogo donde uscii. Anche tu, o uomo, corri, ma corri nel seno di Dio, da dove uscisti. Deh! Ti prego, non correre le vie storte, le vie che menano al precipizio, altrimenti guai a te”.

Anche le bestie più selvatiche ci ripetono: “Vedi, o uomo, come devi essere selvatico per tutto ciò che non è Dio; vedi, quando noi vediamo che qualcuno si avvicina a noi, coi nostri ruggiti mettiamo tanto spavento che nessuno ardisce d’avvicinarsi più e disturbare la nostra solitudine. Anche tu, quando il lezzo delle cose terrene, ossia le tue passioni violente, stanno per farti infangare e farti cadere nel precipizio delle colpe, coi ruggiti della tua preghiera e col ritirarti dalle occasioni in cui ti trovi, sarai salvo da ogni pericolo”.

Così di tutti gli altri esseri, che dirli tutti sarebbe troppo lungo. Ad unanime voce risuonano fra loro e ci ripetono: “Vedi, o uomo, per amor tuo ci ha creato il nostro Creatore e tutti a tuo servizio  stiamo, e tu non essere tanto ingrato; ama, ti prego[8], ama, ti ripeto, ama il nostro Creatore”.

Dopo di ciò, il mio amabile Gesù mi disse: “Questo è il tutto che voglio: amar Dio ed il prossimo per amor mio. Vedi quanto ho amato l’uomo, ed esso è tanto ingrato; come vuoi tu che non lo castighi?”.

Nell’atto stesso mi parve di vedere una grandine terribile ed un terremoto che deve fare notabile danno, fino a distruggere le piante e gli uomini. Allora con tutta l’amarezza dell’animo mio gli ho detto: “Mio sempre amabile Gesù, perché sei tanto adesso sdegnato? Se l’uomo è ingrato, non è tanta la malizia, quanto la debolezza. Oh, se vi conoscessero un poco, oh, come starebbero umili e palpitanti! Perciò placatevi. Almeno vi raccomando Corato e quelli che a me appartengono”.

Nell’atto di dire così, mi pareva che anche a Corato doveva succedere qualche cosa; a confronto di quello che succederà negli altri paesi, sarà niente.

 

Marzo 14, 1899  (4)

Gesù le mostra altri castighi, si ritira nel suo cuore e piange la sorte delle creature. Lei consola Gesù e piange con lui. Continua a veder Gesù ritirato nel suo cuore.

Questa mattina il dolcissimo mio Gesù, trasportandomi insieme con lui, mi faceva vedere la molteplicità dei peccati che si commettono, ed erano tali e tanti, che è impossibile descriverli. Vedevo pure nell’aria una stella di smisurata grandezza, e nella sua rotondità conteneva fuoco nero e sangue; incuteva tale timore e spavento nel guardarla, che pareva che fosse minor male la morte, che vivere in tempi sì tristi. In altri luoghi si vedevano i vulcani, che aprendo altre bocche dovevano inondare anche i paesi vicini; si vedeva pure gente settari[a], che andavano procurando gl’incendi.

Mentre io vedevo, il mio amabile ma afflitto Gesù mi disse: “Hai visto quanto mi offendono, e quello che tengo preparato? Io mi ritiro dall’uomo”.

E mentre ciò diceva, ci ritirammo tutti e due nel letto, e vedevo che in questo ritiramento di Gesù, gli uomini si davano a fare più brutte azioni, più omicidi; in una parola, mi pareva di vedere gente contro gente. Quando ci fummo ritirati, Gesù pareva che si metteva nel mio cuore ed incominciò a piangere e singhiozzare, dicendo: “Oh uomo, quanto ti ho amato! Se tu sapessi quanto mi duole il doverti castigare! Ma a ciò mi obbliga la mia giustizia. Oh uomo! Oh uomo, quanto piango e mi duole la tua sorte!”.

Poi dava sfogo al pianto, e di nuovo ripeteva le parole. Chi può dire la pena, la paura, lo strazio che si faceva nell’animo, specialmente nel vedere Gesù così afflitto e piangente? Facevo quanto più potevo a nascondere il mio dolore per consolarlo, e gli dicevo: “Oh Signore, non sarà mai che castighiate gli uomini! Sposo santo, non piangete! Come avete fatto altre volte, così farete adesso; verserete in me, farete a me soffrire, e così la vostra giustizia non vi affliggerà a [9] castigare le genti”.

E Gesù continuava a piangere, ed io ripetevo: “Ma statemi a sentire un poco; non mi avete messo in questo letto perché fossi vittima per gli altri? Forse non sono stata pronta a soffrire le altre volte per far risparmiare le creature? Perché adesso non volete darmi retta?”.

Ma con tutto il mio povero dire, Gesù non s’acquie­tava dal piangere. Allora, non potendo più resistere, an­ch’io ruppi il freno al pianto, dicendogli: “Signore, se la vostra intenzione è di castigare gli uomini, anche a me non mi regge l’animo di vedere tanto soffrire le creature; perciò, se veramente volete mandare i flagelli, ed i miei peccati non mi fanno più meritare di soffrire, io invece degli altri, me ne voglio venire, non voglio più stare in questa terra”.

Poi è venuto il confessore ed essendo stata chiamata all’ubbidienza, Gesù si è ritirato, e così tutto è finito.

La seguente mattina, continuavo a vedere Gesù nel mio cuore, ritirato, e vedevo che le persone fin dentro il mio cuore venivano e lo calpestavano, lo mettevano sotto i piedi. Io facevo quanto più potevo per liberarlo; e Gesù, rivolto a me, mi ha detto: “Vedi fin dove giunge l’ingratitudine degli uomini? Loro stessi mi costringono a castigarli, senza che possa fare di­versamente. E tu, mia cara, dopo che hai visto me tanto soffrire, ti siano più care le croci e delizie le pene”.

 

Marzo 18, 1899  (5)

Gesù mostra quanto gli è cara la carità.

Questa mattina seguitava ancora il mio diletto Gesù a farsi vedere dentro il cuore mio e, vedendolo un poco più carino, fecimi coraggio e incominciai a pregarlo, che non mandasse tanti castighi. E Gesù mi disse: “Che ti muove, o mia figlia, a pregarmi che non castighi le creature?”.

Io subito risposi: “Perché sono tue immagini e, dovendo le creature soffrire, verresti tu stesso a soffrire”.

Allora Gesù, mandando un sospiro, mi disse: “Mi è tanto cara la carità, che tu non puoi comprenderlo. La carità è semplice come l’Essere mio che, sebbene è immenso, è pure semplicissimo, tanto che non c’è parte in cui non vi penetri. Così la carità, essendo semplice, si diffonde dappertutto, non ha riguardo di nessuno, amico o nemico, cittadino o forestiero, tutti ama”.

 

Marzo 19, 1899  (6)

Timori delle insidie diaboliche. Gesù la tranquillizza.

Questa mattina, Gesù, mentre si faceva vedere, io temevo ancora non fosse veramente Gesù, ma il demonio che mi volesse illudere.

Dopo che ho fatto le solite proteste, Gesù mi ha detto: “Figlia, non temere, che non sono il demonio; e poi, quello, se parla delle virtù, è una virtù scolorita, non vera virtù, né ha virtù d’infonderla nell’anima, ma di solamente di parlarne; e se qualche volta mostra di voler far praticare qualche poco di bene, non è [un bene] perseverante, e nell’atto stesso che l’anima fa quel poco di bene, l’anima è fiacca ed agitata. Solo io ho la potenza d’infondermi nel cuore e di far praticare le virtù e di far soffrire con coraggio e tranquillità e con perseveranza; e poi, quando mai il demonio è andato in cerca di virtù? La sua caccia sono i vizi. Perciò non temere, stai tranquilla”.

 

Marzo 20, 1899  (7)

Gesù le versa le sue amarezze e le mostra la causa dei mali del mondo.

Questa mattina Gesù mi ha trasportata fuori di me stessa, e mi ha fatto vedere molta gente, tutta in discordia. Oh, quanta pena faceva a Gesù! Io, vedendolo molto soffrire, l’ho pregato che versasse in me, ma siccome continuava ancora che voleva castigare il mondo, Gesù non voleva versare in me; ma dopo averlo pregato e ripregato, per contentarmi, ha versato un poco.

Indi, essendosi sollevato un poco, mi ha detto: “La causa che[10] il mondo si è ridotto in questo triste stato, è d’aver perduta la subordinazione ai capi; e siccome il primo capo è Dio, a cui [gli uomini] si sono ribellati, di conseguenza è avvenuto che hanno perduta ogni soggezione e dipendenza alla Chiesa, alle leggi ed a tutti gli altri che si dicono capi. Ah! Figlia mia, che sarà di tanti membri infetti da questo malo esempio, dato da quegli stessi che si dicono capi, cioè da superiori, da genitori e da tanti altri? Ah, giungeranno a tanto che non si conosceranno più, né genitori, né fratelli, né re, né principi; questi membri saranno come tante vipere che a vicenda si avveleneranno. Perciò, vedi quanto sono necessari i castighi in questi tempi, e che la morte quasi distrugga questa razza di gente, affinché quei pochi che rimarranno imparino a spese altrui ad essere umili ed obbedienti; onde lasciami fare, non volerti opporre a farmi castigare le genti”.

 

Marzo 31, 1899  (8)

Gesù le mostra la preziosità della croce.

Questa mattina il mio adorabile Gesù si faceva vedere crocifisso, e dopo d’avermi comunicato le sue pene mi ha detto: “Molte sono le piaghe che mi fecero soffrire nella mia passione, ma una fu la croce; ciò significa che molte sono le strade con cui attiro le anime alla perfezione, ma uno è il cielo, in cui queste anime devono unirsi, sicché, sbagliato quel cielo, non c’è alcun altro che possa renderle beate per sempre”.

Poi ha soggiunto: “Guarda un poco: una è la croce, ma di vari legni fu formata detta croce; ciò vuol dire che uno è il cielo, ma vari posti che questo cielo contiene, più o meno gloriosi, ed a misura delle sofferenze sofferte quaggiù, più o meno pesanti, saranno distribuiti i posti. Oh! Se tutti conoscessero la preziosità del patire, farebbero a gara a chi più volesse patire, ma questa scienza, dal mondo, non viene conosciuta; perciò aborriscono ciò che può renderli più ricchi in eterno”.

 

Aprile 1899  (9)

Gesù le si mostra adombrato e poi le parla della piccola pianta dell’umiltà.

Dopo aver passati parecchi giorni di privazione e di lacrime, io mi trovavo tutta confusa ed annientata in me stessa; nel mio interno andavo dicendo continuamente: “Dimmi o mio bene, perché ti sei da me allontanato? Dove ti ho offeso, che non ti fai più vedere, e se ti mostri è quasi adombrato e in silenzio? Deh, non farmi più aspettare, che il mio cuore non ne può più!”.

Finalmente Gesù si è mostrato un po’ più chiaro, e vedendomi così annientata mi ha detto: “Se tu sapessi quanto mi piace l’umiltà! L’umiltà è la pianta più piccola che si potesse trovare, ma i suoi rami sono così alti che giungono fino al cielo, serpeggiano intorno al mio trono e penetrano fin dentro il mio cuore. La piccola pianta è l’umiltà, i rami che somministra questa pianta è la confidenza, sicché non si può dare[11] vera umiltà senza confidenza. L’umiltà senza confidenza è virtù falsa”.

Dalle parole del mio Gesù si vede che il mio cuore, non solo era annientato, ma pure un poco scoraggiato.

 

Aprile 5, 1899  (10)

Gesù la tiene adombrata nel suo amore.

L’animo mio continuava nel suo annientamento e con timore di perdere il dolce Gesù, quando, in un istante, di botto si è fatto vedere e mi ha detto: “Ti tengo nell’om­bra della mia carità; onde, siccome l’ombra penetra per ogni dove, con il mio amore ti tiene adombrata dappertutto ed in tutto. Di che temi adunque? E come posso io lasciarti, mentre ti tengo così inabissata nel mio amore?”.

Mentre Gesù così diceva, io volevo dirgli perché non si faceva vedere secondo il suo solito, ma Gesù subito mi è scomparso e non mi ha dato tempo di dirgli neppure una parola. Oh Dio, che pena!

 

Aprile 7, 1899  (11)

Aspetta, con ansia e pianto, Gesù, che poi le si mostra e la invita a baciare le sue piaghe.

Continua lo stesso stato, ma specialmente questa mattina l’ho passata amarissima; avevo perduta quasi la speranza che Gesù venisse. Oh, quante lagrime ho dovuto versare! Era proprio l’ultima ora e Gesù non ci veniva ancora! Oh Dio, che fare? Il mio cuore era in tanto forte dolore ed in continuo palpitare, tanto sì fortemente, che mi sentivo in agonia mortale.

Nel mio interno gli dicevo: “Mio buon Gesù, non vedi pur tu stesso che mi sento mancare la vita? Dimmi almeno, come si può fare a stare senza di te? Come si può vivere? Sebbene sono ingrata a tante grazie, eppure ti amo, giacché ti offro questa pena amarissima della vostra assenza per ripararti la mia ingratitudine; ma vieni, abbi, Gesù, pazienza. Sei sì buono, non farmi più aspettare, vieni. Ah, non sai pur tu stesso che crudel tiranno è l’amore? Che, non hai compassione di me?”.

Mentre stavo in questo stato sì doloroso, Gesù è venuto, e tutto compassione mi ha detto: “Ecco che son venuto; non più piangere, vieni a me”.

In un istante mi son trovata fuori di me stessa, insieme con lui, ed io lo guardavo, ma col timore che di nuovo lo perdessi, che a larga vena mi scorrevano le lacrime dagli occhi. Gesù ha continuato a dirmi: “No, non piangere più, vedi un poco quanto sto a soffrire; guardami la testa, le spine son penetrate tanto dentro che non più compariscono fuori. Vedi quanti squarci e sangue coprono il mio corpo? Avvicinati, dammi un ristoro”.

Occupandomi delle pene di Gesù, ho dimenticato un poco le mie, e così ho incominciato dal capo. Oh, quanto era straziante vedere quelle spine, così incarnate dentro, che appena si potevano tirare! Mentre io ciò facevo, Gesù si lamentava, tant’era il dolore che soffriva. Dopo che ho tirato [12] quella corona di spine, tutta spezzata, l’ho riunita insieme, e conoscendo che il maggior piacere che si possa dare a Gesù è il patire per lui, l’ho presa e l’ho conficcata sulla mia testa. Poi, una per una si è fatto baciare le piaghe, ed in qualche piaga voleva che succhiassi il sangue. Io cercavo di fare tutto ciò che lui voleva, ma in muto silenzio, quando si è presentata la Vergine Santissima e mi ha detto: “Domanda a Gesù che cosa vuol fare di te”.

Io non ardivo, ma la Mamma m’incitava a farlo. Per contentarla, ho avvicinato le labbra all’orecchio di Gesù, e zitto zitto[13] gli ho detto: “Che cosa vuoi fare di me?”.

E lui ha risposto: “Voglio fare di te un oggetto delle mie compiacenze”.

E nell’atto stesso di dire queste parole è scomparso ed io mi son trovata in me stessa.

 

Aprile 9, 1899  (12)

Gesù la trasporta in Chiesa e se la tiene in sua compagnia nella custodia.

Questa mattina Gesù si è fatto vedere e mi ha trasportato dentro di una chiesa; là ho sentito la S. Messa e ho fatto la comunione dalle mani di Gesù. Dopo ciò mi sono abbracciata ai piedi di lui, sì fortemente che non potevo distaccarmene. Il pensiero delle pene dei giorni passati, cioè della privazione di Gesù, mi faceva tanto temere che di nuovo lo perdessi, che stando ai suoi piedi piangevo e gli dicevo: “Questa volta, o Gesù, non ti lascerò più, perché tu, quando te ne vai da me, mi fai tanto penare ed aspettare”.

Gesù mi disse: “Vieni fra le mie braccia, che voglio ristorarti delle pene che passasti in questi giorni”.

Io quasi non ardivo di farlo, ma Gesù stese le mani e mi prese sui piedi [14], mi abbracciò e mi disse: “Non temere, che non ti lascio; questa mattina voglio contentarti, vieni a starti con me nella custodia”.

E così ci ritirammo tutti e due nella custodia. Chi può dire ciò che facemmo? Ora mi baciava ed io a lui; ora io mi riposavo in lui e Gesù in me; ora vedevo le offese che riceveva, ed io facevo atti di riparazione contro le diverse offese. Chi può dire la pazienza di Gesù nel sacramento? È tale e tanta, che mette terrore solo a pensarla. Ma mentre stavo ciò facendo, Gesù mi ha fatto vedere il confessore che veniva a chiamarmi in me stessa; Gesù mi ha detto: “Basta adesso, va, che l’ubbidienza ti chiama!”.

E così pareva che l’anima tornasse al corpo, e di fatto il confessore mi chiamava all’ubbidienza.

 

Aprile 12, 1899  (13)

Gesù trova in lei il suo tabernacolo, e mostra il suo dolore per le sante messe sacrileghe e le ipocrisie.

Quest’oggi, senza farmi tanto aspettare, Gesù è venuto subito e mi ha detto: “Tu sei il mio tabernacolo; tanto è per me stare nel sacramento, quanto nel tuo cuore; anzi, in te ci trovo un’altra cosa di più, che è il poterti partecipare le mie pene ed averti insieme con me, vittima vivente innanzi alla divina giustizia, ciò che non trovo nel sacramento”.

E mentre diceva queste parole si è rinchiuso dentro di me. Stando dentro di me, Gesù mi faceva sentire, ora le punture delle spine, ora i dolori della croce, gli affanni e le sofferenze del cuore. Intorno al suo cuore vedevo un intreccio di punture[15] di ferro, che lo facevano soffrire molto a Gesù. Ah, quanta pena mi faceva, vederlo tanto soffrire! Avrei voluto io tutto soffrire, anziché far soffrire il mio dolce Gesù, e di cuore l’ho pregato che a me desse le pene, a me il patire.

Gesù mi ha detto: “Figlia, le offese che più trafiggono il mio cuore sono le messe sacrilegamente dette e le ipocrisie”.

Chi può dire quello che compresi in queste due parole? A me più[16] pareva che esternamente si fa vedere che si ama, si loda il Signore, internamente si ha il veleno pronto per ucciderlo; esternamente si fa vedere che si vuole la gloria, l’onore di Dio, internamente si cerca l’onore, la stima propria. Tutte le opere fatte con ipocrisia, anche [le] più sante, sono opere tutte avvelenate, che amareggiano il cuore di Gesù.

 

Aprile 16, 1899  (14)

Gesù la conduce in chiesa e le mostra come viene trattato dalle anime a lui consacrate.

Stando nel mio solito stato, Gesù mi ha invitato a girare per vedere che cosa facevano le creature. Io gli ho detto: “Mio adorabile Gesù, stamane non ci ho voglia di girare e di vedere le offese che ti fanno; stiamoci qui, tutti e due insieme”.

Ma Gesù insisteva che voleva girare; allora, per contentarlo, gli ho detto: “Se vuoi uscire, andiamo piuttosto dentro di qualche chiesa, che là son più poche le offese che vi fanno”.

E così siamo andati dentro ad una chiesa, ma anche là era offeso più che in altri luoghi; non perché nelle chiese si fanno più peccati che nel mondo, ma perché sono offese fatte dai suoi più cari, e da quegli stessi che dovrebbero mettere anima e corpo per difendere l’onore e la gloria di Dio; perciò giungono più dolorose al suo cuore adorabile. Quindi vedevo anime devote, che per bagattelle da niente non si preparavano bene alla comunione; la loro mente, invece di pensare a Gesù, pensava ai loro piccoli disturbi, a tante cose da niente, e questo era il loro apparecchio. Quanta pena facevano queste tali a Gesù, e quanta compassione facevano loro stesse, che badavano a tante pagliuzze, a tante frasche, ed intanto, poi, non benignavano d’uno sguardo a Gesù!

Gesù mi disse: “Figlia mia, quanto impediscono queste anime che la grazia si versi in loro; io non guardo alle minutezze, ma all’amore con cui si accostano, e loro me ne fanno un cambio, più badano[17] alle paglie che al­l’amore; anzi, l’amore distrugge le paglie, ma con molte paglie non si accresce un tantino d’amore, anzi lo si diminuisce. Ma quel ch’è peggio, queste anime che si disturbano tanto, ci perdono molto tempo; vorrebbero stare coi confessori le ore intere per dire tutte queste minutezze, ma mai mettono mano all’opera con una buona e coraggiosa risoluzione per svellere queste paglie. Che dirti poi, o figlia mia, di certi sacerdoti di questi tempi? Si può dire che operano quasi satanicamente, giungendo a farsi idolo delle anime. Ah, sì, dai miei figli il mio cuore viene più trafitto, perché se più gli altri mi offendono, offendono le parti del mio corpo, ma i miei mi offendono le parti più sensibili e tenere, fino nell’intimo del cuore”.

Chi può dire lo strazio di Gesù? Nel dire queste parole piangeva amaramente. Io feci quanto più potevo per compatirlo, ma mentre ciò facevo, ci ritirammo insieme con Gesù sulla croce.

 

Aprile 21, 1899  (15)

Gesù le appare sotto la forma di un ragazzo povero e le chiede di rimanere con lei.

Questa mattina, stando nel mio solito stato, in un momento mi son trovata in me stessa, ma però senza potermi muovere, quando ho inteso che qualcuno entrava nella mia stanzetta, e dopo ha chiuso di nuovo la porta ed ho sentito che si avvicinava al mio letto. Nella mia mente, pensavo che qualcuno fosse entrato furtivamente, senza che nessuno della famiglia lo avesse visto, e fosse penetrato fin dentro la mia stanzetta. Chi sa che cosa mi potrà fare? Era tanto il timore che mi son sentita gelare il sangue nelle vene, e tremavo tutta. “Oh Dio, che fare? ‑ dicevo tra me ‑ la famiglia non l’ha visto, io mi sento tutta intorpidita e non posso difendermi, né posso chiamare aiuto. Gesù, Maria, Mamma mia, aiutatemi! San Giuseppe, difendetemi da questo pericolo!”.

Quando ho inteso che saliva sopra del letto e si è rannicchiato vicino a me, è stato tanto il timore che ho aperto gli occhi e gli ho detto: “Dimmi, chi sei tu?”.

Costui ha risposto: “Io sono il povero dei poveri, non ho dove stare, son venuto da te, se mi vuoi tenere con te nella tua stanzetta; vedi, sono tanto povero che non ho neppure le vesti, ma tu ci penserai a tutto”.

Io lo guardai bene; era un ragazzo di cinque o sei anni, senza vesti, senza scarpe, sommamente bello e grazioso. Subito gli risposi: “Per me, volentieri ti avrei tenuto, ma che dirà il mio papà? Non è che sono persona libera, che posso fare quel che voglio; ho i miei genitori che lo impediscono. A vestirti, sì, lo posso fare con le mie povere fatiche; farò qualunque sacrifizio, ma a tenerti è impossibile. E poi, non tieni padre, non tieni madre, che non hai dove stare?”.

Ma il ragazzo amaramente rispose: “Non ho nessuno. Deh, non farmi più girare, fammi stare con te!”.

Io stessa non sapevo che fare, come tenerlo. Un pensiero mi balenò: chi sa che non è Gesù? Oppure sarà qualche demonio, per disturbarmi? Così di nuovo gli dissi: “Ma dimmi la verità, almeno, chi sei tu?”.

E lui ripetette: “Io sono il povero dei poveri”.

Io replicai: “Hai imparato a farti la croce?”.

“Sì”, rispose.

“Ebbene, fattela; voglio vedere come la fai! Ed egli si segnò con la croce.

Io soggiunsi: “E l’Ave Maria, la sai dire?”. “Sì, ma se vuoi che la dica, diciamola insieme”.

Io incominciai l’Ave Maria e lui diceva insieme, quando una luce purissima è spiccata dalla sua fronte adorabile ed ho conosciuto che il povero dei poveri era Gesù. In un momento, con quella luce che Gesù mi mandava, mi ha fatto di nuovo perdere i sensi e mi ha tirato fuori di me stessa. Io mi vedevo tutta confusa innanzi a Gesù, specialmente per le tante ripulse, e subito gli ho detto: “Carino mio, perdonami; se ti avessi conosciuto non ti avrei vietato l’ingresso. E poi, perché non me lo hai detto che eri proprio tu? Ho tante cose da dirti; te l’avrei detto[18], non avrei perduto il tempo in tante inutilità e timori. Poi, a tener te, non ho bisogno dei miei; posso tenerti liberamente, perché tu non ti fai vedere da nessuno”.

Ma mentre io dicevo, Gesù è scomparso, e così è finito, lasciandomi una pena per non avergli detto nulla di ciò che volevo dirgli.

 

Aprile 25, 1899  (16)

Gesù le mostra il conto che si deve fare delle lodi e dei disprezzi da parte delle creature.

Oggi ho fatto la meditazione sul danno che può venire alle anime nostre dalle lodi che ci danno le creature. Mentre facevo applicazione a me stessa per vedere se ci fosse in me il compiacimento delle lodi umane, Gesù si è avvicinato a me e mi ha detto:

“Quando il cuore è pieno del conoscimento di se stesso, le lodi degli uomini sono come quelle onde del mare che s’innalzano e rumoreggiano, ma mai escono dal loro lido; così le lodi umane strepitano, rumoreggiano, s’avvicinano fino al cuore, ma trovandolo pieno e ben cir­condato da forti mura del conoscimento di se stesso, quindi non avendo dove prendere posto, se ne ritornano indietro, senza fare nessun danno all’anima propria.

Perciò, a questo devi stare attenta, che delle lodi e dei disprezzi delle creature non ne devi fare nessun conto”.

 

Aprile 26, 1899  (17)

Gesù bacia il suo[19] confessore e le parla del valore del distacco dalle creature.

Mentre quest’oggi il mio amante Gesù si faceva vedere, mi pareva che mi mandava tanti lampi di luce che tutta mi penetravano, quando, in un istante, mi sono trovata fuori di me stessa ed insieme si è trovato il confessore. Io subito ho pregato il mio diletto Gesù che desse un bacio al confessore e che andasse un poco nelle braccia di lui (Gesù era bambino). Per contentarmi, subito ha baciato il confessore nel volto, ma senza volersi da me distaccare. Io son rimasta tutta afflitta, dicendogli:

“Tesoretto mio, non era questa la mia intenzione, di farti baciare il volto, ma la bocca, acciocché toccata dalle tue purissime labbra restasse santificata e fortificata da quella debolezza[20], così potrà più liberamente annunziare la santa parola e santificare gli altri. Deh, ti prego di contentarmi!” Così Gesù ha dato un altro bacio alla bocca di lui e dopo ha detto:

“Son tanto a me gradite le anime distaccate da tutto, non solo nell’affetto, ma anche in effetto, che a misura che vanno spogliandosi, così la mia luce va investendole e divengono tali e quali come cristalli, che la luce del sole non trova impedimento a penetrarvi dentro, come la trova nelle fabbriche e nelle altre cose materiali. Ah ‑ disse poi ‑ credono di spogliarsi, ma invece vengono a vestirsi non solo delle cose spirituali, ma anche corporali, perché la mia provvidenza ha una cura tutta particolare e speciale per queste anime distaccate. La mia provvidenza le adombra dappertutto; succede che niente hanno, ma tutto posseggono”.

Dopo questo, ci ritirammo dal confessore e trovammo tante persone religiose che pareva che avevano tutta la mira a lavorare per fini d’interesse. Gesù passando in mezzo a loro disse: “Guai, guai a colui che lavora per fine d’acquistare monete! Già avete ricevuto in vita la vostra mercede”.

 

Maggio 2, 1899  (18)

Gesù le mostra come nella Chiesa sta adombrato il cielo. La esorta poi ad aver fiducia nel confessore.

Questa mattina Gesù faceva molta compassione; era tanto afflitto e sofferente che io non ardivo di fargli nessuna domanda. Ci guardavamo in silenzio, di tanto in tanto mi dava un bacio ed io a lui, e così ha seguitato parecchie volte a farsi vedere. L’ultima volta mi ha fatto vedere la Chiesa, dicendomi queste precise parole:

“Nella mia Chiesa sta adombrato tutto il cielo. Siccome[21] nel cielo uno è il capo, che è Dio, e molti sono i santi, di diverse condizioni, ordini e meriti, così nella mia Chiesa uno è il capo, qual è il Papa, e fin nel triregno che circonda il suo capo viene adombrata la Trinità Sacrosanta; e molte sono le membra che da questo capo dipendono, cioè diverse dignità, diversi ordini, superiori ed inferiori, dal più piccolo fino al più grande; tutti servono ad abbellire la mia Chiesa, ognuno secondo il suo grado ha l’ufficio a lui compartito. Con l’esatto adempimento delle virtù, viene a dare di sé nella mia Chiesa uno splendore odorosissimo, in modo che la terra e il cielo restano profumati ed illuminati, e le genti restano tanto attirate da questa luce e da questo profumo che riesce quasi impossibile non arrendersi alla verità. Lascio considerare a te poi quelle membra infette, che invece di rendere luce danno tenebre. Quanto strazio fanno nella mia Chiesa!”

Mentre Gesù così mi diceva, ho visto il confessore vicino a lui. Gesù col suo sguardo penetrante, fisso lo guardava, poi rivolto a me mi ha detto: “Voglio che [tu] abbia tutta la piena fiducia col confessore anche nelle minime cose, tanto che tra me e lui non ci deve essere differenza alcuna, che a misura della tua fiducia e della fede che presterai alle sue parole, così io vi concorrerò”.

Nell’atto che Gesù diceva queste parole, mi ricordai di certe tentazioni del demonio che avevano prodotto in me qualche poco di sfiducia; ma Gesù col suo occhio vigilante, subito mi ha ripresa e nell’atto stesso mi son sentita togliere da dentro il mio interno quella sfiducia. Sia sempre benedetto il Signore che ha tanta cura di quest’anima così miserabile e peccatrice.

 

Maggio 6, 1899  (19)

Cerca Gesù fra gli spiriti angelici, e Gesù mostra a questi il suo contento per lei.

Questa mattina Gesù stentatamente si è fatto vedere. La mia mente la sentivo tanto confusa che quasi non comprendevo la perdita di Gesù, quando mi son sentita circondata da tanti spiriti; forse erano angeli, ma non sono certa. Mentre mi trovavo in mezzo a questi, di tanto in tanto andavo indagando: chi sa potessi sentire almeno l’alito del mio diletto; ma per quanto facessi non avvertivo [da] niente che ci stesse l’amante mio bene, quando da dietro le spalle mi son sentita venire un alito dolce, subito ho gridato: “Gesù, mio Signore!”

Egli ha risposto: “Luisa, che vuoi?”

“Gesù mio bello, vieni, non stare da dietro[22] le spalle, che non posso vederti; sono stata tutta questa mattina ad aspettarti e ad indagare [se], chi sa ti potessi vedere in mezzo a questi spiriti angelici che circondano il letto, ma non mi è riuscito; quindi mi sentivo molto stanca, perché senza di te non posso trovare riposo. Vieni, che ci riposeremo insieme”.

Così Gesù si è messo a me vicino e mi sosteneva la testa. Quegli spiriti hanno detto: “Signore, come subito ti ha conosciuto! Niente meno, non alla voce, ma al solo alito subito ti ha chiamato”.

Gesù ha risposto a loro: “Lei conosce me ed io conosco lei; mi è tanto cara come mi è cara la pupilla degli occhi miei”.

E mentre così diceva mi son trovata negli occhi di Gesù. Chi può dire ciò che ho provato stando in quegli occhi purissimi? È impossibile manifestarlo a parole; gli stessi angeli ne son rimasti stupiti.

 

Maggio 7, 1899  (20)

Gesù le parla della retta intenzione e del vero amore del prossimo.

Mentre nel giorno ho fatto la meditazione, Gesù continuava a farsi vedere a me vicino, e mi ha detto: “La mia persona è circondata da tutte le opere che si fanno dalle anime, come da una veste; ed a misura della purità d’intenzione e dell’intensità dell’amore che[23] si fanno, così mi danno più splendore, ed io darò a loro più gloria, tanto che nel giorno del giudizio le mostrerò a tutto il mondo per far conoscere a tutto il mondo come mi hanno amato ed onorato i miei figli ed il modo come io onoro loro”.

Prendendo un’aria più afflitta ha soggiunto: “Figlia mia, che sarà di tante opere anche buone fatte senza retta intenzione, per usanza e per fine d’interesse? Quale vergogna non sarà di loro nel giorno del giudizio, nel vedere tante opere buone in sé stesse, ma marcite dalla loro intenzione, che invece di renderle[24] onore come a tante altre, le stesse loro azioni le[25] renderanno vergogna? Perché non sono le opere grandi che miro, ma l’intenzione con cui si fanno; qui è tutta la mia attenzione”.

Per poco Gesù ha fatto silenzio, ed io pensavo alle parole che aveva detto; mentre andavo ruminando nella mia mente, specialmente sulla purità dell’intenzione, e [su] come facendo il bene alle creature, le stesse devono scomparire facendo una la creatura con lo stesso Signore, e fare come se le creature non esistessero, Gesù ha ripreso il suo dire, dicendomi:

“Eppure così è; vedi, il mio cuore è larghissimo, ma la porta è strettissima. Nessuno può riempire il vuoto di questo cuore se non le anime distaccate, nude e semplici, perché come tu vedi, essendo la porta piccola, qualunque impedimento, anche minimo, cioè un’ombra d’attacco, un’intenzione storta, un’opera senza il fine di piacermi, impedisce che entrino a deliziarsi nel mio cuore. L’amore del prossimo, molto va nel mio cuore, ma deve essere tanto congiunto al mio, in modo che [ne] deve formare uno solo, senza potersi discernere uno dall’altro; ma quell’altro amore del prossimo che non è trasformato nel mio amore, io non lo guardo come cosa che a me appartiene”.

 

Maggio 9, 1899  (21)

Lamenti, domande e colloqui con Gesù, che la contenta e le partecipa i suoi patimenti.

Questa mattina mi trovavo in un mare d’afflizione per la perdita di Gesù. Dopo molto stentare Gesù è venuto e tanto si stringeva a me vicino che non potevo neppure vederlo. Giungeva a mettere la fronte sulla mia, il suo volto poggiava proprio sul mio, e così tutte le membra. Ora mentre Gesù stava in questa posizione gli ho detto: “Mio adorabile Gesù, non mi vuoi più bene?”

E lui: “Se non ti volevo bene, non mi stavo tanto a te vicino”.

Ed io ho ripreso: “Come mi dici che mi vuoi bene se non mi fai più soffrire come prima? Temo che non mi si vuole più in questo stato, almeno liberami pure dal fastidio del confessore”.

Mentre ciò dicevo pareva che Gesù non dava retta al mio dire e mi faceva vedere [una] moltitudine di gente che commetteva ogni specie di nefandezze, e Gesù sdegnato con loro faceva piombare in mezzo ad essi diverse specie di malattie contagiose, e molti morivano neri come carboni. Pareva che Gesù sterminasse dalla faccia della terra quella moltitudine di gente. Mentre io vedevo, ho pregato Gesù che versasse in me le sue amarezze, acciocché potesse risparmiare le genti, ma neppure mi dava retta a questo, e rispondendo alle parole che prima gli avevo detto ha soggiunto: “Il più gran castigo che posso dare a te, al sacerdote ed ai popoli è se ti liberassi da questo stato di sofferenze. La mia giustizia si sfogherebbe in tutto il suo furore, perché non troverebbe più alcuna opposizione. Tanto vero che il peggior male per uno è essere messo ad un ufficio e poi essere deposto; meglio per lui se non fosse stato ammesso a quell’uf­ficio, perché abusando e non profittando, se ne rende indegno”.

Poi Gesù ha seguitato a venire quest’oggi parecchie volte, ma tanto afflitto che moveva a pietà ed a lacrime forse le stesse pietre. Per quanto ho potuto cercavo di consolarlo, or me l’abbracciavo, or gli sostenevo la testa molto sofferente, or gli dicevo: “Cuor del mio cuore Gesù, non è stato mai tuo solito comparirmi così afflitto, se altre volte ti sei fatto vedere afflitto, col versare in me [le tue sofferenze], subito dopo hai cambiato aspetto, ma ora mi viene negato di darti questo sollievo. Chi doveva dirlo che dopo tanto tempo che ti sei benignato di versare e di farmi partecipe delle tue sofferenze e che tu stesso hai fatto tanto per dispormi, a quest’ora dovevo restarne priva? Era il patire per tuo amore l’unico mio sollievo, era il patire che mi faceva sopportare l’esilio dal cielo; ma adesso, mancandomi questo mi sento che non ho dove più appoggiarmi e mi viene a noia la vita. Deh, o sposo santo, amato bene, cara mia vita, deh, fammi tornare le pene, dammi il patire, non guardare la mia indegnità ed i miei gravi peccati, ma la tua grande misericordia che non è esaurita!”

Mentre in questo mi sfogavo con Gesù, avvicinandosi più a me mi ha detto: “Figlia mia, è la giustizia che vuole sfogarsi sulle creature. Il numero dei peccati negli uomini quasi è completo e la giustizia vuole uscire fuori per farsi pompa del suo furore e ripararsi delle ingiustizie degli uomini. Ecco, per farti vedere quanto sono amareggiato e per contentarti un po’ voglio versare il mio alito in te”.

E così, avvicinando le sue labbra alle mie mi mandava il suo respiro, che fu tanto amaro che mi sentivo intossicare la bocca, il cuore e tutta la persona. Se il solo suo alito era così amaro, che sarà del resto di Gesù? Mi ha lasciato tanto una pena che mi sentivo trafiggere il cuore.

 

Maggio 12, 1899  (22)

Gesù l'accontenta nei suoi desideri, le fa succhiare dal suo costato dolcezze ed amarezze e passa la giornata con lei.

Questa mattina il mio adorabile Gesù, continuando a farsi vedere afflitto mi ha trasportata fuori da me stessa e mi faceva vedere le varie offese che riceveva, ed io l’ho incominciato a pregare di nuovo che versasse in me le sue amarezze. Gesù da principio non mi dava retta, e solo mi ha detto: “Figlia mia, la carità allora è perfetta, quando è fatta per il solo fine di piacermi; ed allora è detta vera e viene riconosciuta da me, quando è spogliata di tutto”.

Io, prendendo occasione dalle sue stesse parole gli ho detto: “Gesù mio caro, è per questo appunto che voglio che tu versi in me le [tue] proprie amarezze, per poterti sollevare da tante pene; e se ti prego che risparmi pure le creature, è perché ricordo bene che tu, anche in altre occasioni, dopo che avesti castigate le creature, nel vederle soffrire, tanto la povertà che altra cosa, molto anche hai sofferto. Invece, quando io sono stata accorta e ti ho pregato e importunato fino a stancarti, tanto che ti sei ben compiaciuto di versare in me risparmiando loro, dopo ne sei pur restato molto contento, non ve ne ricordate? E poi non sono tue immagini?”

Gesù, vedendosi convinto, mi ha detto: “Per te è necessario contentarti, avvicinati e bevi al mio costato”.

Cosi feci, mi avvicinai per bere al costato, ma invece di venire l’amarezza, succhiavo un sangue dolcissimo che tutta m’inebriava d’amore e di dolcezza, sicché n’ero contenta, ma non era questa la mia intenzione; perciò a lui rivolta gli dissi: “Caro mio bene che fai? Non è amaro quello che viene, ma dolce; deh, ti prego, versa tu in me le tue proprie amarezze!”

E Gesù guardandomi benignamente mi disse: “Continua a bere, che appresso verrà l’amaro”.

Così, mettendomi di nuovo al costato, dopo che continuò a venire il dolce venne anche l’amaro. Ma chi può dire l’intensità dell’amarezza? Dopo che mi saziai di bere mi levai e guardando la [sua] testa che teneva la corona di spine, la tolsi e la conficcai sulla mia testa, e Gesù pareva tutto condiscendente, mentre in altre volte non aveva ciò permesso. Quanto era bello vedere Gesù dopo che versò le sue amarezze! Pareva quasi disarmato, senza fortezza, ma tutto mansueto come un umile agnellino, tutto condiscendente.

Io avvertivo che l’ora era tardissima e siccome il confessore era stato[26] subito questa mattina a chiamarmi all’ubbidienza, quindi non è che sapeva che dovevo essere chiamata [di nuovo] dall’ubbidienza, che all’ubbi­dienza Gesù mi lascia libera. Perciò a lui rivolta gli ho detto: “Gesù dolcissimo, non permettere che io sia di disturbo alla famiglia e di fastidio al confessore col farlo venire di nuovo; deh, ti prego, fammi tu stesso ritornare in me stessa!”

Gesù mi ha detto: “Figlia mia, non ti voglio lasciare quest’oggi”.

Ed io: “Anch’io non ho cuore di lasciarti, ma un pochettino solo, quanto mi faccio vedere alla famiglia che sto in me stessa e poi ritorneremo a stare insieme”.

Così, dopo un lungo contrasto, dandoci un addio a vicenda mi ha lasciato un poco. Era appunto l’ora del pranzo e la famiglia allora veniva a chiamarmi. Ma che, sebbene mi sentivo in me stessa, mi sentivo tutta piena di sofferenza, la testa non mi reggeva, quell’amaro e quel dolce bevuto al costato di Gesù mi dava tanta sazietà e sofferenza insieme che mi riusciva impossibile poter prendere nessun’altra cosa. La parola data a Gesù mi faceva stare sulle spine. Così sotto il pretesto che mi doleva la testa, ho detto alla famiglia: “Lasciatemi sola, che non voglio niente”.

Così sono [stata] lasciata libera di nuovo e subito ho incominciato a chiamare il dolce Gesù, e lui sempre benigno è ritornato. Ma chi può dire ciò che ho passato quest’oggi, quante grazie Gesù ha fatto all’anima mia, quante cose mi ha fatto capire? È impossibile poterlo esprimere a parole. Così, dopo un lungo stare, Gesù, per calmare le mie sofferenze, dalla sua bocca ha versato un latte dolce e poi verso sera mi ha lasciato col darmi la parola che subito sarebbe ritornato; e così mi son trovata in me stessa di nuovo, ma un poco più libera di sofferenze.

 

Maggio 16, 1899  (23)

Gesù le parla della croce e si lamenta delle anime devote.

Gesù ha seguito per altri giorni a manifestarsi allo stesso modo, di non volersi distaccare da me. Pareva che quel poco di sofferenze che aveva versato in me lo attirassero tanto, che non sapeva stare senza di me. Questa mattina ha versato un altro poco d’amarezza dalla sua bocca nella mia e dopo mi ha detto:

“La croce dispone l’anima alla pazienza. La croce apre il cielo ed unisce insieme cielo e terra, cioè Dio e l’anima. La virtù della croce è potente e quando entra in un’anima ha la virtù di togliere la ruggine di tutte le cose terrene; non solo, ma dà la noia, il fastidio, il disprezzo delle cose della terra, ed invece, poi, le rende il sapore, il gradimento delle cose celesti; ma da pochi viene riconosciuta la virtù della croce, perciò [molti] la disprezzano”.

Chi può dire quante cose ho compreso della croce mentre Gesù parlava? Il parlare di Gesù non è come il nostro che tanto si capisce [per] quanto si dice; ma una sola parola lascia una luce immensa, che ruminandola bene potrebbe fare stare occupato tutto il giorno in profondissima meditazione. Perciò se io volessi dire tutto andrei troppo per le lunghe ed anche mi mancherebbe il tempo a farlo.

Dopo poco Gesù è ritornato di nuovo, ma un poco più afflitto. Io subito ho domandato la cagione, e Gesù mi ha fatto vedere molte anime devote e mi ha detto:

“Figlia mia, quello che guardo in un’anima è quando si spoglia della propria volontà, allora la mia Volontà l’investe, la divinizza e la fa tutta mia. Vedi un po’ queste anime che si dicono devote fino a tanto che le cose vanno a lor modo, poi [per] una piccola cosa, se non sono lunghe le loro confessioni, se il confessore non le soddisfa, perdono la pace e certune giungono a non volerne fare più niente. Questo dice che non è la mia Volontà che le[27] predomina, ma la loro. Credi pure o figlia mia, che hanno sbagliata la strada, perché quando veggo che davvero vogliono amarmi, ho tanti modi di poter dare la mia grazia”.

Quanta pena faceva veder Gesù soffrire da [parte di] questa sorta di gente! Ho cercato di compatirlo per quanto ho potuto, e così è finito.

 

Maggio 19, 1899  (24)

Gesù le mostra la preziosità dell'umiltà e della semplicità.

Questa mattina mi sentivo un timore che non fosse Gesù, ma il demonio che mi volesse illudere. Gesù è venuto e vedendomi con questo timore mi ha detto: “L’umiltà è la sicurezza dei favori celesti. L’umiltà veste l’anima d’una sicurezza tale, in modo che le astuzie del nemico non vi penetrano dentro. L’umiltà mette in salvo tutte le grazie celesti, tanto che dove veggo l’umiltà abbondantemente faccio scorrere qualunque specie di favori celesti. Perciò non voler disturbarti per questo, ma con occhio semplice guarda sempre nel tuo interno se sei investita della bella umiltà, e di tutto il resto non curarti di niente”.

Poi mi ha fatto vedere molte persone religiose e tra questi sacerdoti, anche di santa vita; ma per quanto buoni fossero non vi era in loro quello spirito di semplicità nel credere alle tante grazie ed ai tanti diversi modi che il Signore tiene con le anime. Gesù mi ha detto:

“Io mi comunico sia agli umili che ai semplici, perché subito danno credenza alle mie grazie e le tengono in gran conto sebbene siano ignoranti e poveri. Ma con questi altri che tu vedi, io sono molto restio, perché il primo passo che avvicina l’anima a me è la credenza; onde avviene di questi tali, che con tutta la loro scienza e dottrina ed anche santità, non provano mai un raggio di luce celeste, cioè camminano per la via naturale e mai giungono a toccare neppure per un tantino ciò che è soprannaturale. Eccoti pure la causa perché nel corso della mia vita mortale non ci fu neppure un dotto, un sacerdote, un potente nel mio seguito, ma tutti ignoranti e di bassa condizione, perché più umili e semplici, ed anche più facili a fare dei grandi sacrifizi per me”.

 

Maggio 23, 1899  (25)

Gesù scherza e le parla del vero distacco.

Questa mattina il mio adorabile Gesù voleva giocare un poco. Veniva, faceva vedere che mi voleva sentire, ma mentre mi mettevo a dire, come un lampo mi scompariva dinanzi. Oh Dio, che pena!

Mentre il mio cuore nuotava in questa pena amarissima della lontananza di Gesù ed ancor ero quasi un po’ inquieta, Gesù è ritornato di nuovo dicendomi: “Che c’è, che c’è? Più quieta, più calma! Dì, dì, che vuoi?”

Ma nell’atto di dire è scomparso. Ho fatto quanto ho potuto per quietarmi, ma che! Dopo qualche tempo il mio cuore è tornato pur a non sapersi dar pace senza del suo unico e solo conforto, e forse più di prima. Gesù ritornando di nuovo mi ha detto: “Figlia mia, la dolcezza ha la virtù di far cambiare la natura alle cose, sa l’amaro ben convertire in dolce. Perciò più dolce, più dolce”. Ma però senza darmi tempo di dire una sola parola. Così ho passato questa mattina.

Dopo ciò mi son sentita fuori di me stessa insieme con Gesù. Ci stavano molte persone; chi ambiva la ricchezza, chi l’onore, chi la gloria e chi fin la santità e tant’altre cose, ma non per Dio, sebbene[28] per essere tenute per qualche gran che dalle creature. Gesù rivolto a loro, tentennando la testa, [a] loro ha detto: “Stolti che siete, che vi state lavorando la rete come imbrigliarvi”.

Poi rivolto a me mi ha detto: “Figlia mia, perciò la prima cosa che tanto raccomando è il distacco da tutte le cose ed anche da loro stesse, e quando l’anima si è distaccata da tutto non ha bisogno di farsi forza per star lontano da tutte le cose della terra che da sé stesse le vanno intorno, ma vedendosi non curate, anzi disprezzate, dandole un addio si licenziano per non darle più molestia”.

 

Maggio 26, 1899  (26)

Vede il proprio nulla e Gesù l'ammaestra.

Questa mattina mi trovavo in un annientamento di me stessa fino a sentirmi esosa ed infastidita. Mi pareva [di] essere [la] più abominevole che trovar si potesse. Mi vedevo come un piccolo verme che si volgeva e rivolgeva, ma sempre lì nel fango rimanevo, senza poter dare un passo. Oh Dio, che miseria umana! Eppure dopo tante grazie elargitemi sono così cattiva ancora! Il mio buon Gesù, sempre benigno con questa miserabile peccatrice, è venuto e mi ha detto: “Il disprezzo di te stessa allora è lodevole quando è ben investito dallo spirito della fede, ma quando non è investito dallo spirito di fede, invece di farti bene ti potrà nuocere, perché vedendoti quale tu sei, che non puoi fare niente di bene, sconfiderai, rimarrai abbattuta, senza fidarti di dare un passo nella via del bene; ma appoggiandoti a me, cioè investendoti dallo spirito di fede, verrai a conoscere e disprezzare te, ed insieme a conoscere me, confidando di tutto poter operare con l’aiuto mio; ed ecco che facendo in questo modo camminerai secondo la verità”.

Quanto bene ha fatto all’anima mia questo parlare di Gesù! Ho compreso che devo entrare nel mio nulla e conoscere chi sono io, ma non devo lì fermarmi, ma subito dopo, conosciuta me stessa, devo volare nel mare immenso di Dio e lì fermarmi ad attingere tutte le grazie che bisognano all’anima mia; altrimenti la natura resta infiacchita ed il demonio cercherà mezzi come gettarla nella sconfidenza. Sia benedetto sempre il Signore e tutto a gloria sua sempre sia!

 

Maggio 31, 1899  (27)

Lamenti che Gesù fa del confessore e lo consiglia.

Questa mattina, stando nel mio solito stato, il mio adorabile Gesù è venuto e nell’atto stesso ho veduto il confessore. Gesù si mostrava un po’ dispiaciuto con lui, perché pareva che il confessore volesse che tutti approvassero che fosse opera di Dio il fatto mio, e voleva quasi convincere col manifestare qualche cosa del mio interno ad altri sacerdoti. Gesù si è voltato al confessore e gli ha detto:

“Questo è impossibile, finanche io ebbi dei contrari e da persone delle più riguardevoli ed anche da sacerdoti ed altre dignità; ebbero che ridire sulle mie sante opere, fino a tacciarmi d’indemoniato. Questi contrasti, anche da persone religiose, io li permetto per fare che a suo tempo potesse [29] più rilucere la verità. Che [tu] vuoi consigliarti con due o tre sacerdoti dei più buoni e santi ed anche dotti, per averne lume, ed anche per fare ciò che voglio io nelle cose da farsi, quale il consiglio dei buoni e la preghiera, questo io lo permetto, ma il resto no, no, sarebbe un voler farne sciupio delle opere mie e metterle in burle, ciò che molto mi dispiace”.

Poi disse a me: “Quello che voglio da te è un operare retto e semplice; che del pro e contro delle creature non ti curare. Lasciale pensare come vogliono, senza prenderti il minimo fastidio, che il voler che tutti fossero favorevoli è un voler fuorviare dall’imitazione della mia vita”.

 

Giugno 2, 1899  (28)

Gesù le parla della conoscenza di noi stessi.

Il mio dolcissimo Gesù questa mattina mi ha voluto fare toccare con le proprie mani il mio nulla. Nell’atto che si è fatto vedere, le prime parole che mi ha indirizzato sono state: “Chi sono io e chi sei tu?”

Pur in queste due parole vidi due luci immense: in una comprendevo Dio, nell’altra vedevo la mia miseria, il mio nulla; mi vedevo non essere altro che un’ombra, come quell’ombra che fa il sole nell’irradiare la terra, che dipende dal sole, che passando per essa ad altri punti, l’ombra finisce d’esistere fuori del suo splendore. Così l’ombra mia, cioè il mio essere, dipende dal mi­stico sole Iddio, che in un semplice istante può disfare quest’ombra. Che dire poi, come ho deformato que­st’ombra che il Signore mi ha dato non essendo neppure mia? Fa orrore a pensarlo: puzzolente, putrida, tutta verminosa; eppure in questo stato così orrido ero costretta a stare innanzi ad un Dio sì santo. Oh, come sarei stata contenta se mi fosse [stato] dato nascondermi nei più cupi abissi!

Dopo ciò, Gesù mi ha detto: “Il favore più grande che posso fare ad un’anima è il farle conoscere sé stessa. La conoscenza di sé e la conoscenza di Dio vanno pari passi[30]. Per quanto conoscerai te stessa altrettanto conoscerai Dio. L’anima che ha conosciuto sé stessa, vedendosi che da sé non può niente operare di bene, quest’ombra del suo essere la trasforma in Dio e ne avviene che in Dio fa tutte le sue operazioni. Succede che l’anima sta in Dio e cammina presso di lui senza guardare, senza investigare, senza parlare; in una parola, come morta, perché conoscendo a fondo il suo nulla non ardisce di fare niente da sé, ma ciecamente segue il tiro delle operazioni del Verbo”.

A me sembra che all’anima che conosce sé stessa succede come a quelle persone che vanno in vapore, che mentre passano da un punto all’altro, senza fare un passo da sé stesse fanno dei lunghi viaggi, ma tutto in virtù del vapore che le trasporta; così l’anima, mettendosi in Dio come le persone in vapore, fa dei sublimi voli nella via della perfezione, ma conoscendo appieno che non [è] essa, ma in virtù di quel Dio benedetto che la porta in sé. Oh, come il Signore favorisce, arricchisce, concede grazie più grandi, sapendo che non a sé, ma tutto a lui attribuisce! Oh anima che conosci te stessa, quanto tu sei fortunata!

 

Giugno 3, 1899  (29)

Gesù versa in lei le sue amarezze.

Questa mattina mi trovavo in un mare d’afflizione, che Gesù non era venuto ancora; sentivo tale pena che mi sentivo strappare il cuore, quando è venuto il confessore per chiamarmi all’ubbidienza, ché doveva celebrare la santa messa; e Gesù senza farsi vedere neppure l’om­bra, come è suo solito, che quando non viene si fa vedere una mano, un braccio; specialmente quando è giorno di far la comunione, come questa mattina, lui stesso viene, mi purifica, mi prepara per ricevere lui stesso sacramentalmente. Dicevo tra me: “Sposo santo, Gesù amabile, come non venite voi stesso a prepararmi? Come posso ricevervi?” Ma intanto il tempo è giunto, il confessore è venuto, ma Gesù senza venirci affatto. Che pena straziante, quante lacrime amare! Il confessore mi ha detto: “Lo vedrai nella comunione e gli dirai, per ubbidienza, perché non viene e che cosa vuole da te”.

Così, dopo la comunione ho visto il mio buon Gesù, sempre benigno con questa miserabile peccatrice. Mi ha trasportato fuori di me stessa ed io lo tenevo in braccio: era da bambino, tutto afflitto. Io subito ho cominciato a dire: “Bambinello mio, solo ed unico mio bene, com’è che non vieni? In che ti ho offeso? Che cosa vuoi da me, che mi fai così tanto piangere?”

Nell’atto di dire, era tanta la pena che, con tutto ciò che lo tenevo fra le mie braccia, continuavo a piangere. Ma anche prima che finissi di dire l’ultima parola, Gesù avvicinando la sua bocca alla mia ha versato le sue amarezze senza rispondermi una parola. Quando finiva di versare, io incominciavo di nuovo a dire, ma Gesù senza darmi retta si metteva di nuovo a versare. Dopo ciò senza rispondermi niente a ciò che io volevo, mi ha detto: “Fammi versare in te, altrimenti come ho distrutto con la grandine gli altri punti, così distruggerò le parti vostre, perciò fammi versare e non pensare ad altro”.

Così, senza dirmi altro, è finito.

 

Giugno 5, 1899  (30)

Prega insieme con Gesù.

Continua ancora lo stato di annientamento, ma tale che non ardisco di dire una parola al mio diletto Gesù. Ma questa mattina, Gesù, avendo compassione del mio miserabile stato, lui stesso ha voluto sollevarmi, ed ecco come: mentre si è fatto vedere ed io mi sentivo tutta annichilita e vergognosa innanzi a lui, Gesù si è avvicinato a me, ma tanto stretto che mi pareva che egli stesse in me ed io in lui, e mi ha detto: “Figlia mia diletta, che hai che stai tanto afflitta? Dimmi a me tutto, che ti contenterò e rimedierò a tutto”.

Siccome continuavo a vedere me stessa, come dissi l’altro giorno di sopra, onde vedendomi così cattiva, neppure ho ardito di dirgli niente. Ma Gesù ha replicato: “Presto, presto, dimmi che vuoi, non indugiare”.

Vedendomi quasi costretta, dando in dirottissimo pianto, gli ho detto: “Gesù santo, come vuoi che non stia afflitta? Che dopo tante grazie non dovevo essere più così cattiva. Talora anche nelle opere buone che cerco di fare, nelle stesse preghiere, vi mescolo tanti difetti ed imperfezioni che io stessa ne sento orrore. Che sarà innanzi a te che sei così perfetto e santo? E poi lo scarsissimo patire a confronto di prima, il lungo tuo indugio nel venire, tutto mi dice a chiare note che i miei peccati, le mie ingratitudini ne sono la causa, e che tu sdegnato meco, mi neghi pur quel pane quotidiano che concedi tu a tutti generalmente, qual è la croce; sicché poi finirai con l’abbandonarmi del tutto. Si può dare forse maggiore afflizione di questa?”

Gesù, tutto compassionandomi mi ha stretto al suo cuore e mi ha detto: “Non temere, questa mattina faremo le cose insieme, così supplirò alle tue”.

E così prima mi pareva che Gesù conteneva una fonte d’acqua e un’altra di sangue nel suo petto, ed in quelle due fontane ha tuffato l’anima mia, prima nell’acqua e poi nel sangue. Chi può dire come è restata purificata ed abbellita l’anima mia? Dopo mi son messa a pregare insieme con Gesù, recitando tre Gloria Patri, e questo, mi ha detto che lo faceva per supplire alle mie preghiere ed adorazioni alla maestà di Dio. Oh, come era bello e commovente pregare insieme con Gesù!

Dopo ciò Gesù mi ha detto: “Non ti affligga il non patire; vuoi tu anticipare l’ora da me designata? Il mio operare non è furioso, ma tutto a suo tempo; adempiremo ogni cosa a tempo debito”.

Indi poi, per un fatto tutto provvidenziale, all’improv­viso, essendo uscito il viatico dalla chiesa per altri infermi, ho fatto anch’io la comunione. Chi può dire dopo tutto, ciò che è passato tra me e Gesù, i baci, le carezze che Gesù mi faceva? È impossibile poter dire tutto. Mi pareva che dopo la comunione vedevo la sacra particola; ed ora vedevo nella particola la bocca di Gesù, ora gli occhi, ora una mano, e poi ha fatto vedere tutto sé. Mi ha trasportata fuori di me stessa, ed ora mi trovavo nella volta dei cieli ed ora mi trovavo sulla terra in mezzo agli uomini, sempre insieme con Gesù. Lui andava di tanto in tanto ripetendo: “Oh, quanto sei bella diletta mia, se tu sapessi quanto ti amo! E tu, quanto mi ami?”

Nel sentirmi dire queste parole, io provavo tale confusione che mi sentivo morire; ma con tutto ciò ho avuto il coraggio di dirgli: “Gesù mio bello, sì ti amo assai, e tu, se veramente mi ami tanto, dimmi, anche tu mi perdoni per tutto il male che ho fatto? Ma concedimi pur il patire”.

E Gesù: “Sì che ti perdono, e voglio contentarti col versare in abbondanza le mie amarezze in te”.

Così Gesù ha versato le sue amarezze. Mi pareva che avesse una fonte d’amarezza nel suo cuore dalle offese ricevute dagli uomini, e la maggior parte la traboccava in me. Poi Gesù mi ha detto: “Dimmi, che altro vuoi?”

Ed io: “Gesù santo, ti raccomando il mio confessore, fammelo santo e donagli anche la salute del corpo”. E poi: “È Volontà tutta tua che venga questo Padre?”

E Gesù: “Sì”.

Ed io: “Se tua Volontà fosse lo faresti star bene”.

E lui: “Statti quieta, non voler investigare troppo i miei giudizi”. E nell’atto stesso mi faceva vedere il miglioramento della salute del corpo e la santità dell’anima del confessore, ed ha soggiunto: “Tu vuoi essere furiosa, ma io faccio tutto a tempo”.

Dopo ho raccomandato le persone che a me appartenevano, ho pregato per i peccatori dicendo a Gesù: “Oh, quanto desidero che il mio corpo si facesse in minutissimi pezzi, purché i peccatori si convertissero!” E così ho baciato la fronte, gli occhi, il volto, la bocca di Gesù, facendo varie adorazioni, riparazioni per le offese che gli fanno i peccatori. Oh, come era contento Gesù, ed io pure!

Indi, facendomi promettere da Gesù di non dovermi più lasciare, son ritornata in me stessa e così è finito.

 

Giugno 8, 1899  (31)

Domanda la conversione del mondo. Stringe Gesù al suo petto.

Il mio adorabile Gesù continua ancora a farsi vedere tutto benignità e dolcezza. Questa mattina mentre mi trovavo insieme con lui, di nuovo ha replicato: “Dimmi, che vuoi?”

Ed io subito ho detto: “Gesù mio caro, quello che vorrei davvero è che tutto il mondo si convertisse”. Che domanda spropositata! Ma pure[31] il mio amante Gesù mi ha detto:

“Ti contenterei, purché tutti avessero la buona volontà di salvarsi; eppure per farti vedere che volentieri consentirei a tutto ciò che ho detto, andiamo insieme in mezzo al mondo, e tutti quelli che troveremo con la buona volontà di salvarsi, per quanto cattivi fossero io te li darò”.

Così siamo usciti in mezzo alle genti per vedere chi avesse la buona volontà di salvarsi, e per nostro sommo dispiacere abbiamo trovato un numero tanto scarsissimo che fa pena al solo pensarlo, e tra questo scarsissimo numero vi era il mio confessore e la maggior parte dei sacerdoti e parte delle devote, ma non tutti di Corato. Poi mi ha fatto vedere le varie offese che riceveva. Io l’ho pregato che mi facesse parte delle sue sofferenze, e Gesù ha versato dalla sua bocca nella mia le sue amarezze. Dopo ciò mi ha detto:

“Figlia mia, mi sento la bocca troppo amareggiata; deh, ti prego di raddolcirla!” Io gli ho detto: “Volentieri ti avrei dato tutto, ma non ho niente. Dimmi tu stesso, che cosa ti potrei dare?”

E lui fattosi bambino mi ha detto: “Stringimi al tuo cuore e così potrai raddolcirmi” [32]. E nell’atto stesso che ciò diceva si è coricato fra le mie braccia, però mi è venuto un gran timore che non fosse il bambino Gesù, ma il demonio. Perciò ho fatto sulla sua fronte il segno della croce “Per signum crucis”, e Gesù mi ha guardato tutto festoso, sorridendo, e mi diceva: “Non sono [il] demonio”. Dopo si è alzato in piedi in braccio a me stessa e tutta mi baciava; ma sentendomi anch’io la bocca amara per le amarezze che aveva versato in me, domandai a Gesù di raddolcirmela e lui amorosamente lo ha fatto, lasciandomi tutta inondata di dolcezze e di contenti.

Ora quando questo succede, il corpo non ne partecipa niente affatto, e[33] quando mi trovo fuori di me stessa nella volta dei cieli, oppure girando per altri punti della terra. Qualche volta il Signore mi trasporta fuori di me stessa e mi fa partecipe della crocifissione. Gesù stesso mi distende sulla croce e mi trapassa le mani ed i piedi coi chiodi; vi sento tale un dolore da sentirmi morire. Poi trovandomi in me stessa li sento bene nel corpo, tanto vero da non poter muovere le dita, il braccio, e così delle altre sofferenze che il Signore mi fa partecipe. Se dovessi dire tutto andrei troppo per le lunghe.

Aggiungo pure un’altra cosa, cioè che il Signore di tanto in tanto si benigna di versare dalla bocca un latte dolcissimo, oppure di farmi bere al suo costato il suo preziosissimo sangue[34].

 

Giugno 9, 1899  (32)

Gesù le fa vedere le offese che riceve dagli uomini.

Questa mattina l’ho passata molto angustiata per le tante offese che vedevo far dagli uomini, specialmente per certe disonestà orrende. Quanta pena faceva a Gesù la perdita delle anime, molto più d’un bambino nato che dovevano uccidere senza amministrargli il santo battesimo! A me pare che questo peccato pesi tanto sulla bilancia della divina giustizia, che sono i più che[35] gridano vendetta innanzi a Dio. Eppure spesso spesso si rinnovano queste scene dolorose. Il mio dolcissimo Gesù stava tanto afflitto che faceva pietà. Vedendolo in tale stato non ho ardito dirgli niente, e Gesù, solo mi ha detto:

“Figlia mia, unisci le tue sofferenze con le mie, le tue preghiere alle mie, e così innanzi alla maestà di Dio sono più accettevoli e compariscono non come cose tue, ma come opere mie”.

Poi ha seguitato a farsi vedere altre volte, ma sempre in silenzio. Sia sempre benedetto il Signore!

 

Giugno 11, 1899  (33)

Gesù le mostra come saranno trattati coloro che avvicineranno lei.

Il mio dolce Gesù continua a farsi vedere scarsissime volte e quasi sempre in silenzio. La mia mente me la sentivo tutta confusa e piena di timore di poter perdere il mio solo ed unico Bene, e per tante altre cose che non è qui necessario il dirle. Oh Dio, che pena! Mentre stavo in questo stato, quando appena si è fatto vedere e pareva che portava una luce, e da questa luce uscivano altrettanti globetti di luce. E Gesù mi ha detto:

“Togli ogni timore dal tuo cuore. Vedi, ti ho portato questo globo di luce per metterlo tra te e me e tra quelli che a te si avvicinano. [A] quelli che a te s’avvicinano con cuore retto e per farti il bene, questi globetti di luce che escono penetreranno nelle loro menti, scenderanno nel loro cuore, e li riempirà di gaudio e di grazie celesti e comprenderanno con chiarezza ciò che opero in te. Quelli poi che verranno con altre intenzioni sperimenteranno il contrario e da questi globetti di luce resteranno abbagliati e confusi”.

Così son restata più quieta. Sia tutto a gloria di Dio.

 

Giugno 12, 1899  (34)

Gesù stesso la prepara alla comunione.

Questa mattina, dovendo fare la comunione, stavo pregando il buon Gesù che venisse egli stesso a prepararmi prima che venisse il confessore per celebrare la santa messa; altrimenti come potrò ricevervi essendo tanto cattiva e indisposta?

Mentre ciò facevo, il mio dolce Gesù si è compiaciuto di venire. Nell’atto stesso che lo vedevo mi pareva che non faceva altro che saettarmi coi suoi sguardi purissimi e scintillanti di luce. Chi può dire ciò che operavano in me quegli sguardi penetranti, che non lasciavano sfuggire neppure l’ombra d’un piccolo neo? È impossibile poterlo dire; anzi avrei voluto passare tutto ciò in silenzio, perché le operazioni interne della grazia difficilmente si sanno esporre tali quali sono con la bocca; pare piuttosto che si vengono a contraffare. Ma la signora obbedienza non vuole, e quando è per lei bisogna chiudere gli occhi senza dire altro, altrimenti guai da per tutto, perché essendo signora da per se stessa si fa rispettare.

Quindi seguo a dire. Nel primo sguardo ho pregato Gesù che mi purificasse e così mi pareva che dall’animo mio si scuotesse tutto ciò che l’adombrava. Nel secondo sguardo l’ho pregato che mi illuminasse, perché che giova ad una pietra preziosa l’essere pura se non è luccicante per attirarsi gli sguardi di quelli che la mirano? La guarderanno sì, ma con occhio indifferente. Tanto più io, che non solo dovevo essere guardata, ma immedesimata col mio dolce Gesù, avevo bisogno di quella luce che non solo mi rendeva risplendente l’anima, ma che mi faceva capire l’azione grande che stavo per fare. Perciò non mi bastava d’essere purgata, ma illuminata ancora.

Onde Gesù in quello sguardo pareva che mi penetrava come la luce del sole penetra il cristallo. Dopo ciò, vedendo che Gesù continuava a guardarmi, gli ho detto: “Amantissimo Gesù, giacché ti sei compiaciuto prima di purgarmi e poi d’illuminarmi, benignati ora di santificarmi, molto più che dovendo ricevere te che sei il Santo dei santi, non è giusto che io sia tanto diversa da te”.

Così Gesù, sempre benigno verso questa miserabile, si è inclinato verso di me, ha preso l’anima mia fra le sue braccia e pareva che con le sue proprie mani tutta la ritoccava. Chi può dire ciò che operavano in me quei tocchi di quelle mani creatrici? Oh, come le mie passioni a quei tocchi si mettevano a posto! I miei desideri, inclinazioni, affetti, palpiti ed altri miei sensi santificati da quei tocchi divini, si cambiavano in tutt’altro, ed uniti fra loro, non più discordanti come prima facevano una dolce armonia all’udito del mio caro Gesù. Mi pareva che fossero tanti raggi di luce che ferivano il suo cuore adorabile. Oh, come si ricreava Gesù, e che momenti felici sono stati per me! Ah! Io esperimentavo la pace dei santi, per me era un paradiso di contento e di delizie.

Dopo ciò, Gesù pareva che vestiva l’anima mia con la veste della fede, di speranza e di carità; nell’atto stesso che mi vestiva, Gesù mi suggeriva il modo come dovevo esercitarmi in queste tre virtù. Ora mentre stavo ciò facendo, Gesù spiccando un altro raggio di luce mi ha fatto capire il mio nulla, che mi pareva che fosse come un acino d’arena in mezzo ad un vastissimo mare qual è Dio, e questo piccolo acino andava a disperdersi in quel mare immenso, ma si perdeva in Dio. Poi mi ha trasportato fuori di me stessa, portandomi fra le sue braccia, e mi veniva suggerendo vari atti di contrizione dei miei peccati; ricordo solamente che sono stata un abisso d’iniquità. Signore, oh, quante nere ingratitudini ho usato verso di voi!

Mentre facevo questo ho guardato Gesù che teneva la corona di spine in testa. Ho distesa la mano e l’ho tolta dicendogli: “Dammi o Gesù le spine, che son peccatrice; a me convengono le spine, non a te che sei il Giusto, il Santo”.

Così Gesù stesso l’ha conficcata sulla mia testa. Poi, non so come, da lontano ho visto il confessore, subito ho pregato Gesù che andasse a preparare il confessore, per poter riceverlo nella comunione; così Gesù pareva che andasse dal padre. Dopo poco è ritornato e mi ha detto: “Uno voglio che sia il modo che tratti tra me e te, con il confessore[36], e così voglio pure da lui: che guardi e tratti con te come se fossi un altro io, perché essendo tu vittima come fui io, non voglio differenza alcuna, e questo per fare che tutto fosse purgato e che in tutto risplendesse il solo amor mio”.

Io gli ho detto: “Signore, questo pare impossibile, che possa trattare col confessore come si fa con voi, specialmente nel vedere l’instabilità”.

E Gesù: “Eppure è così; la vera virtù, il vero amore tutto fa scomparire, tutto distrugge, e con una maestria da incantare non fa risplendere altro, in tutto il suo operare, che il solo Iddio, e tutto guarda in Dio”.

Dopo ciò è venuto il confessore per chiamarmi all’ub­bidienza e così celebrare la santa messa, e perciò tutto è finito. Quindi ho ascoltato la santa messa ed ho fatto la comunione; ora chi può dire l’intimità che è passata tra me e Gesù? È impossibile poterla manifestare, non ho parole come farmi capire, onde le passo in silenzio.

 

Giugno 14, 1899  (35)

Gesù vuole castigare il mondo.

Questa mattina l’amantissimo Gesù non ci veniva e nel mio interno andavo pensando: “Com’è che non viene? Che c’è di nuovo? Ieri veniva così spesso ed oggi neppure si fa vedere ancora! Che crepacuore, quanta pazienza ci vuole con Gesù!” Tutto il mio interno mi pareva che si metteva tutto all’arme, che voleva Gesù, e mi faceva una guerra da darmi pene di morte. La volontà, come superiora a tutto, cercava di mettere pace col persuadere ai miei sensi, inclinazioni, desideri, affetti ed a tutto il resto di quietarsi, che Gesù doveva venire. Così, dopo il lungo penare, Gesù è venuto portando una tazza in mano, piena di sangue aggrumato, putrefatto e puzzolente, e mi ha detto: “Vedi questa tazza di sangue? La verserò sul mondo”.

Mentre così diceva è venuta la Mamma, la Vergine Santissima, ed insieme con lei il mio confessore, e pregavano Gesù che non la versasse sul mondo, ma che la facesse bere a me. Il confessore gli ha detto: “Signore, a che pro tener la vittima se non volete versare sopra di essa? Assolutamente voglio che la fate soffrire, e risparmiate le genti”.

La Mamma piangeva ed insisteva presso Gesù, [e] presso il confessore di non desistere di pregare finché Gesù non si fosse contentato d’accettare il cambio. Gesù insisteva che la voleva versare sopra il mondo tutto, ed in [un] primo [momento] pareva quasi che si accigliasse. Io mi vedevo tutta confusa, non sapevo dire niente, perché era tanto l’orrore che faceva a vedere quella tazza piena di sangue sì brutto, che metteva il fremito in tutta la natura; che sarebbe a berla? Ma però ero rassegnata, che se il Signore me l’avesse data, l’avrei accettata. Chi può dire poi i castighi che [si] contenevano in quel sangue, se il Signore lo versasse sul mondo? Da questo giorno appunto, pare che tiene preparata una grandine che farà molto danno e pare che deve continuare i giorni seguenti. Dopo poi Gesù pareva un poco più calmo, tanto che pareva abbracciasse il confessore che lo aveva pregato in quel modo, ma però senza venire a nessuna determinazione se lo deve versare sopra le genti o no.

Così è finito, lasciandomi una pena indescrivibile di quello che potrà succedere.

 

Giugno 16, 1899  (36)

Ottiene da Dio di fare risparmiare in parte dai suoi castighi il suo paese.

Continuava ancora a farsi vedere che vuole castigare; io l’ho pregato che volesse versare in me le sue amarezze e che volesse risparmiare tutto il mondo; e se questo non fosse possibile, almeno quelli che mi appartengono e il mio paese. A quest’intenzione pareva che si unisse pure quella del confessore e così pareva che Gesù, vinto dalle preghiere, ha versato un poco dalla sua bocca, ma non quella tazza detta disopra. Questo poco che ha versato pareva che lo facesse per risparmiare in qualche modo il mio paese, ma non tutti quelli che mi appartengono. Io però questa mattina sono stata causa di fare affliggere Gesù. Siccome dopo versato l’ho visto più calmo, senza pensarci gli ho detto: “Amabile mio Gesù, ti prego di liberarmi dal fastidio che do al confessore di farlo venire ogni giorno. Che costa a voi il liberarmi, e che voi stesso che mi mettete nelle sofferenze, voi stesso mi liberate? Certo che vi costa niente e se volete, tutto potete”.

Mentre ciò gli dicevo, Gesù faceva un volto tanto afflitto che quell’afflizione me la sentivo penetrare fin nell’intimo del mio cuore, e senza dirmi parola è scomparso. Come mi ha lasciata mortificata! Lo sa solo il Signore, pensando specialmente, ancora, [che] più non ci veniva [37]. Ma poco dopo è ritornato, ma con maggiore afflizione, portando un volto tutto gonfio e pieno di sangue, che allora allora gli avevano fatto quelle offese. Gesù tutto mesto ha detto:

“Vedi quello che mi hanno fatto, come tu dici che non vuoi che castighi le creature? [I castighi] son necessari per umiliarli e non farli imbaldanzire di più”.

 

Giugno 17, 1899  (37)

Contende con Gesù per far risparmiare i castighi.

Si continua ancora sempre lo stesso, ma specialmente questa mattina sono stata sempre a contendere col mio caro Gesù; lui che voleva continuare a mandare la grandine, come ha fatto nei giorni passati, ed io che non volevo. Quando al meglio, pareva che si preparava un temporale, e dava comando ai demoni che distruggessero col flagello della grandine parecchi punti. Nell’atto stesso vedevo che da lontano mi chiamava il confessore dandomi l’ubbidienza che andassi a mettere in fuga i demoni per non farle[38] far niente. Mentre sono uscita per andare, Gesù si è fatto incontro, facendomi rivolgere indietro. Io gli ho detto: “Signore benedetto, non posso, perché è l’ubbidienza che mi ha chiamato e tu sai che io e tu a questa virtù dobbiamo cedere senza poterci opporre”.

Allora Gesù: “Ebbene, lo farò io per te”.

E così ha comandato ai demoni che andassero in parte più lontana e che per ora non toccassero le terre appartenenti al nostro paese. Poi ha detto a me: “Andiamo”. Così siamo ritornati, io nel letto e Gesù accanto a me. Appena giunti, Gesù voleva riposare, dicendo ch’era molto stanco; io l’ho arrestato dicendogli: “Chi sa ch’è questo sonno che vuoi fare? E poi bella ubbidienza che mi hai fatto fare. Perché vuoi dormire? Questo è il bene che mi vuoi? È [così] che vuoi contentarmi in tutto? Vuoi dormire? Dormi pure, basta che mi dai la parola che non farai niente”.

Allora, dispiacendosi del mio mal contento, mi ha detto: “Figlia mia, eppure vorrei contentarti; facciamo così: usciamo insieme di nuovo in mezzo alle genti e quelli che vediamo che son necessari di punire per le tante nefande azioni, almeno chi sa sotto il flagello si arrendessero, e che tu vuoi [che io punisca, li punirò], e quelli che son meno necessari a punire, e che tu non vuoi, io li risparmierò”.

Ed io: “Signore, grazie ti rendo della tua somma bontà nel volermi contentare, ma con tutto ciò non posso far questo che mi dici. Non mi sento la forza di mettere la volontà mia a castigare nessuna delle tue creature. E poi quale strazio sarà del mio povero cuore, quando sentirò che quel tale o quell’altro è stato castigato, e che io ci abbia messo la mia volontà? Sia mai, sia mai, oh Signore!”

Dopo è venuto il confessore per chiamarmi in me stessa, ed è finito.

 

Giugno 19, 1899  (38)

Gesù si lamenta di certe anime a lui consacrate.

Avendo passato ieri una giornata di purgatorio per la privazione quasi totale del sommo Bene e per le tante tentazioni che mi metteva il demonio, mi pareva che facessi tanti peccati. Oh, Dio che pena, offendere Dio! Questa mattina, appena visto Gesù, subito gli ho detto: “Gesù buono, perdonami i tanti peccati che feci ieri”; e volevo dirgli tutto il male che mi sentivo d’aver fatto. Egli spezzando il mio dire mi ha detto:

“Se fai scomparire te stessa, non farai mai peccati”.

Io volevo continuare a dire, ma Gesù facendomi vedere molte anime devote e mostrandomi di non voler sentire ciò che gli volevo dire, ha ripreso di nuovo a dire:

“Quello che più mi dispiace di queste anime è l’instabilità nel fare il bene; basta una piccola cosa, un dispiacere, anche un difetto, mentre allora è il tempo più necessario per stringersi più a me, e quali[39] invece si irritano, si disturbano e tralasciano il bene incominciato. Quante volte ho preparato loro le grazie per darle e, vedendole così instabili sono stato costretto a ritenerle!” Però, conoscendo che non voleva sapere niente di quello che volevo dirgli e vedendo il mio confessore che stava poco bene nel corpo, ho pregato a lungo per lui, e facendogli[40] varie domande, che non è qui necessario il dirle. E Gesù a tutto benignamente mi ha risposto, e così è finito.

 

Giugno 20, 1899  (39)

Gesù le mostra come la grande santità di Luigi Gonzaga è frutto del grande amore per Dio.

Si continua quasi sempre lo stesso. Questa mattina pare che Gesù abbia voluto sollevarmi un poco, dopo che per qualche tempo sono andata in cerca di lui. Da lontano ho visto un bambino; come fulmine che cade dal cielo, così vi accorsi. Appena giunta, l’ho preso fra le mie braccia, e venendomi un dubbio che non fosse Gesù gli ho detto: “Tesoretto mio caro, dimmi un po’ chi sei”.

Ed egli: “Io sono il tuo caro ed amato Gesù”.

Ed io a lui: “Bambinello mio bello, ti prego di prendere il mio cuore e portarlo con te in paradiso, che appresso al cuore vi verrà l’anima”. Gesù pareva che mi prendesse il cuore e l’univa talmente al suo che ne faceva uno solo. Dopo si è aperto il cielo, parendo che si preparava ad una festa grandissima; nell’atto stesso è sceso dal cielo un giovane di vago aspetto, tutto scintillante di fuoco e fiamme. Gesù mi ha detto:

“Domani è la festa del mio caro Luigi, devo andare ad assistere”.

Ed io: “E me poi mi lasciate sola? Come farò?”

Ed egli: “Anche tu ci verrai. Vedi quanto è bello Luigi? Ma quello che fu più in lui, che lo distinse in terra, era l’amore con cui operava. Tutto era amore in lui, l’amore gli occupava l’interno, l’amore lo circondava [al]l’esterno, sicché anche il respiro si poteva dir ch’era amore; perciò di lui si dice che non patì mai distrazione, perché l’amore l’inondava da per tutto, e da questo amore sarà inondato eternamente, come tu vedi”. E così pareva che era tanto grande l’amore di San Luigi, che poteva incenerire tutto il mondo.

Poi Gesù ha soggiunto: “Io passeggio sopra i più alti monti e vi formo la mia delizia”. Io, non intendendo il significato, [Gesù] ha ripreso a dire: “I monti più alti sono i santi che più mi hanno amato, ed io vi faccio la mia delizia, e quando stanno sulla terra e quando passano su in cielo; sicché il tutto sta nell’amore”.

Dopo ciò ho pregato Gesù che mi benedicesse, a me ed a quelli che in quel momento vedevo; ed egli dando la benedizione è scomparso.

 

Giugno 21, 1899  (40)

Gesù le promette di non lasciarla mai.

Siccome Gesù non ci veniva, andavo pensando tra me: “Chi sa che Gesù non ci verrà più e mi lascia in abbandono”. E non dicevo altro [che]: “Vieni mio diletto, vieni!”

Tutto all’improvviso è venuto e mi ha detto: “Non ti lascerò, mai t’abbandonerò; anche tu vieni, vieni a me”. Io subito son corsa per mettermi nelle sue braccia, e mentre stavo così, Gesù ha ripreso a dire: “Non solo non lascerò te, ma per amore tuo non lascerò Corato”.

Poi senza quasi avvedermene, in un istante è scomparso, mentre io son rimasta che lo desideravo più di prima ed andavo dicendo: “Che mi hai fatto! Come, così presto te ne sei andato, senza neppure dirmi addio?” Mentre sfogavo la mia pena, l’immagine del bambino Gesù che tengo a me vicina, pareva che [Gesù] si facesse vivo, e di tanto in tanto usciva[41] la testa da dentro la campana per vedere che cosa facessi. Quando vedeva che mi avvertivo[42], subito si rinchiudeva dentro.

Io gli ho detto: “Si vede che sei impertinente e che vuoi farla da bambino. Mi sento impazzire per la pena che non vieni e tu stai a giocare; bene, giocate, scherza pure, che io avrò pazienza”.

 

Giugno 22, 1899  (41)

Gesù scherza con lei e le fa dei corrivi[43].

Questa mattina il mio dolce Gesù voleva continuare a farmi dei corrivi ed a voler scherzare. Veniva, metteva le sue manine al [mio] volto nell’atto di volermi fare una carezza, ma nell’atto di farla scompariva. Di nuovo veniva, stendeva le sue braccia al mio collo in atto di volermi abbracciare, ma mentre stendevo le mie per abbracciarlo mi sfuggiva come un lampo, senza poterlo trovare. Chi può dire le pene del mio cuore? Mentre il mio povero cuore nuotava in questo mare di dolore immenso, fino a sentirmi venir meno la vita, è venuta la Mamma Regina, portandolo da bambino fra le sue braccia, e così ci siamo abbracciati tutti e tre insieme, la Mamma, il Figlio ed io. Onde ho potuto aver tempo di dirgli: “Mio Signore Gesù, mi pare che hai sottratto la tua grazia da me”.

Ed egli: “Sciocca, scioccherella che sei! Come dici che ti ho sottratta la mia grazia mentre sono in te? E che cosa è la mia grazia se non me stesso?”

Son restata più confusa di prima, vedendomi che non sapevo parlare e che in quelle due parole che avevo detto non avevo detto altro che spropositi. Dopo, la Regina Madre è scomparsa e Gesù pareva che si chiudesse dentro il mio interno e lì vi rimaneva.

Oggi poi, alla meditazione, si faceva veder che dormiva dentro di me. Io lo stavo guardando, beandomi nel suo bel volto, ma senza destarlo, contenta di vederlo almeno, quando in un istante è venuta di nuovo la bella Mamma Regina, lo ha preso da dentro il mio cuore, tutto smuovendolo in fretta per destarlo; dopo destato me l’ha messo di nuovo in braccio, dicendomi: “Figlia mia, non farlo dormire, che se dorme vedrai che succederà”.

Era un temporale che si preparava; così il bambino, mezzo dormendo, ha steso le sue manine al mio collo, e stringendomi mi ha detto: “Mamma mia, mamma mia, lasciami dormire”. Ed io: “Ninno, mio bello, non sono io che non voglio farti dormire, è la nostra Signora Mamma che non vuole, ed io ti prego di contentarla. È certo che niente si nega alla Mamma, e poi a quella Madre!”

Dopo averlo tenuto un poco in veglia, è scomparso; e così è finito.

 

Giugno 23, 1899  (42)

Vede il confessore insieme con Gesù e prega per lui.

Avendo ascoltato la santa messa e fatto la comunione, il mio Gesù si faceva vedere da dentro il mio cuore; poi mi son sentita uscir fuori di me stessa, ma senza Gesù. Ho visto il mio confessore; siccome lui mi aveva detto che: “Dopo la comunione verrà Nostro Signore e lo pregherai per me”, quindi appena visto il mio confessore gli ho detto: “Padre, mi avete detto che Gesù doveva venire e non è venuto”. Egli mi ha risposto: “Perché non lo sai trovare perciò dici che non è venuto; guarda bene che nel tuo interno ci sta”.

Ho fatto per guardare in me ed ho visto i piedi di Gesù usciti da dentro il mio interno. Subito li ho presi in mano e ho tirato fuori Gesù; me lo son tutto abbracciato, e vedendolo con la corona di spine in testa gliel’ho tolta e l’ho data in mano al confessore dicendogli che me la conficcasse sulla mia testa; e così ha fatto. Macché? Per quanta forza facesse, non gli riusciva di far penetrare una sola spina. Io gli ho detto: “Fate più forte, non temete che io abbia a soffrire assai che, come voi vedete, [ci] sta Gesù che mi dà la forza”.

Per quanto ci provasse, il tutto riusciva impossibile. Allora mi ha detto: “Non è forza mia di poter far questo, e perché essendo[44] ossa [ciò] che devono penetrare queste spine, non è forza mia di poterlo fare”.

Allora mi son rivolta al mio dolce Gesù dicendo: “Tu vedi che il padre non sa metterla, mettila un poco tu stesso”. E così Gesù ha disteso le sue mani ed in un istante ha fatto penetrare dentro la mia testa tutte quelle spine con indicibile dolore e contento.

Dopo ciò insieme col confessore abbiamo pregato Gesù che versasse le sue amarezze, per risparmiare la gente da tanti flagelli che sta versando sopra di loro, come pareva quest’oggi, che stava preparata una grandine un poco lontana da noi; onde il Signore per condiscendere alle nostre preghiere ha versato un poco. Oltre di ciò, siccome continuavo a vedere il confessore, ho incominciato a pregare Gesù per lui, dicendogli: “Buono e caro Gesù, ti prego a far grazia al mio confessore di farlo tutto tuo, secondo il tuo cuore, ed insieme dagli la salute corporale. Tu hai visto come ha cooperato insieme a sollevarvi, tanto la testa dalle spine, quanto il [45] farti versare. Se non è riuscito a conficcarmi le spine in testa, non è stato per non sollevarti né [per] la sua volontà, ma perché non era forza la sua; quindi anche per questo lo devi esaudire. Onde dimmi, o mio solo ed unico Bene, lo farai star bene sia nell’anima come nel corpo?”

Ma Gesù mi sentiva, ma non mi rispondeva; io più mi sollecitavo a pregarlo dicendo: “Questa mattina non ti lascerò né cesserò di pregare, se non mi dai la parola che mi esaudirai per quello che ti domando per lui”.

Ma Gesù non diceva parola, quando nel meglio ci siamo trovati circondati da persone; questi tali pareva che sedessero intorno ad una tavola mangiando, e ci stava pure la mia porzione. Gesù mi ha detto: “Figlia mia, ho fame”.

Ed io: “La porzione mia la do a te, non ne sei contento?”

E Gesù: “Sì, ma non voglio essere visto che ci sto”.

Ed io: “Ebbene, farò vedere che la prendo per me, e senza farmi avvertire la darò a te”. E così abbiamo fatto. Poco dopo Gesù, alzandosi in piedi ed avvicinando le sue labbra al mio volto ha cominciato a suonare dalla sua bocca come un suono di tromba. Tutte quelle genti impallidivano e tremavano, dicendo tra loro: “Che c’è, che c’è? Adesso moriamo!”

Io gli ho detto: “Signore mio Gesù, che fai? Come, fino adesso non volevi essere visto e poi ti sei messo a suonare? Statti quieto, statti quieto, non far prendere paura alle genti; non vedi come tutti si spaventano?”

E Gesù: “Adesso è niente; che sarà quando tutto all’improvviso suonerò più forte? Sarà tale il timore onde [46] verranno presi, che molti e molti lasceranno la vita”.

Ed io: “Adorabile mio Gesù, che dici? Sempre là andate, che vuoi far giustizia; ma no! Misericordia! Misericordia ti prego per il tuo popolo”.

Onde prendendo il suo aspetto dolce e benigno, e continuando [io] a vedere il confessore, di nuovo ho cominciato ad importunarlo, e Gesù mi ha detto: “Farò del tuo confessore come quell’albero innestato, che più non si riconosce l’albero vecchio, sia nell’anima quanto nel corpo; ed in pegno di ciò ho dato te nelle sue mani, come vittima, come[47] fare che se ne avvalga”.

 

Giugno 25, 1899  (43)

Continua a vedere il confessore con Gesù che gli parla della fede.

Continua Gesù a farsi vedere questa mattina, di tanto in tanto, partecipandomi qualche poco delle sue sofferenze, e qualche volta si vedeva anche il confessore unito [a lui]. Siccome egli mi aveva detto di pregare per certi suoi bisogni, vedendolo insieme con Nostro Signore ho cominciato a pregare Gesù che lo esaudisse in ciò che egli voleva. Mentre io lo pregavo, Gesù tutto bontà si è voltato al confessore e gli ha detto:

“La fede voglio che t’inondi dappertutto, come quelle barche che sono tutte nel mare, circondate dalle acque; e siccome la fede sono io stesso, essendo [tu] inondato da me che tutto posseggo, posso e do liberamente a chi in me confida, senza che tu ci pensi a quel che verrà, al quando, ed il come che [48] farai, io stesso secondo i tuoi bisogni mi presterò a soccorrerti”.

Poi ha soggiunto: “Se ti eserciterai in questa fede, quasi nuotando in essa, in ricompensa t’infonderò nel cuore tre gaudi spirituali. Il primo, che penetrerai le cose di Dio con chiarezza, e nel fare le cose sante ti sentirai inondato da una gioia, da un gaudio tale che ti sentirai come inzuppato, e questo è l’unzione della mia grazia. Il secondo è una noia delle cose terrene, e sentirai nel tuo cuore una gioia delle cose celesti. Il terzo è un distacco totale di tutto, e dove prima sentivi inclinazione sentirai un fastidio, come da qualche tempo lo sto infondendo nel tuo cuore, e tu già lo stai esperimentando. E per questo il tuo cuore sarà inondato dalla gioia che godono le anime nude, che hanno il loro cuore tanto inondato dell’amore mio, che dalle cose che le circondano esternamente non ne ricevono nessuna impressione”.

 

Luglio 4, 1899  (44)

Gesù le parla della sua celeste Mamma e poi della turbazione e agitazione spirituale.

Questa mattina, avendomi Gesù rinnovato le pene della crocifissione, si trovava insieme la nostra Mamma Regina, e Gesù parlando di lei ha detto: “Il mio proprio regno fu nel cuore della mia Madre, e questo perché il suo cuore non fu mai menomamente disturbato, tanto che nel mare immenso della passione soffrì pene immense, il suo cuore fu passato [d]a parte a parte dalla spada del dolore, ma non ricevette un minimo alito di turbazione. Quindi essendo il mio regno, regno di pace, perciò potetti in lei stendere il mio regno, senza ricevere nessun ostacolo, [e] liberamente regnare”.

Avendo Gesù seguitato altre volte a venire, e vedendomi io tutta piena di peccati, gli ho detto: “Mio Signore Gesù, mi sento tutta coperta di piaghe e peccati gravi. Deh, ti prego, abbi pietà di questa miserabile!”

E Gesù: “Non temere che non ci sono colpe gravi; e poi si deve avere orrore della colpa, ma non disturbarsi, perché l’agitazione da dovunque venga non fa mai bene all’anima”. Poi ha soggiunto: “Figlia mia, tu sei vittima come io lo sono; fa che tutte le tue opere risplendano con le stesse mie intenzioni pure e sante, acciocché ritrovando in te la mia stessa immagine possa liberamente versar l’influenza delle mie grazie, e così ornata, potrò offrirti come vittima odorosa innanzi alla divina giustizia”.

 

Luglio 9, 1899  (45)

Gesù la crocifigge per placare la divina giustizia.

Questa mattina Gesù ha voluto rinnovare le pene della crocifissione. Prima mi ha trasportata fuori di me stessa, sopra un monte, e mi ha domandato se volessi crocifiggermi[49]; ed io: “Sì, Gesù mio, non altro bramo che la croce”. Mentre ciò dicevo, si è presentata una croce grandissima, e sopra di essa mi ha distesa e con le sue proprie mani mi inchiodava. Che pene atroci soffrivo nel sentirmi trapassare le mani ed i piedi da quei chiodi, che per giunta erano spuntati, e che per farli penetrare si stentava e si soffriva molto. Ma con Gesù tutto riusciva tollerabile. Dopo che ha compiuto di crocifiggermi, mi ha detto:

“Figlia mia, me ne servo di te per poter continuare la mia passione. Siccome il mio corpo glorificato non può più essere capace di soffrire, onde venendo in te me ne avvalgo del tuo corpo come me ne avvalsi del mio nel corso della mia vita mortale, per poter continuare a soffrire la mia passione e così poterti offrire vittima vivente innanzi alla divina giustizia, di riparazione e di propiziazione”.

Dopo ciò pareva che si aprisse il cielo e scendeva una moltitudine di santi, tutti armati di spade. Una voce come di tuono è uscita da dentro quella moltitudine a difendere la giustizia di Dio ed a fare vendetta degli uomini che tanto hanno abusato della sua misericordia. Chi può dire ciò che succedeva sulla terra a questa discesa dei santi? Solo so dire che, chi guerreggiava da un punto e chi dall’altro, chi fuggiva, chi si nascondeva; pareva che tutti erano in costernazione.

 

Luglio 14, 1899  (46)

Gesù l’assicura che non l’ha lasciata né può lasciarla.

Il mio adorabile Gesù continua [in] questi giorni a farsi vedere scarsissime volte. La sua visita è come un lampo, che mentre vuoi seguitare a guardare già sfugge, e se qualche volta si ferma un poco è quasi sempre in silenzio; altre volte dice qualche cosa, ma nell’atto che se ne va via, mi pare che si tira[50] quella parola insieme con quella luce che mi vien dalla sua parola, tanto che dopo non ricordo niente di ciò che ha detto; la mia mente resta nella stessa confusione di prima. Che stato miserabile! Mio caro Gesù, abbi pietà di questa misera, continua a fare uso della tua misericordia.

Quindi per non fare lunghezze, e dire giorno per giorno ciò che ho passato, dirò qui tutt’insieme qualche parola che mi ha detto in questi scorsi giorni. Ricordo che dopo aver versato lacrime amarissime, Gesù facendosi vedere, ed io lamentandomi con lui che mi aveva lasciato, Gesù chiamò a sé molti angeli e santi, e rivolto a loro disse: “Sentite che dice, che io l’ho lasciata; ditele un poco, posso io lasciare quelli che mi amano? Essa mi ha amato, come posso lasciarla?” Ed i santi furono  col Signore d’accordo, ed io restai più umiliata e confusa di prima.

Un’altra volta, dicendogli: “Fino all’ultimo[51] finirai col lasciarmi del tutto”, Gesù mi disse: “Figlia, non posso lasciarti, e per pegno di ciò ho messo in te le mie sofferenze”.

Trovandomi occupata dal pensiero: “Come, o Signore, hai permesso che venisse il sacerdote? Poteva passare il fatto tra me e te”. In un istante mi son trovata fuori di me stessa, distesa sopra una croce, ma non vi era nessuno che mi potesse inchiodare. Io ho cominciato a pregare il Signore che venisse a crocifiggermi, e Gesù è venuto e mi ha detto: “Vedi quanto è necessario che il sacerdote stia in mezzo alle opere mie, e questo aiuta ancora per compire la crocifissione; è certo che senza nessuno, da te sola non puoi crocifiggerti; sempre c’è bisogno dell’aiuto degli altri”.

 

Luglio 18, 1899  (47)

Attira e costringe a stare nel suo cuore Gesù sacramentato.

Continua quasi sempre lo stesso. Questa volta mi pareva che nel mio cuore stesse Gesù sacramentato, e dall’ostia santa spandeva tanti raggi nel mio interno, e dal mio cuore uscivano tanti fili cui s’intrecciavano tutti quei raggi di luce. Mi pareva che Gesù col suo amore si attirava tutto il mio cuore, ed il mio cuore con quei fili si[52] attirava e legava tutto Gesù a starsi con me.

 

Luglio 22, 1899  (48)

Gesù le mostra come la croce rende l’anima trasparente.

Il mio adorabile Gesù questa mattina si faceva vedere con una croce d’oro pendente al collo, tutta risplendente, e che guardandola se ne compiaceva immensamente. In un istante si è trovato il confessore presente; Gesù gli ha detto:

“Le sofferenze dei giorni passati hanno accresciuto lo splendore alla croce, tanto che guardandola prendo molto piacere”. Poi si è voltato a me e mi ha detto: “La croce comunica tale uno splendore all’anima da renderla trasparente; e siccome quando un oggetto è trasparente [gli] si possono dare tutti quei colori che si vogliono, così la croce con la sua luce dà tutti i lineamenti e le forme più belle, che mai si possa immaginare, non solo dagli altri, ma anche dall’anima stessa che la prova. Oltre di ciò, in un oggetto trasparente subito si scopre la polvere, le piccole macchie ed anche l’adombramento. Tale è la croce; siccome rende l’anima trasparente, subito fa scovare all’anima i piccoli difetti, le minime imperfezioni, tanto che non c’è mano maestra più abile della croce a fare che tenga l’anima preparata, per renderla degna abitazione del Dio del cielo”. Chi può dire ciò che ho compreso della croce e quanto è da invidiare l’anima che la possiede?

Dopo ciò mi ha trasportato fuori di me stessa e mi son trovata sopra una scala altissima, che sotto [di sé] metteva ad un precipizio, e per giunta i gradini di questa scala erano movibili e tanto stretti che appena si poteva poggiare la punta dei piedi. Quello che più metteva terrore era il precipizio e il non poter trovare appoggio di sorta, e volendosi afferrare ai gradini [questi] se ne venivano appresso. Nel[53] vedere le altre persone, che quasi tutti precipitavano, metteva il brivido nelle ossa; eppure non si poteva fare a meno di passare per quella scala. Quindi mi son provata, ma appena ho fatto due o tre gradini, vedendo il pericolo grande che correvo di cadere nell’abisso, ho incominciato a chiamare Gesù, che venisse in mio aiuto. Onde senza sapere come ho trovato Gesù presso di me, e mi ha detto:

“Figlia mia, questa che tu hai visto è la via che battono tutti gli uomini in questa terra; i gradini movibili, che neppure potevano appoggiarsi per avere un sostegno, sono gli appoggi umani, le cose terrene, che volendosi appoggiare, invece di dar loro aiuto, danno loro una spinta per precipitare più presto nell’inferno. Il mezzo più sicuro è il camminare quasi volando, senza appoggiarsi sulla terra, a forza di proprie braccia, con gli occhi tutti a sé, senza guardare gli altri, e con l’averli anche tutti intenti a me per avere aiuto e forza; e così si potrà facilmente evitare il precipizio”.

 

Luglio 28, 1899  (49)

La vita umana è un giuoco;  anche Gesù scherza.

Questa mattina il mio adorabile Gesù è venuto con un aspetto tutto ammirabile e misterioso. Portava una catena al collo, pendente su tutto il petto; da una parte si vedeva come un arco, dall’altra parte della catena come un turcasso, pieno di pietre preziose e di gemme, che dava un ornamento dei più belli al petto del mio dolce Gesù, e con una lancia in mano. Mentre stava in questo aspetto mi ha detto:

“La vita umana è un giuoco; chi gioca [con] il piacere, chi [con] il denaro e chi [con] la propria vita, e tanti altri giuochi che fanno. Anch’io mi diletto di giocare con le anime; ma quali sono questi scherzi che faccio? Sono le croci che invio; se le ricevono con rassegnazione e me ne ringraziano io mi ricreo e scherzo con loro, compiacendomi immensamente, ricevendone grande onore e gloria, ed a loro faccio fare dei più grandi acquisti”.

Nell’atto di dire ciò ha cominciato a toccarmi con la lancia; dall’arco e dal turcasso, già tutte quelle pietre preziose che dentro conteneva uscivano fuori e si cambiavano in tante croci e saette che ferivano le creature. Certune, ma in numero scarsissimo, ne gioivano, se le baciavano e le ringraziavano e venivano a formare un giuoco con Gesù; altri poi le prendevano e le gettavano in faccia a Gesù. Oh, come ne restava afflitto Gesù e che gran perdita facevano quelle anime!

Poi Gesù ha soggiunto: “Questa è la sete che gridai sulla croce, che non potendo dissetarla allora interamente, mi compiaccio di continuare a dissetarla nelle anime dei miei cari che soffrono. Quindi soffrendo, vieni a dare un ristoro alla mia sete”.

Ritornando altre volte a pregarlo che liberasse il confessore che soffriva, mi ha detto: “Figlia mia, non sai tu che il marchio più nobile che posso imprimere nei miei cari figli è la croce?”

 

Luglio 30, 1899  (50)

Gesù le parla della carità verso il prossimo e della stima che bisogna avere delle sue parole.

Si continua quasi sempre lo stesso. Questa mattina, trasportandomi Gesù secondo il suo solito fuori di me stessa, siamo passati in mezzo [a] molta gente, e la maggior parte di questi, erano intenti a giudicare le azioni altrui senza guardare le proprie. Il mio diletto Gesù mi ha detto:

“Il mezzo più sicuro per essere retto col prossimo è non guardare affatto ciò che essi fanno, ché guardare, pensare e giudicare è tutto lo stesso. Poi guardando il prossimo, [l’uomo] viene a defraudare l’anima propria; quindi ne avviene che non è retto né per sé né per il prossimo né per Dio”.

Dopo ciò gli ho detto: “Mio unico Bene, è da qualche tempo che non mi avete dato neppure un bacio”; e così ci siamo ambedue baciati, e volendomi quasi correggere ha soggiunto:

“Figlia mia, quel che ti raccomando è di conservare e di fare stima delle mie parole, perché la mia parola è eterna e santa come me stesso, e conservandola nel tuo cuore, e profittando, avrai la tua santificazione e ne riceverai in ricompensa uno splendore eterno prodottoti dalla mia parola. Facendo diversamente, l’anima tua riceverà un vuoto e ne resterai a me debitrice”.

 

Luglio 31, 1899  (51)

Gesù le compare silenzioso.

Continuando Gesù a venire, questa mattina, ma però sempre in silenzio; ma [54] io ne ero contentissima, purché avessi il mio tesoro Gesù, perché avendo lui avevo tutti i miei contenti. Molte cose comprendevo nel vederlo, della sua bellezza, della sua bontà ed altro; ma siccome era tutto per mezzo d’intelligenza e per via di comunicazione intellettuale, perciò la bocca non sa esprimere niente; onde le passo in silenzio.

 

Agosto 1, 1899  (52)

Lamenti di Gesù per le impurità degli uomini.

Questa mattina il mio soavissimo Gesù, trasportandomi fuori di me stessa, mi faceva vedere la corruzione in cui è decaduto il genere umano. Fa orrore a pensarlo! Mentre mi trovavo in mezzo a questa gente, Gesù diceva quasi piangendo:

“Oh, uomo, come ti sei deturpato, deformato, snobilitato! Oh, uomo, io ti ho fatto perché fossi mio vivo tempio e tu invece ti sei fatto abitazione del demonio! Guarda, anche le piante con l’essere coperte di foglie, di fiori e frutti, t’insegnano l’onestà, il pudore che tu devi avere del tuo corpo; e tu avendo perduto ogni pudore ed anche soggezione naturale che dovresti avere ti sei reso peggiore delle bestie, tanto che non ho più a chi rassomigliarti. Immagine mia tu eri, ma ora non più ti riconosco; anzi mi fai tanto orrore delle[55] tue impurità, che mi fai nausea a vederti, e tu stesso mi costringi a fuggire da te”.

Mentre così diceva Gesù, io mi sentivo straziare dal dolore nel vederlo così amareggiato il mio diletto Gesù, perciò gli ho detto: “Signore, avete ragione che non trovate più niente di bene nell’uomo, e che è giunto a tale cecità che non sa neppure più tenersi alle leggi della natura, onde se volete guardare l’uomo non farete altro che mandare castighi; perciò vi prego ad avere di mira la vostra misericordia, e così sarà rimediato tutto”.

Mentre così dicevo, Gesù mi ha detto: “Figlia, dammi tu un ristoro alle mie pene”. Nell’atto di dire così si è tolto la corona di spine, che pareva incarnata nella sua adorabile testa, e me l’ha conficcata nella mia. Vi sentivo dolori acerbissimi, ma ero contenta che si ristorava Gesù. Dopo ciò mi ha detto:

“Figlia mia, io amo grandemente le anime pure e, come dagli impuri sono costretto a fuggire, da queste [56] invece come da calamita son tirato a fare soggiorno con loro. Alle anime pure volentieri impresto la mia bocca per farle parlare con la stessa mia lingua; sicché non hanno da durare fatica per [57] convertire le anime. In dette anime io mi compiaccio, non solo di continuare in loro la mia passione, e così continuare ancora la redenzione, ma quello che è più mi compiaccio sommamente di glorificare in loro le mie stesse virtù”.

 

Agosto 2, 1899  (53)

Gesù fa minacce di castighi e le mostra la necessità di corrispondere alle sue grazie.

Questa mattina il mio adorabile Gesù si faceva vedere tutto afflitto e quasi adirato cogli uomini, minacciando i soliti castighi e di far morire gente all’improvviso sotto i fulmini, grandine e fuoco. Io l’ho pregato assai che si placasse, e Gesù mi ha detto:

“Son tante le iniquità che si innalzano dalla terra al cielo che, se mancasse per un quarto d’ora la preghiera delle anime che stanno vittime innanzi a me, io farei uscire fuoco dalla terra e brucerei le genti”. Poi ha soggiunto: “Vedi quante grazie dovrei versare sulle creature, ma perché non trovo corrispondenza son costretto a ritenerle in me, anzi me le fanno cambiare in castighi. Bada tu, figlia mia, a corrispondermi alle tante grazie che sto versando in te, che la corrispondenza è la porta aperta per farmi entrare nel cuore ed ivi formare la mia abitazione. La corrispondenza è come quella buona accoglienza, quella stima che si usa a quelle persone quando vengono a far visite, in modo che, attirate da quel rispetto, da quelle maniere [e] affabilità che si usa[no] con loro, sono costrette a venire altre volte e giungono a non sapersene distaccare. Il tutto sta nel corrispondermi, ed a misura che[58] mi corrispondono e [mi] trattano loro in terra, io mi [com]porterò con loro in cielo, facendo loro trovare le porte aperte; inviterò tutta la corte celeste ad accoglierli e li collocherò nel più sublime trono, ma sarà tutto al contrario per chi non mi corrisponde”.

 

Agosto 7, 1899  (54)

Gesù mi parla sul nulla di noi stessi.

Questa mattina l’amabile mio Gesù non ci veniva. Dopo tanto aspettare e riaspettare finalmente è venuto. Era tanta la mia confusione ed annichilazione che non sapevo dirgli niente. Gesù mi ha detto: “Quanto più ti annienterai e conoscerai il tuo nulla, tanto più la mia umanità, spiccando raggi di luce, ti comunicherà le mie virtù”.

Io gli ho detto: “Signore, sono tanto cattiva e brutta che faccio orrore a me stessa; che sarò innanzi a voi?”

E Gesù: “Se tu sei brutta, sono io che ti posso rendere bella”.

E nell’atto di così dire ha mandato una luce da sé all’anima mia, e pareva che le comunicasse la sua bellezza. E poi abbracciandomi ha incominciato a dire: “Quanto sei bella, ma bella della mia stessa bellezza! Perciò sono tirato ad amarti”.

Chi può dire quanto son restata più che mai confusa? Ma il tutto sia a sua gloria.

 

Agosto 8, 1899  (55)

Gesù le parla della rassegnazione.

Continua a farsi vedere quando appena[59] e quasi adirato con gli uomini, e per quanto l’ho pregato che versasse in me le sue amarezze è stato impossibile; e senza darmi retta a ciò che gli dicevo, mi ha detto:

“La rassegnazione assorbisce tutto ciò che può essere di pena e di disgustoso alla natura e lo converte in dolce; ed essendo l’essere mio pacifico, tranquillo, in modo che qualunque cosa potrà succedere in cielo e in terra non può ricevere il minimo alito di turbazione, quindi la rassegnazione ha la virtù d’innestare nell’anima queste stesse mie virtù. L’anima rassegnata sta sempre in riposo, non solo essa, ma fa riposare tranquillamente anche me in lei”.

 

Agosto 10, 1899  (56)

Gesù le parla della giustizia e della semplicità.

Mentre questa mattina il mio dolce Gesù è venuto, mi ha trasportato fuori di me stessa ed è scomparso. Ed avendomi lasciata sola, ho visto che dal cielo scendevano come due candelabri di fuoco, e che poi, dividendosi in tanti pezzi, si formavano tanti fulmini e grandine che scendevano in terra e faceva[no] uno strazio grandissimo sulle piante e sugli uomini. Era tanto l’orrore e la cattività del temporale che non si poteva neppure pregare, e le persone non potevano giungere a ritirarsi alle proprie case. Chi può dire quanto sono restata spaven­tata? Onde mi son messa a pregare per placare il Signore. Ritornando [Gesù], ho visto che in mano portava come una bacchetta di ferro ed alla punta una palla di fuoco, e mi ha detto:

“La mia giustizia è lungamente trattenuta, per questa ragione vuole vendicarsi contro le creature, mentre loro hanno ardito di distruggere in loro ogni giustizia. Ah! Sì, niente di giusto trovo nell’uomo; si è pur tutto contraffatto nelle parole, nelle opere e nei passi; tutto è inganno, tutto è frode, tutto è ingiusto; sicché penetrando nel cuore, [l’]interno e [l’]esterno non è altro che una sentina di vizi. Povero uomo, come ti sei ridotto!”

Mentre così diceva, la bacchetta che teneva in mano la dimenava in atto di ferire l’uomo. Io gli ho detto: “Signore, che fai?”

E lui: “Non temere; vedi questa palla di fuoco che farà fuoco e non colpirà che i cattivi, che [60] i buoni non ne riceveranno nocumento”.

Ed io ho soggiunto: “Ah, Signore! Chi è buono? Tutti siamo cattivi; ti prego di non guardare a noi, ma alla tua infinita misericordia e così resterai placato per tutti”.

Dopo ciò ha soggiunto: “Figlia, della giustizia è la verità. Come sono io verità eterna che non inganna, così l’anima che possiede la giustizia fa rilucere in tutte le sue azioni la verità; quindi conoscendo per esperienza la vera luce della verità, se qualcuno vuole ingannarla con la luce che avverte in sé, subito conosce l’inganno; onde avviene che con questa luce della verità non inganna sé stessa né il prossimo, né può ricevere inganno. Frutto che produce questa giustizia e questa verità è la semplicità, ch’è un’altra qualità dell’essere mio, e che penetra ovunque. Non c’è cosa che può opporsi a farmi penetrare dentro: penetra nel cielo e negli abissi, nel bene e nel male; ma l’essere mio, semplicissimo, penetrando anche nel male non s’imbratta, anzi non ne riceve il minimo adombramento. Così l’anima con la giustizia e con la verità va raccogliendo in sé questo bel frutto della semplicità; penetra nel cielo, s’introduce nei cuori per condurli a me, penetra in tutto ciò ch’è bene e, trovandosi coi peccatori a vedere il male che fanno, non resta imbrattata, perché essendo semplice subito si sbriga, senza ricevere nocumento alcuno. È tanto bella la semplicità che il mio cuore resta ferito ad un solo [suo] sguardo. Un’anima semplice è d’ammirazione agli angeli ed agli uomini”.

 

Agosto 12, 1899  (57)

Gesù la trasforma tutta in sé e le dà ammaestramenti di carità verso il prossimo.

Questa mattina il mio adorabile Gesù, dopo che mi ha fatto per qualche tempo aspettare, è venuto dicendomi: “Figlia mia, questa mattina voglio uniformarti tutta a me; voglio che pensi con la mia stessa mente, che guardi coi miei stessi occhi, che ascolti con le mie stesse orecchie, che parli con la mia stessa lingua, che operi con le mie stesse mani, che cammini con i miei stessi piedi e che mi ami col mio stesso cuore”.

Dopo ciò Gesù univa i suoi sensi nominati di sopra ai miei, e vedevo che mi dava la sua stessa forma, non solo, ma mi dava la grazia di farne quell’uso che fece egli stesso; e poi ha seguitato a dire: “Grazie grandi io verso in te, ti raccomando di saperle conservare”.

Ed io: “Temo assai, o mio diletto Gesù, nel conoscermi tutta piena di miserie, e che invece di far bene faccio cattivo uso delle grazie tue. Ma quel che più mi fa temere è la lingua che spesso mi [fa] sdrucciolare nella carità del[61] prossimo”.

E Gesù: “Non temere, t’insegnerò io stesso il modo che devi tenere a[62] parlare col prossimo. La prima cosa, quando ti si dice qualche cosa che riguarda il prossimo, getta uno sguardo sopra te stessa ed osserva se tu sei colpevole di quello stesso difetto, ed allora il voler correggere è un volere indignare me e scandalizzare il prossimo. La seconda, se tu ti vedi libera di[63] quel difetto, allora sollevati, e cercherai di parlare come avrei parlato io; così parlerai con la mia stessa lingua. Facendo così non difetterai sulla carità del prossimo, anzi coi tuoi discorsi farai bene a te e al prossimo, ed a me darai onore e gloria”.

 

Agosto 13, 1899  (58)

Minacce di castighi. Trasformazione di Gesù [in Luisa e di Luisa in Gesù].

Continuava a farsi vedere questa mattina, quando appena, minacciando sempre castighi; e mentre io facevo per pregare che si placasse, come un lampo mi sfuggiva davanti. L’ultima volta ch’è venuto, si faceva vedere crocifisso; mi son messa vicino a baciare le sue santissime piaghe, facendo varie adorazioni; ma mentre ciò facevo, invece di Gesù Cristo ho visto la mia stessa immagine. Sono [re]stata sorpresa ed ho lasciato [di fare ciò], dicendo: “Signore, che sto facendo? A me stessa sto facendo le adorazioni? Questo non si può fare”.

E nell’atto stesso [la mia immagine] si è cambiata nella persona di Gesù Cristo, e [Gesù] mi ha detto: “Non ti meravigliare che ho preso la tua stessa immagine. Se io soffro in te continuamente, qual maraviglia c’è che ho preso la tua stessa forma? E poi non è per farti una mia stessa immagine che ti faccio soffrire?”

Io sono rimasta tutta confusa e Gesù è scomparso. Sia tutto a gloria sua, sia benedetto sempre il suo santo nome!

 

Agosto 15, 1899  (59)

Gesù vuole che la carità ordini tutto nel suo cuore; la fa assistere alla festa che si fa in cielo alla Mamma celeste, e le dà l’ufficio di mamma in terra.

Il mio dolcissimo Gesù questa mattina è venuto tutto festoso, portando un nembo di graziosissimi fiori fra le mani; e mettendosi nel mio cuore, con quei fiori, ora si circondava la testa, ora se li teneva tra le mani, tutto ricreandosi e compiacendosi. Mentre festeggiava con que­sti fiori, parendo di aver fatto grande acquisto, si è voltato a me e mi ha detto:

“Diletta mia, questa mattina sono venuto per mettere nel tuo cuore in ordine tutte le virtù. Le altre virtù possono stare separate l’una dall’altra, ma la carità lega e ordina tutto. Ecco quello che voglio fare in te, se non[64] che ordinare la carità”.

Io gli ho detto: “Mio solo ed unico Bene, come puoi far ciò essendo io tanto cattiva e piena di difetti ed imperfezioni? Se la carità è ordine, questi difetti e peccati non sono disordine che tengono tutto in scompiglio e rivoltato l’animo mio?”

E Gesù: “Io purificherò tutto e la carità metterà tutto in ordine. E poi quando un’anima la faccio partecipe delle pene della mia passione, non [ci] possono essere colpe gravi, al più qualche difetto veniale involontario; ma il mio amore, essendo fuoco, consumerà tutto ciò che è imperfetto nell’animo tuo”.

Così Gesù pareva che mi purificasse, ed ordinasse tutto; poi versava come un rivolo di miele dal suo cuore nel mio e con quel miele innaffiava tutto il mio interno, in modo che tutto ciò che stava in me restava ordinato, unito e con l’impronta della carità. Dopo ciò mi son sentita uscire fuori di me stessa nella volta dei cieli insieme col mio amante Gesù. Pareva che tutto era in festa, cielo, terra e purgatorio; tutti erano inondati d’un nuovo gaudio e giubilo; molte anime uscivano dal purgatorio e come folgori giungevano in cielo per assistere alla festa della nostra Regina Mamma. Anch’io mi spingevo in mezzo a quella folla immensa di gente, cioè angeli e santi e [anime del] purgatorio, che occupavano quel nuovo cielo ch’era tanto immenso che quello nostro che vediamo, confrontato con quello, mi pareva un piccolo buco; molto più che ne avevo l’ubbidienza del confessore. Ma nel mentre facevo per guardare, non vedevo altro che un sole luminosissimo che spandeva raggi che tutta mi penetravano da parte a parte, da [farmi] diventare come cristallo, tanto che si scorgeva[no] benissimo i piccoli nei e l’infinita distanza che passa tra il Creatore e la creatura; tanto più che quei raggi, ognuno aveva la sua impronta, chi dimostrava la santità di Dio, chi la purità, chi la potenza, chi la sapienza e tutte le altre virtù ed attributi di Dio. Sicché l’anima, vedendo il suo nulla, le sue miserie e la sua povertà, si sentiva annichilita, ed invece di guardare sprofondava boccone a terra, innanzi a quel sole eterno, innanzi a cui non c’è nessuno che può stargli di fronte.

Il più era che per vedere la festa della nostra Mamma Regina si doveva guardare da dentro quel sole; tanto pareva immersa in Dio la Vergine Santissima, che guardando da altri punti non si vedeva niente. Ora mentre mi trovavo in queste condizioni d’annichilazione innanzi a quel sole divino, la Mamma Regina tenendo in braccio il bambinello, Gesù mi ha detto:

“[È] la nostra Mamma che sta in cielo; do a te l’ufficio di farmi da mamma sulla terra. E siccome la mia vita va continuamente soggetta ai disprezzi, alla povertà, alle pene, agli abbandoni degli uomini, e mia Madre stando in terra fu la mia compagna di[65] tutte queste pene, non solo, ma cercava di sollevarmi in tutto per quanto le sue forze potevano, anche tu facendomi da madre mi terrai fedele compagnia in tutte le mie pene, soffrendo tu in vece mia per quanto puoi, e dove non puoi cercherai di darmi almeno un ristoro. Sappi però che ti voglio tutta intenta a me; sarò geloso anche del tuo respiro se non lo farai per me, e quando vedrò che tu non starai tutta intenta a contentarmi non ti darò né pace né riposo”.

Dopo ciò ho incominciato a fargli l’ufficio della Mamma sua; ma, oh, quanta attenzione ci voleva per contentarlo! Non si poteva dare neppure uno sguardo altrove, per vederlo contentato; ora voleva dormire, ora voleva bere, ora voleva ricrearsi con le carezze, ed io dovevo trovarmi pronta a tutto ciò che voleva; ora diceva: “Mamma mia, mi duole la testa, deh, sollevami!” Ed io subito gli vedevo la testa, e trovando delle spine le toglievo, e mettendogli il mio braccio sotto la testa lo facevo riposare. Mentre facevo che riposasse, nel meglio si alzava e diceva: “Mi sento un peso ed una sofferenza al cuore da sentirmi morire; vedi un poco che ci sta”. Ed osservando nell’interno del cuore ho trovato tutti gli strumenti della passione; ad uno ad uno li ho tolti e li ho messi nel mio cuore.

Onde vedendolo sollevato ho cominciato a carezzarlo ed a baciarlo e gli ho detto: “Solo ed unico mio tesoro, neppure mi avete fatto vedere la festa della nostra Regina Madre né sentire i primi cantici che fecero gli angeli e santi nell’ingresso che fece nel paradiso”.

E Gesù: “Il primo cantico che fecero alla mia Mamma fu l’Ave Maria, perché nell’Ave Maria si contengono le lodi più belle, gli onori più grandi, e si rinnova il gaudio che [essa] ebbe nell’essere fatta Madre di Dio; perciò recitiamola insieme per onorarla, e quando verrai tu in paradiso te la farò trovare come se l’avessi recitata insieme cogli angeli la prima volta nel cielo”. E così abbiamo recitato la prima parte dell’Ave Maria insieme con Gesù. Oh, come era tenero e commovente salutare la nostra Mamma Santissima insieme col suo diletto Figlio! Ogni parola che le diceva portava una luce immensa in cui si comprendevano molte cose sul conto della Vergine Santissima; ma chi può dirle tutte, molto più per la mia incapacità? Perciò le passo in silenzio.

 

Agosto 16, 1899  (60)

Continua a funzionare da mamma a Gesù. La signora obbedienza.

Gesù continua a volere che [io] gli faccia da madre; onde facendosi vedere da graziosissimo bambinello, piangeva, e per quietarlo dal pianto, tenendolo fra le mie braccia l’ho incominciato[66] a cantare. Quindi avveniva che quando lo cantavo cessava dal piangere, e quando no riprendeva il suo pianto. Io avrei voluto passare in silenzio ciò che cantavo, perché, primo non ricordo tutto, che essendo fuori di me stessa difficilmente si ritengono tutte le cose che passano, ed anche perché credo che siano spropositi. Ma la signora ubbidienza, essendo troppo impertinente, non me la vuol cedere, e basta che si faccia come lei vuole, si contenta anche di spropositi. Io non so, si dice ch’è cieca questa signora obbedienza, ed a me mi pare piuttosto tutt’occhi, perché guarda le minime cose; e quando non si fa come lei dice si rende tanto impertinente che non ti dà pace. Ecco che ci vuole per avere quiete da questa bella signora obbedienza; perché poi è tanto buona quando si fa come lei dice, che tutto ciò che si vuole per mezzo suo tutto si ottiene. Perciò mi accingo a dire quel che mi ricordo che cantavo:

“Bambinello sei piccolo e forte,
da te aspetto ogni conforto.
Bambinello grazioso e bello,
tu innamori anche le stelle.
Bambinello rubami il cuore,
per riempirlo del tuo amore.
Bambinello tenerello,
rendi anche me bambinella.
Bambinello sei un paradiso,
deh, fammi venire a giocare
nell’eterno riso!”

 

Agosto 17, 1899  (61)

Gesù le parla dell’ubbidienza.

Questa mattina avendo fatto la comunione, stavo a dire al mio amabile Gesù: ”Come va che questa virtù dell’obbedienza è tanto impertinente, e delle volte è tanto forte, che giunge a rendersi capricciosa?”

Ed egli: “Sai perché questa nobile signora obbedienza è come tu dici? Perché dà la morte a tutti i vizi, e naturalmente uno che deve far subire la morte ad un altro dev’essere forte e coraggioso, e se non [vi] giunge con questo, se ne avvale delle impertinenze e dei capricci. Se questo è necessario per uccidere il corpo ch’è tanto fragile, molto più per dar morte ai vizi ed alle proprie passioni, ch’è tanto difficile, che delle volte, mentre compariscono morte, incominciano a rivivere di nuovo. Ecco che questa diligente signora sta sempre in movimento e continuamente sta a spiare se vede che l’anima fa la minima difficoltà a ciò che le viene comandato; quindi temendo che qualche vizio possa incominciare a rivivere nel suo cuore, le fa tanta guerra e non le dà pace fino a tanto che l’anima non si prostri ai suoi piedi e adori in muto silenzio ciò che lei vuole. Ecco perché è tanto impertinente e quasi capricciosa come tu dici.

Ah, sì! Non c’è vera pace senza obbedienza, e se pare che si gode pace è pace falsa, perché va d’accordo con le proprie passioni, ma giammai con le virtù, e si finisce col rovinare, perché discostandosi dall’ubbidienza [le creature] si discostano da me che fui il re di questa nobile virtù. Poi l’ubbidienza uccide la propria volontà ed a torrenti riversa la divina, tanto che si può dire che l’anima ubbidiente non vive della volontà sua, ma della divina. E si può dare vita più bella, più santa del vivere della Volontà di Dio medesimo? Onde con le altre virtù, anche la più sublime, ci può stare l’amor proprio, ma con l’ubbidienza non mai”.

 

Agosto 18, 1899  (62)

Gesù le mostra come la sua parola non solo è verità, ma anche luce.

Venendo questa mattina l’amantissimo Gesù, gli ho detto: “Diletto mio Gesù, io credo che tutto ciò che scrivo siano tanti spropositi”.

E Gesù: “La mia parola non solo è verità, ma è luce ancora, e quando la luce entra in una stanza oscura, che fa? Snebbia le tenebre e fa scovrire gli oggetti che ci sono, brutti o belli, se ci sta ordine o disordine, e dal modo come trova si giudica la persona che occupa quella stanza. Or la vita umana è la stanza oscura, e quando la luce della verità entra in un’anima snebbia le tenebre, cioè fa scovrire il vero dal falso, il temporale dall’eterno; onde caccia da sé i vizi e si mette [67] l’ordine delle virtù, perché essendo la mia luce santa, che è la stessa Divinità, non potrà comunicare altro che santità ed ordine. Quindi l’anima si sente uscire da sé luce di pazienza, d’umiltà, di carità ed altro. Se la mia parola produce in te questi segni, a che pro temere?”

Dopo ciò Gesù mi ha fatto sentire che pregava il Padre suo per me, dicendo: “Padre Santo, vi prego per quest’anima, fate che adempisca in tutto perfettamente la nostra Santissima Volontà. Fate, o Padre adorabile, che le sue azioni siano tanto conformate con le mie, da non potersi discernere le une dalle altre, e così poter compiere sopra di essa ciò che ho disegnato”.

Ma chi può dire la forza che mi sentivo infondere nell’animo da questa preghiera di Gesù? Mi sentivo vestire l’anima di una fortezza tale, che per adempire la Volontà Santissima di Dio non mi sarei curata di soffrire mille martìri, se così fosse il suo beneplacito. Sia sempre ringraziato il Signore che tanta misericordia usa con questa povera peccatrice.

 

Agosto 21, 1899  (63)

Gesù le mostra come si sente attratto dalle anime che agiscono solo per piacere a lui.

Dopo aver passato due giorni di sofferenze, il mio benigno Gesù si mostrava tutto affabilità e dolcezza; nel mio interno andavo dicendo: “Quanto è buono con me il Signore! Eppure non trovo in me niente di bene che possa gradirlo[68]”.

E Gesù rispondendomi mi ha detto: “Diletta mia, siccome tu non altro piacere e contento trovi che trattenerti e conversare e darmi gusto solo a me, in modo che tutte le altre cose che non sono mie ti sono disgustevoli, così io, il mio piacere e la mia consolazione è il venire a trattenermi e parlare con te. Tu non puoi capire la forza che ha sul mio cuore di attirarmi a sé un’anima[69] che ha il solo fine di piacere a me solo; mi sento tanto legato con essa, che sono costretto a fare ciò che lei vuole”.

Mentre Gesù così diceva, compresi che parlava in quel modo, [per]ché nei giorni passati, mentre soffrivo acerbi dolori, nel mio interno andavo dicendo: “Gesù mio, tutto per amore tuo, questi dolori siano tanti atti di lode, di onore, di omaggio che ti offro; questi dolori siano tante voci che ti glorifichino e tanti attestati che dicano che ti amo”.

 

Agosto 22, 1899  (64)

Gesù le comunica le virtù.

Continua il mio caro Gesù a venire tutto amabile e maestoso. Mentre stava in questo aspetto mi ha detto: “La purità dei miei sguardi risplende in tutte le tue operazioni, in modo che risalendo di nuovo nei miei occhi mi produce uno splendore e mi ricrea dalle sofferenze che mi fanno [70] le creature”.

Io sono restata tutta confusa a queste parole, tanto che non ardivo dirgli niente; ma Gesù rincorandomi ha incominciato a dirmi: “Dimmi, che vuoi?”

Ed io: “Quando ho te, c’è altra cosa che potrei desiderare di più?” Ma Gesù ha replicato più d’una volta che gli dicessi ciò che volessi; ed io dandogli uno sguardo ho visto la bellezza delle sue virtù e gli ho detto: “Mio dolcissimo Gesù, dammi le tue virtù”.

Ed egli, aprendo il suo cuore faceva uscire tanti raggi distinti delle sue virtù, che entrando nel mio [cuore], mi sentivo tutta rafforzare nelle virtù. Poi ha soggiunto: “Che altro vuoi?”

Ed io, ricordandomi che nei giorni passati un dolore che soffrivo m’impediva che i miei sensi si perdessero in Dio, gli ho detto: “Benigno mio Gesù, fa che il dolore non m’impedisca di potermi perdere in te”.

E Gesù, toccandomi con la sua mano la parte sofferente, ha mitigato l’acerbità dello spasimo, in modo che posso raccogliermi e perdermi in lui.

 

Agosto 27, 1899  (65)

Effetti che sperimenta l’anima quando viene Gesù.

Questa mattina, mentre vedevo il mio dolce Gesù, mi sentivo un timore che non fosse lui, ma il demonio per illudermi. E Gesù rispondendomi al timore mi ha detto:

“Quando sono io che mi presento all’anima, tutte le interiori potenze si annichiliscono e conoscono il loro nulla, ed io vedendo l’anima umiliata, faccio sovrabbon­dare il mio amore come tanti ruscelli, in modo da inondarla tutta e fortificarla nel bene. Tutto al contrario succede quando è il demonio”.

 

Agosto 30, 1899  (66)

Gesù le mostra lo stato lacrimevole del mondo e le predice futuri castighi.

Questa mattina il mio diletto Gesù mi ha trasportato fuori di me stessa e mi ha fatto vedere il decadimento della religione negli uomini ed un preparativo di guerra. Io gli ho detto: “Oh, Signore, in che stato lacrimevole si trova il mondo in questi tempi in fatto di religione! Pare che nel mondo non più si riconosce colui che nobilita l’uomo e lo fa aspirare ad un fine eterno, ma quello che più fa piangere è che si ignora la religione da parte di quegli stessi che si dicono religiosi, che dovrebbero metter la propria vita per difenderla e fare che rivivesse”.

E Gesù prendendo un aspetto afflittissimo mi ha detto: “Figlia mia, questa è la causa che l’uomo vive da bestia, perché ha perduto la religione; ma tempi più tristi verranno per l’uomo in[71] pena della cecità in cui egli stesso si è immerso, tanto che mi [si] stringe il cuore a vederlo. Ma il sangue farà rivivere questa santa religione; il sangue che farò spargere da ogni specie di gente, da secolari e da religiosi, innaffierà il resto delle genti inselvatichite che rimarranno, ed ingentilendole di nuovo restituirà loro la loro nobiltà. Ecco la necessità che il sangue si sparga e che le stesse chiese restino quasi abbattute, per fare che ritornassero di nuovo ed esistessero col loro primiero lustro e splendore”.

Ma chi può dire lo strazio crudele che ne faranno nei tempi avvenire? Ma lo passo in silenzio, perché non ricordo tanto bene e non lo veggo tanto chiaro; se il Signore vuole che ne faccio parola mi darà più chiarezza, ed allora prenderò di nuovo la penna in questo argomento. Perciò per ora faccio punto.

 

Agosto 31, 1899  (67)

Riceve dal confessore l’ubbidienza di respingere Gesù.

Avendo il confessore data l’ubbidienza che quando veniva Gesù dovevo dire: “Non posso parlare, allonta­natevi”, io l’ho preso per uno scherzo e non come obbedienza formale. Perciò quando Gesù è venuto, quasi non badando all’ordine ricevuto, ho ardito di dirgli: “Mio buon Gesù, vedi un po’ che cosa vuol fare il padre”.

Ed egli mi ha detto: “Figlia, abnegazione”.

Ed io: “Neh, Signore, ma la cosa è seria, si tratta che non devo voler te; come lo posso?”

Ed egli, per la seconda volta: “Abnegazione”.

Ed io: “Neh, Signore, che dici? Conosci tu che posso stare senza di te?”

Ed egli, per la terza volta: “Ma, figlia mia, abnegazione”, ed è scomparso.

Chi può dire come son rimasta nel vedere che Gesù voleva che mi disponessi all’ubbidienza?

 

Settembre 1, 1899  (68)

Respinge ripetutamente Gesù; suo martirio. Gesù le dice cose mirabili sull’ubbidienza.

Essendo venuto il confessore mi ha domandato se avessi fatto l’ubbidienza, ed avendogli detto la cosa come era andata, ha rinnovato l’ubbidienza che assolutamente non dovessi discorrere con Gesù, mio solo ed unico conforto, e che dovevo cacciarlo se venisse. Ed ecco che avendo capito che l’ubbidienza che mi si dava era vera, nel mio interno ho detto il Fiat Voluntas Tua, anche in questo. Ma, oh, quanto mi costa, e che crudele martirio! Mi sento come un chiodo fitto nel cuore, che me lo trapassa da parte a parte; e siccome il cuore è abituato a chiedere e desiderare Gesù continuamente, tanto che come è continuo il respirare ed il palpitare, così mi pare che è continuo il desiderare e volere il solo mio Bene, quindi volere impedire questo, sarebbe lo stesso che volere impedire ad un altro il respirare ed il palpitare del cuore; come si potrebbe vivere? Eppure bisogna far prevalere l’ubbidienza. Oh, Dio, che pena, che strazio atroce! Come impedire al cuore che chieda la sua stessa vita? Come frenarlo? La volontà si metteva con tutta la sua forza a frenarlo, ma siccome ci voleva continuamente gran vigilanza, di tanto in tanto si stancava e si avviliva, il cuore faceva la sua scappata e chiedeva Gesù. La volontà, avvertendosi di questo, si metteva con maggior forza a frenarlo; ma che, ci perdeva spesso spesso, quindi mi pareva che facessi continui atti di disubbidienza. Oh, in quali contrasti, che guerra sanguinolenta, che agonie mortali soffriva il mio povero cuore! Mi trovavo in tali strettezze ed in tali sofferenze che sentivo che[72] se ne andasse la vita. Eppure era questo un conforto per me, se potessi morire. Ma no, quello ch’era più, che si sentiva[no] pene di morte, ma senza poterne morire!

Onde dopo aver versato lacrime amarissime tutto il giorno, la notte, trovandomi nel mio solito stato, il mio sempre benigno Gesù è venuto, ed io costretta dall’ub­bidienza gli ho detto: “Signore, non ci venite, che l’ub­bidienza non vuole!”

E lui, compatendomi e volendomi fortificare nelle sofferenze che mi trovavo, con la sua mano creatrice ha segnato la mia persona con [un] segno grande di croce, e mi ha lasciato. Ma chi può dire il purgatorio in cui mi trovavo? Ed il più era che non potevo slanciarmi verso il mio sommo ed unico Bene. Ah, sì! Mi era negato di chiedere e desiderare Gesù. A quelle anime benedette del purgatorio viene permesso di chiedere, di slanciarsi, di sfogarsi verso il sommo Bene, solo viene loro vietato il prenderne possesso; a me no, m’era negato anche questo conforto. Quindi tutta la notte non ho fatto altro che piangere. Quando la mia debole natura non ne poteva più, l’amabile Gesù è ritornato in atto di volere parlare con me, ed io subito ricordandomi dell’ubbidienza che vuole soprattutto regnare, gli ho detto: “Cara mia vita, non posso parlare, e non venite, che l’ubbidienza non vuole; se vuoi far capire la tua Volontà, vai da loro[73]”.

Mentre così dicevo ho visto il confessore, e Gesù avvicinatosi a lui gli ha detto: “Questo è impossibile alle anime mie; le tengo tanto immerse in me da formare una stessa sostanza, tanto che non si discerne più l’una dall’altra; è come quando si uniscono due sostanze insieme, una si trasmette nell’altra, e dopo anche a volerle separare riesce inutile anche il pensarlo. Così è impossibile che le anime mie possano stare separate da me”. E detto questo si è partito, ed io son rimasta in più [grande] afflizione di prima. Il cuore mi batteva tanto forte che mi sentivo crepare il petto.

Dopo ciò, non so dire come, mi son trovata fuori di me stessa, e dimenticandomi, non so come, dell’ub­bidienza ricevuta, ho girato la volta dei cieli piangendo, gridando e cercando il mio dolce Gesù. Quando al meglio me lo sono visto venire, gettandosi fra le mie braccia tutto acceso, e languendo, subito mi son ricordata del comando ricevuto e gli ho detto: “Signore non volermi tentare questa mattina; non sapete che l’ubbi­dienza non vuole?”

Ed egli: “Mi ha mandato il confessore, perciò son venuto”.

Ed io: “Non è vero, sei forse qualche demonio, che vuoi ingannarmi e farmi mancare all’ubbidienza?”

E Gesù: “Non sono demonio”.

Ed io: “Se non sei demonio, facciamoci a vicenda il segno di croce”. E così ci siamo segnati tutti e due con la croce, poi ho seguitato a dirgli: “Se è vero che ti ha mandato il confessore, andiamo da lui, affinché egli stesso possa vedere se sei Gesù Cristo oppure demonio, allora posso essere sicura”. Così siamo andati dal confessore, e siccome [Gesù] era da bambino, l’ho dato in braccio a lui dicendogli: “Padre, vedete voi stesso, è il mio dolce Gesù o no?” Ora mentre Gesù benedetto stava col padre, gli ho detto: “Se sei veramente Gesù, bacia la mano al confessore”.

Nella mia mente pensavo che se fosse il Signore avrebbe fatto quell’umiliazione di baciare la mano, ma se fosse demonio, no. E Gesù la baciò, ma non all’uomo, ma alla potestà sacerdotale; così l’ha baciata. Dopo ciò il confessore pareva che lo scongiurasse per vedere se fosse demonio, e non trovandolo tale l’ha restituito a me. Ma con tutto ciò, il mio povero cuore non poteva godere gli amplessi del mio diletto Gesù, perché l’ubbi­dienza lo teneva come legato, inceppato; tanto più che non ci stava nessun ordine in contrario ancora, quindi non ardivo di sfogarmi, neppure di dire una parola di amore.

Oh, santa ubbidienza! Quanto tu sei forte e potente! Io ti veggo in questi giorni di martirio innanzi a me come un guerriero potentissimo, armato dalla testa ai piedi, di spade, di saette, di frecce, ripieno di tutti quegli strumenti atti a ferire; e quando vedi che il mio povero cuore stanco e lasso vuole sollevarsi cercando il suo refrigerio, la sua vita, il centro cui, come da calamita si sente tirare, tu, guardandomi con mille occhi, da tutte le parti mi ferisci con ferite mortali. Deh, abbi pietà di me e non essere meco crudele!

Ma mentre ciò dicevo, la voce del mio adorabile Gesù mi si fece sentire al mio orecchio, che diceva: “L’ubbi­dienza fu tutto per me, l’ubbidienza voglio che sia tutto per te. L’ubbidienza mi fece nascere, l’ubbidienza mi fece morire; le piaghe che tengo nel mio corpo sono tutte ferite e segni che mi fece l’ubbidienza. Con ragione hai tu detto ch’è un guerriero potentissimo armato d’ogni specie di armi atte a ferire, perché in me non mi lasciò neppure una goccia di sangue, mi svelse a brani le carni, mi slogò le ossa, ed il mio povero cuore, affranto, sanguinolento, andava cercando un sollievo da chi avesse di me compassione. L’ubbidienza facendosi con me più che crudel tiranno, allora si contentò, quando mi sacrificò sulla croce, e vittima mi vide spirare per suo amore. E perché ciò? Perché l’ufficio di questo potentissimo guerriero è di sacrificare le anime; quindi non fa altro che muovere guerra accanita a chi tutto non si sacrifica per lei; onde non ha nessun riguardo se l’anima soffra o goda, se viva o muoia; i suoi occhi sono intenti a vedere se lei vince, che delle altre cose, non si briga affatto.

Onde il nome di questo guerriero è vittoria, perché tutte le vittorie concede all’anima obbediente; e quando pare che questa muore, allora incomincia la vera vita. E che cosa non mi concesse l’ubbidienza di più grande? Per suo mezzo vinsi la morte, sconfissi l’inferno, sciolsi l’uomo incatenato, aprii il cielo e come re vittorioso presi possesso del mio regno, non solo per me, ma per tutti i miei figli che avrebbero profittato della mia redenzione. Ah, sì! È vero che mi fece costare la vita, ma il nome ubbidienza mi risuona dolce al mio udito, e perciò tanto amore prendo a[74] quelle anime che sono obbedienti”.

Riprendo a dire da dove ho lasciato.

Dopo poco è venuto il confessore, ed avendogli detto tutto ciò che ho detto di sopra, mi ha rinnovato l’obbe­dienza che avessi continuato lo stesso[75]. Ed avendogli detto: “Padre, permettete almeno di darmi la libertà al cuore di chiedere Gesù; che l’ubbidienza di dire, quando viene: ‘Non ci venite’ e ‘non posso discorrere’, la faccio”; egli [mi ha risposto]: “Fa quanto puoi a frenarlo, e quando non puoi, allora dagli la libertà”.

 

Settembre 2, 1899  (69)

Continua a respingere Gesù, ma finalmente il confessore la libera dall’ubbidienza.

Onde, [con] questa ubbidienza un po’ più mite, il mio povero cuore pareva [che] da morto incominciasse un po’ a vivere; ma con tutto ciò non mi lasciava d’essere straziato[76] in mille guise, perché l’ubbidienza, quando vedeva che il cuore si fermava un po’ di più in cerca del suo autore, quasi che si volesse in lui riposare, perché sfinito di forze, mi dava sopra[77] e coi suoi artigli tutta mi feriva. E poi quel dover ripetere quel ritornello, quando il benedetto Gesù si faceva vedere: “Non ci venite, non posso discorrere, che l’ubbidienza non vuole”, era per me il più atroce e crudel martirio.

Onde il mio dolce Gesù, trovandomi nel mio solito stato, è venuto, ed io gli ho manifestato il comando ricevuto; e lui se n’è andato. Una sol volta, mentre io gli stavo dicendo: “Non ci venite, che l’ubbidienza non vuole”, mi ha detto:

“Figlia mia, abbi sempre innanzi alla tua mente la luce della mia passione, che nel vedere le mie pene acerbissime, le tue ti parranno piccole, e nel considerare la causa per cui soffrii tanti dolori immensi, che fu il peccato, i più piccoli difetti ti parranno gravi; invece se non ti specchierai in me, le più piccole pene ti sembreranno pesanti ed i difetti gravi li reputerai cosa da niente”. Ed è scomparso.

Dopo poco è venuto il confessore, ed avendogli domandato se ancora dovessi continuare questa obbedienza, mi ha detto: “No, puoi dirgli ciò che vuoi, e tienilo quanto vuoi”.

Pare che sono lasciata libera e non ho tanto a che fare con questo guerriero sì potente, altrimenti questa volta si sarebbe reso tanto forte che mi dava la morte; ma però mi avrebbe fatto fare un gran guadagno, perché mi sarei unita per sempre al sommo Bene, non ad intervalli, e lo avrei ringraziato, non solo, ma gli avrei cantato il cantico dell’ubbidienza, cioè il cantico delle vittorie; quindi me ne sarei risa di tutta la sua fortezza. Ma mentre ciò dicevo innanzi a me è comparso un occhio risplendente e bello, ed una voce che diceva: “Ed io mi sarei unito insieme con te e mi sarei compiaciuto di ridere, ma purché fosse stata mia la vittoria”.

Ed io: “O cara obbedienza, che dopo aver fatto una risata insieme, ti avrei lasciata alla porta del paradiso per dirti addio, e non più rivederci, per non aver a che fare con te, e me ne sarei ben guardata di lasciarti entrare!”

 

Settembre 5, 1899  (70)

Gesù le dice che egli opera la perfezione a passo a passo.

Questa mattina mi trovavo in tale abbattimento d’ani­mo, e mi vedevo tanto cattiva, che io stessa mi rendevo insopportabile. Essendo venuto Gesù, gli ho detto le mie pene e lo stato miserabile in cui mi trovavo, ed egli mi ha detto: “Figlia mia, non volere perderti di coraggio; questo è mio solito, di operare la perfezione a passo a passo e non tutto in un istante, affinché l’anima, vedendosi sempre in qualche cosa manchevole, si spinga, faccia tutti gli sforzi per raggiungere ciò che le manca, affine di più piacermi e di maggiormente santificarsi. Onde io, tirato da quegli atti, mi sento sforzato a darle nuove grazie e favori celesti, e con ciò si viene a formare un commercio tutto divino tra l’anima e Dio. Diversamente, possedendo l’anima in sé la pienezza della perfezione e quindi tutte le virtù, non troverebbe modi come sforzarsi come più piacergli [78], onde verrebbe a mancare l’esca come accendere il fuoco tra la creatura e il Creatore”.

Sia sempre benedetto il Signore!

 

Settembre 9, 1899  (71)

Gesù le parla del nulla delle anime e dell’amore che porta a lei.

Continua Gesù a venire, ma in un aspetto tutto nuovo. Pareva che dal suo cuore benedetto uscisse un tronco d’albero che conteneva tre radici distinte; e questo tronco, dal suo [cuore si] sporgeva nel mio, ed uscendo dal mio cuore, il tronco formava tanti bei rami carichi di fiori e di frutti, di perle e di pietre preziose risplendenti come stelle fulgidissime. Ora il mio amante Gesù, vedendosi all’ombra di quest’albero, tutto si ricreava; molto più che dall’albero cadevano tante perle che formavano un bell’ornamento all’umanità sua santissima.

Mentre stava in questa posizione mi ha detto: “Figlia mia carissima, le tre radici che vedi che contiene que­st’albero sono la fede, la speranza e la carità. E siccome tu vedi [che] questo tronco esce da me e s’introduce nel tuo cuore, ciò significa che non c’è bene che posseggano le anime che non venga da me. Sicché dopo la fede, la speranza e la carità, il primo sviluppo che fa questo tronco è il far conoscere che tutto il bene viene da Dio, che [le anime], di loro [79] non hanno altro che il proprio nulla, e che questo nulla non fa altro che darmi la libertà di farmi entrare in loro e farmi operare ciò che voglio; mentre vi sono altri ‘nulli’, cioè altre anime che con la loro libera volontà si oppongono; onde mancando questa conoscenza il tronco non produce né rami né frutti e nessun’altra cosa di buono.

I rami che contiene quest’albero, con tutto l’apparato dei fiori, frutti, perle e pietre preziose, sono tutte le diverse virtù che può possedere l’anima. Ora chi ha dato la vita a quest’albero così bello? Certo le radici; ciò significa che la fede, la speranza e la carità, tutto abbracciano, tutte le virtù contengono, tanto che sono messe come base e fondamento dell’albero, e senza di loro non si può produrre nessun’altra virtù”.

Onde ho compreso pure che i fiori significano le virtù, i frutti i patimenti, le pietre e le perle preziose il patire puramente per il solo amore di Dio. Ecco perciò quelle perle che cadevano, formavano quel bell’ornamento a Nostro Signore. Or mentre Gesù sedeva all’ombra di quest’albero, mi guardava con tenerezza tutta paterna, onde preso da un trasporto amoroso, che non ha potuto contenere in sé, e strettamente abbracciandomi, ha incominciato a dire:

“Quanto sei bella! Tu sei la mia semplice colomba, la mia diletta dimora, il mio vivo tempio in cui unito col Padre e lo Spirito Santo mi compiaccio di deliziarmi. Il tuo continuo languire per me, mi solleva e ristora dalle continue offese che mi fanno le creature. Sappi ch’è tanto l’amore che ti porto, che son costretto a nasconderlo in parte, per fare che tu non impazzisca, e non potessi vivere, ché se te lo facessi vedere, non solo impazziresti, ma non potresti continuare a vivere; la tua debole natura resterebbe consumata dalle fiamme del mio amore”.

Mentre ciò diceva io mi sentivo tutta confondere ed annichilire e mi sentivo sprofondare nell’abisso del mio nulla, perché mi vedevo tutta imperfetta; specialmente notavo la mia ingratitudine e freddezze alle tante grazie che il Signore mi fa. Ma spero che tutto vuole ridondare a sua gloria ed onore, sperando con ferma fiducia che uno sforzo del suo amore voglia vincere la mia durezza.

 

Settembre 16, 1899  (72)

Gesù le mostra i mirabili effetti del patire solo per Dio.

Questa mattina il mio adorabile Gesù è venuto, e temendo che fosse il demonio gli ho detto: “Permettetemi che vi segni la fronte con la croce”; e nell’atto stesso l’ho segnato e così sono restata più sicura e tranquilla. Ora Gesù benedetto pareva stanco e si voleva riposare in me; e siccome anch’io mi sentivo stanca per le sofferenze dei giorni passati, specialmente per le sue pochissime venute, onde mi sentivo la necessità di riposarmi in lui. Quindi dopo aver contrastato un poco insieme, mi ha detto:

“La vita del cuore è l’amore. Io sono come un infermo che brucia di febbre, che va trovando [80] un rinfresco, un sollievo nel fuoco che lo divora. La mia febbre è l’amore; ma dove estraggo i rinfreschi, i sollievi più adatti al fuoco che mi consuma? Dalle pene e dagli affanni sofferti dalle anime mie predilette, per solo mio amore. Molte volte sto aspettando e riaspettando quando l’anima deve volgersi a me per dirmi: ‘Signore, solo per amor vostro voglio soffrire questa pena’. Ah, sì, questi sono i miei refrigeri ed i rinfreschi più adatti che mi sollevano e mi smorzano il fuoco che mi consuma!”

Dopo ciò si è gettato nelle mie braccia languendo, per riposarsi. Mentre Gesù riposava, io comprendevo molte cose sulle parole dette da Gesù, specialmente sul patire per amor suo. Oh, che moneta d’inestimabile valore! Se tutti la conoscessimo, faremmo a gara a chi più potesse patire; ma io credo che siamo tutti corti di vista per conoscere questa moneta sì preziosa, perciò non si giunge ad averne conoscenza.

 

Settembre 19, 1899  (73)

Gesù torna a parlarle della fede, della speranza e della carità.

Trovandomi questa mattina un poco turbata, specialmente sul timore che non è Gesù che viene, ma il demonio, e che non fosse Volontà di Dio il mio stato, mentre mi trovavo in questa agitazione, è venuto il mio adorabile Gesù e mi ha detto:

“Figlia mia, non voglio che ci perdi il tempo col pensare a questo; tu ti distrai da me e vieni a farmi mancare il cibo come nutrirmi, ma quello che voglio, [è] che pensi ad amarmi soltanto ed a starti tutta abbandonata in me; così mi appresterai un cibo a me molto gradito, e non di tanto in tanto come faresti se continuassi a fare così, ma continuamente. E non sarebbe questo tuo contento grandissimo, che la tua volontà, con lo stare abbandonata in me e con l’amarmi, fosse cibo di me, tuo Dio?”

Dopo ciò mi ha fatto vedere il suo cuore, e dentro vi conteneva tre globi di luce distinti, e che poi [ne] formava[no] uno solo; e Gesù riprendendo il suo dire mi ha detto: “I globi di luce che vedi nel mio cuore sono la fede, la speranza e la carità, che portai sulla terra per felicitare l’uomo sofferente, offrendogli[eli] in dono; onde anche a te ne voglio fare un dono più speciale”. E mentre così diceva, da quei globi di luce uscivano come tanti fili di luce che inondavano l’anima mia, come una specie di rete, ed io vi rimanevo dentro.

E Gesù: “Eccoti dove voglio che occupi l’anima tua. Prima vola sulle ali della fede, ed in quella luce, tuffandoti, conoscerai ed acquisterai sempre nuove notizie di me tuo Dio; ma col più conoscermi, il tuo nulla si sentirà quasi disperso e non avrai dove appoggiarti; ma tu sollevati di più, e gettandoti nel mare immenso della speranza, quali sono tutti i miei meriti che acquistai nel corso della mia vita mortale, tutte le pene della mia passione, che pure ne feci dono all’uomo, e che solo per mezzo di questo puoi sperare i beni immensi della fede, perché non c’è altro mezzo come poterli ottenere. Quindi tu avvalendoti di questi miei meriti come se fossero tuoi, il tuo nulla non si sentirà più disperso e sprofondato nell’abisso del niente, ma acquistando nuova vita, [la tua anima] resterà abbellita, arricchita in modo tale, d’attirarsi gli stessi sguardi divini. Ed allora, non più timidità, ma la speranza le somministrerà il coraggio, la fortezza, in modo da rendere l’anima stabile come colonna esposta a tutte le intemperie dell’aria, quali sono le varie tribolazioni della vita, che non la smuovono un tantino. E la speranza farà che, non solo l’anima senza timore s’immergerà nelle immense ricchezze della fede, ma se ne renderà padrona; e giungerà a tanto con la speranza, da rendere suo lo stesso Dio. Ah, sì! La speranza fa giungere l’anima dove vuole, la speranza è la porta del cielo, sicché solo per suo mezzo si apre, perché chi tutto spera tutto ottiene.

Onde l’anima, giunta che sarà a fare suo lo stesso Dio, subito, senza nessun ostacolo, si troverà nell’ocea­no immenso della carità; ed ivi portando con sé la fede e la speranza, s’immergerà dentro e farà una sola cosa con me, suo Dio”.

L’amantissimo Gesù continua a dire: “Se la fede è il re, la carità è la regina, la speranza è qual madre paciera che mette pace a tutto; perché con la fede, con la carità, ci possono stare le tribolazioni, ma la speranza essendo vincolo di pace converte tutto in pace. La speranza è sostegno, la speranza è ristoro; e quando l’anima sollevandosi con la fede, vede la bellezza, la santità, l’amore con cui da Dio viene amata, l’anima si sente attirata ad amarlo, ma vedendo la sua insufficienza, il poco che fa per Dio, il come dovrebbe amarlo e non l’ama, si sente sconfortata, turbata e quasi non ardisce d’avvicinarsi a Dio; subito esce questa madre paciera della speranza, e mettendosi in mezzo alla fede e alla carità incomincia a fare il suo uffizio di paciera; quindi mette in pace di nuovo l’anima, la spinge, la solleva, le dà nuove forze, e portandola innanzi al re della fede ed alla regina della carità, fa le sue scuse per l’anima, mette innanzi all’ani­ma nuova effusione dei suoi meriti e li prega di volerla[81] ricevere. E la fede e la carità, avendo di mira solo questa madre paciera sì tenera e compassionevole, ricevono l’anima, e Dio forma la delizia dell’anima e l’anima la delizia di Dio”.

Oh, santa speranza, quanto tu sei ammirabile! Io m’immagino di vedere l’anima ch’è posseduta da questa bella speranza, come un nobile viandante che cammina per andare a prendere possesso d’un podere che formerà tutta la sua fortuna, ma siccome è sconosciuto e viaggiante tra terre che non sono sue, chi lo deride, chi l’insulta, chi lo spoglia delle sue vesti e chi giunge a bastonarlo e a minacciarlo di togliergli anche la pelle; ed il nobile viandante, che fa in tutti questi cimenti? Si turberà egli? Ah, non mai! Anzi deriderà coloro che gli faranno tutto questo; e conoscendo certo che quanto più soffrirà tanto più sarà onorato e glorificato quando giungerà a prendere possesso del suo podere, quindi lui stesso stuzzica la gente a fare che più lo potessero tormentare. Ma lui è sempre tranquillo, gode la più perfetta pace, ma quello ch’è più, mentre si trova in mezzo a que­st’insulti egli se ne sta tanto calmo, che mentre gli altri sono tutti desti intorno a lui, egli se ne sta dormendo nel seno del suo sospirato Iddio. Chi somministra a questo viandante tanta pace e tanta pazienza nel seguitare l’intrapreso cammino? Certo la speranza dei beni eterni che saranno suoi; ed essendo suoi supererà tutto per prenderne possesso. Poi, pensando che sono suoi viene ad amarli ed ecco che la speranza fa nascere la carità.

Chi può dire poi secondo la luce che Gesù benedetto mi fa vedere? Avrei voluto passarla in silenzio, ma veggo che la signora ubbidienza, deponendo la veste amichevole di amicizia, prende aspetto di guerriero e sta armando le sue armi per farmi guerra e ferirmi. Deh, non vi armiate così subito, deponete i vostri artigli! State quieta, che per quanto posso, farò come tu dici e così resteremo sempre amici.

Ora, portata l’anima nell’estesissimo mare della carità, prova delizie ineffabili, gode gioie inenarrabili ad anima mortale; tutto è amore, i suoi pensieri sono tante voci sonore che [essa] fa risuonare intorno al suo amantissimo Iddio, tutte [voci] d’amore che lo chiamano a sé, di modo che Iddio benedetto, tirato, ferito da queste voci amorose, ne fa il contraccambio, e ne avviene che i sospiri, i palpiti e tutto l’Essere Divino chiamano continuamente l’anima a Dio.

Chi può dire poi come resta ferita l’anima da queste voci? Come incomincia a delirare, come se fosse presa da febbre cocentissima? Come corre, quasi impazzita, e va a tuffarsi nell’amoroso cuore del suo diletto per trovare refrigerio, ed a torrenti succhia le delizie divine? Ella vi resta ebbra d’amore, e nella sua ebbrezza fa dei cantici tutti amorosi al suo sposo dolcissimo. Ma chi può dire tutto ciò che passa tra l’anima e Dio? Chi può dire su questa carità, qual è Dio medesimo?

In questo istante mi veggo una luce grandissima, e la mia mente ora rimane stupita; si applica ora ad un punto, ora ad un altro, e faccio per dettarlo[82] sulla carta e mi sento balbuziente nell’esprimerlo. Onde non sapendo che fare, per ora faccio silenzio; e credo che la signora obbedienza per questa volta voglia perdonarmi, che se essa vuole corrucciarsi meco, questa volta non ha tanta ragione, perché il torto è suo perché non mi dà una lingua spedita a saperlo dire. Avete inteso, reverendissima obbedienza? Restiamo in pace, non è vero?

 

Settembre 21, 1899  (74)

Contrasti con l’ubbidienza; Gesù le mostra il perché del suo stato.

Eppure chi doveva dirlo[83]: tutto il torto è suo, che non mi dà la capacità di saperlo manifestare; la signora obbedienza se l’è presa a male ed ha cominciato a farla da tiranno crudele, ed è giunta a tale crudeltà che mi ha tolto la vista dell’amante mio Bene, solo ed unico mio conforto. Si vede proprio che delle volte la fa anche da bambina, che quando vuole vincere un capriccio, se non lo vince con le buone assorda la casa con grida e con pianti, tanto che si è costretti a contentarla per forza. Non ci sono ragioni, non c’è via di mezzo come persuaderla; così fa la signora obbedienza; e brava, non ti avrei creduto tale, siccome vuole vincere lei, vuole che anche balbuziente scriva sulla carità.

Oh, Dio santo, rendetela voi stesso più ragionevole! Si vede proprio che non si può tirare innanzi in questo modo. E tu, o obbedienza, rendimi il mio dolce Gesù, non mi toccare più al vivo, e ti prego di non togliermi più la vista del mio sommo Bene, ed io ti prometto che anche balbuziente scriverò come tu vuoi. Solo vi chieggo in grazia di farmi rinfrancare per qualche giorno, perché la mia mente troppo piccola non si regge più a stare immersa in quel vasto oceano della carità divina, specialmente che là vi scorge di più le mie miserie e la mia bruttezza, e nel vedere l’amore che Dio mi porta, mi sento quasi impazzire, onde la mia debole natura si sente venir meno e non ne può più. Ma nello stesso tempo mi occuperò a scrivere altre cose, per poi riprendere sulla carità.

Riprendo il mio povero dire. Trovandosi la mia mente occupata delle cose già dette, andavo pensando tra me: “A che pro scrivere questo se io stessa non praticassi ciò che scrivo? Questo scritto sarebbe certo una mia condanna”.

Mentre ciò pensavo, è venuto il benedetto Gesù e mi ha detto: “Questo scritto servirà a far conoscere chi è colui che ti parla e occupa la tua persona; e poi se non serve a te, la mia luce servirà ad altri che leggeranno ciò che ti faccio scrivere”.

Chi può dire quanto son rimasta mortificata nel pensare che altri profitteranno delle grazie che mi fa, se leggeranno questi scritti, ed io che li ricevo, no? Non mi condanneranno essi? E poi solo al pensar che giungeranno in mano d’altri mi si stringe il cuore per la pena e pel rossore di me stessa. Ora, rimanendo in grandissima afflizione, andavo ripetendo: “A che pro il mio stato, se [mi] servirà di condanna?”

E l’amorosissimo mio Gesù ritornando mi ha detto: “La mia vita fu necessaria per la salvezza dei popoli, e siccome la mia non la potei continuare sulla terra, perciò eleggo chi mi piace per continuarla in loro, per poter continuare la salvezza dei popoli; ecco il pro del tuo stato”.

 

Settembre 22, 1899  (75)

Gesù le mostra i fini dei suoi scritti; contrasti con l’ubbidienza.

Sentendomi un chiodo fitto nel cuore per le parole dette ieri dal dolce Gesù, essendo egli sempre benigno con questa miserabile peccatrice, per sollevare le mie pene è venuto e tutto compatendomi mi ha detto: “Figlia mia, non volere più affliggerti; sappi che tutto ciò che ti faccio scrivere, o sulle virtù o sotto qualche similitudine, non è altro che un farti dipingere te stessa ed a quale perfezione ho fatto giungere l’anima tua”.

Oh, Dio, che gran ripugnanza provo nel descrivere queste parole, perché non parmi vero quello che dice! Mi sento che non capisco ancora che cosa sia virtù e perfezione, ma l’ubbidienza così vuole, ed è meglio crepare che avere [a] che fare con lei; molto più perché ha due facce: se si fa come lei dice, prende l’aspetto di signora e ti accarezza come amica fedelissima, di più ti promette tutti i beni che ci sono in cielo ed in terra; poi appena scorge un’ombra di difficoltà in contrario, subito, senza farsi avvertire, si fa guardare e [la] si trova guerriero e sta armato delle sue armi per ferirti e distruggerti. Oh, mio Gesù, che razza di virtù è questa obbedienza? Essa fa tremare al solo pensarla!

Onde mentre Gesù mi diceva quelle parole, io gli ho detto: “Mio buon Gesù, che giova all’anima mia l’aver tante grazie, mentre dopo mi amareggiano tutta la vita mia, specialmente per le ore di tua privazione? Perché il comprendere chi tu sei e di chi son priva, è un continuo martirio per me, quindi non mi servono ad altro che a farmi vivere continuamente amareggiata”.

Ed egli ha soggiunto: “Quando una persona ha gustato il dolce d’un cibo e poi è costretta a prendere l’amaro, per toglierle quell’amarezza si accresce al doppio il desiderio di gustare il dolce; e questo giova molto a quella persona, perché se gustasse sempre il dolce senza gustare mai l’amaro, non ne terrebbe gran conto del dolce; se gustasse sempre l’amaro ma senza conoscere il dolce, non conoscendolo non ne verrebbe neppure a desiderarlo; quindi l’uno e l’altro giova, così giova anche a te”.

Ed io: “Pazientissimo mio Gesù nel sopportare un’anima così misera ed ingrata, perdonami; mi pare che questa volta voglio troppo investigare”.

E Gesù: “Non ti turbare, sono io stesso che muovo le difficoltà nel tuo interno per avere occasione di conversare con te, ed insieme per ammaestrarti in tutto”.

 

Settembre 25, 1899  (76)

Timori che i suoi scritti possano andare fra le mani altrui.

Nella mia mente stavo pensando: “Se questi scritti andassero in mano di qualcuno, forse diranno: ‘Sarà una buona cristiana, ma il Signore le fa tante grazie’, senza sapere che con tutto ciò sono ancora tanto cattiva. Ecco come le persone si possono ingannare, tanto nel bene quanto nel male. Ah, Signore, tu solo conosci la verità ed il fondo dei cuori!”

Mentre ciò pensavo, è venuto il benedetto Gesù e mi ha detto: “Diletta mia, se le genti sapessero che tu sei la mia difenditrice e la loro…!”

Ed io: “Mio Gesù, che dici?”

Ed egli: “Come, non è vero che tu mi difendi dalle pene che essi mi fanno, col metterti in mezzo fra me e loro, e prendi sopra di te, ed il colpo che stavo per ricevere sopra di me e quello che io dovevo versare sopra di loro? Se qualche volta non lo ricevi sopra di te è perché non te lo permetto, e questo con tuo grande rammarico, fino a lamentarti con me; puoi tu forse negarlo?”

No, Signore, non posso negarlo, ma veggo che è una cosa che tu stesso hai infuso in me, perciò dico che il fatto non è che io son buona, e mi sento tutta confusa nel sentirmi dire da te queste parole.

 

Settembre 26, 1899  (77)

Gesù le mostra i motivi perché non fa nessun conto delle sue opposizioni.

Questa mattina, essendo venuto il mio adorabile Gesù, mi ha trasportato fuori di me stessa; ma con mio sommo rammarico lo vedevo di spalle, e per quanto l’ho pregato di farmi vedere il suo santissimo volto mi riusciva impossibile. Nel mio interno andavo dicendo: “Chi sa che non siano le mie opposizioni sull’ubbidien­za nello scrivere, che non si benigna di far vedere il suo volto adorabile!” E mentre ciò dicevo, piangevo.

Dopo che mi ha fatto piangere, si è voltato e mi ha detto: “Io non faccio nessun conto delle tue opposizioni, perché la tua volontà è tanto immedesimata con la mia che non puoi volere se non quello che voglio io; onde mentre ripugni, nell’atto stesso ti senti tirata come da una calamita a farlo; quindi le tue ripugnanze non servono ad altro che a rendere più abbellita e splendente la virtù dell’ubbidienza, perciò non le curo”.

Dopo ho guardato il suo bellissimo volto e nel mio interno sentivo un contento indescrivibile; ed a lui rivolta gli ho detto: “Dolcissimo amor mio, e sono io, e prendo[84] tanto diletto nel rimirarti, che dovette essere della nostra Mamma Regina quando ti rinchiudesti nelle sue viscere purissime? Quali contenti, quante grazie non le conferisti?”

E lui: “Figlia mia, furono tali e tante le delizie e le grazie che versai in lei, che basta dirti che ciò che io sono per natura, la nostra Madre lo divenne per grazia; molto più che, non avendo colpa, la mia grazia potè signoreggiare in lei liberamente; sicché non c’è cosa dell’essere mio che non lo conferii a lei”.

In quell’istante mi pareva di vedere la nostra Regina Madre come se fosse un altro Dio, con questa sola differenza: che in Dio è natura sua propria, in Maria Santissima grazia conseguita. Chi può dire come son rimasta stupita? Come la mia mente si perdeva nel vedere un portento di grazia sì prodigioso? Onde a lui rivolta, gli ho detto: “Caro mio Bene, la nostra Madre ebbe tanto bene perché vi facevate vedere intimamente; io vorrei sapere: ed a me come vi mostrate, con la vista astrattiva o intuitiva? Chi sa se pure è astrattiva”.

E lui: “Voglio farti capire la differenza che vi è tra l’una e l’altra: nell’astrattiva l’anima rimira Dio, nell’in­tuitiva vi entra dentro e conseguisce le grazie, cioè riceve in sé la partecipazione dell’Essere Divino. E tu, quante volte non hai partecipato all’Essere mio? Quel patire che pare in te come se fosse connaturale, quella purità che giunge fino a sentire come se non avessi corpo, e tante altre cose, non te l’ho conferito quando ti ho tirato a me intuitivamente?”

Ah, Signore, troppo è vero! Ed io quali grazie ti ho reso per tutto questo? Qual è stata la mia corrispondenza? Sento rossore al solo pensarlo, ma deh, perdonatemi e fate che di me si possa conoscere e dal cielo e dalla terra come un soggetto delle tue infinite misericordie.

 

Settembre 30, 1899  (78)

È tentata di odiare il Signore, che le mostra come la pazienza nelle tentazioni è per lui pane sostanzioso.

Prima ho passato più d’un’ora d’inferno; alla sfuggita ho fatto per guardare l’immagine del bambino Gesù, ed un pensiero, come fulmine, ha detto al bambino: “Come sei brutto”. Ho cercato di non curarlo né turbarmi per fare di evitare qualche giuoco col demonio; eppure con tutto ciò quel fulmine diabolico mi è penetrato nel cuore e mi sentivo che il mio povero cuore odiava Gesù. Ah, sì, mi sentivo nell’inferno a fare compagnia ai dannati, mi sentivo l’amore cambiato in odio! Oh, Dio, che pena il non poterti amare! Dicevo: “Signore, è vero che non son degna di amarti, ma almeno accetta questa pena, che vorrei amarti e non posso”.

Così, dopo aver passato nell’inferno più d’un’ora, pare che ne sono uscita, grazie a Dio; ma chi può dire quanto il mio povero cuore [è] restato afflitto, debole per la guerra sostenuta tra l’odio e l’amore? Sentivo tale prostrazione di forze che mi pareva che non avessi più vita, onde sono stata sorpresa dal solito mio stato, ma oh, quanto decaduta di peso[85]! Il mio cuore e tutte le interiori potenze, che con ansia inenarrabile desiderano e vanno in cerca del loro sommo ed unico Bene, ed allora si fermano quando l’hanno già trovato, e con sommo loro contento se lo godono, questa volta non ardivano di muoversi, se ne stavano tanto annichilite, confuse e inabissate nel proprio nulla, che non si facevano sentire. Oh, Dio, che mazzata crudele ha dovuto subire il povero mio cuore!

Con tutto ciò il mio sempre benigno Gesù è venuto e la sua vista consolatrice mi ha fatto dimenticare subito d’essere stata nell’inferno, tanto che neppure ho chiesto perdono a Gesù. Le interiori potenze, umiliate, stanche come stavano, pareva che si riposavano in lui; tutto era silenzio; d’ambo le parti non c’era altro che qualche sguardo amoroso e ci ferivamo i cuori a vicenda. Dopo essere stata qualche tempo in questo profondo silenzio, Gesù mi ha detto: “Figlia mia, ho fame, dammi qualche cosa”.

Ed io: “Non ho niente che darvi”.

Ma nell’atto stesso ho visto un pane e gliel’ho dato, e lui pareva che con tutto gusto se lo mangiasse. Ora nel mio interno dicevo: “È da qualche giorno che non mi dice niente”.

E Gesù ha risposto al mio pensiero: “Delle volte lo sposo si compiace di trattare con la sua sposa, di affidarle i più intimi segreti; altre volte poi si diletta con più gusto di riposarsi e contemplarsi a vicenda la loro bellezza, mentre il parlare impedisce di riposarsi, ed il solo pensiero di ciò che deve dire e di qualche cosa che si deve trattare, non fa badare a guardare la beltà dello sposo e della sposa; ma però questo serve che, dopo essersi riposati e [aver] compreso di più la loro bellezza, vengono più ad amarsi, e con maggior forza escono in campo per lavorare, trattare e difendere i loro interessi. Così sto facendo con te; non ne sei tu contenta?”

Dopo ciò un pensiero mi è balenato nella mente del­l’ora passata nell’inferno, e subito ho detto: “Signore, perdonami, quante offese vi ho fatto”.

E lui: “Non volerti affliggere né turbare, sono io che conduco l’anima, fin nel profondo dell’abisso, per poter poi condurla più spedita nel cielo”.

Di poi mi ha fatto comprendere che quel pane trovatomi[86] non era altro che la pazienza con cui avevo sopportato quell’ora di sanguinosa battaglia. Quindi la pazienza, l’umiliazione, l’offerta a Dio di ciò che si sof­fre in tempo di tentazione, è un pane sostanzioso che si dà a Nostro Signore e che lui accetta con molto gusto.

 

Ottobre 1, 1899  (79)

Gesù le parla con amarezza degli abusi dei sacramenti.

Questa mattina seguitava a farsi vedere in silenzio, ma in aspetto afflittissimo. L’amabile Gesù teneva sulla testa conficcata una folta corona di spine. Le mie interiori potenze me le sentivo in silenzio e non ardivano di dire una sola parola, solo che, vedendo che soffriva assai nella testa, ho steso le mani e pian piano gli ho tolto la corona; ma che acerbo spasimo soffriva! Come si allargavano le ferite ed il sangue scorreva a ruscelli! A dire il vero era cosa che strappava l’anima. Dopo l’ho messa sulla mia testa e lui stesso aiutava a fare sì che vi penetrasse dentro; ma tutto era silenzio d’ambo le parti. Ma qual è stata la mia meraviglia, che dopo poco ho fatto per guardarlo di nuovo ed un’altra [corona], con le offese che facevano, stavano mettendo sulla testa di Gesù.

Oh perfidia umana! Oh pazienza incomparabile di Gesù, quanto sei tu grande! E Gesù taceva e quasi non li guardava per non conoscere chi erano i suoi offensori. Quindi di nuovo gliel’ho tolta e, tutte le interiori potenze risvegliandosi di tenera compassione, gli ho detto: “Caro mio Bene, dolce mia vita, dimmi un po’: perché non mi dici più niente? Non è stato mai tuo solito nascondermi i tuoi segreti; deh, parliamo un poco insieme, che così sfogheremo un poco il dolore e l’amore che ci opprime”.

E lui: “Figlia mia, sei tu il sollievo nelle mie pene. Sappi però che non ti dico niente perché tu mi costringi sempre a far sì che non castighi le genti; vuoi opporti alla mia giustizia e, se non faccio come tu vuoi, ne resti dispiaciuta ed io più ne sento una pena che non ti tengo contenta. Quindi, per evitare dispiaceri d’ambo le parti, faccio silenzio”.

Ed io: “Mio buon Gesù, avete forse dimenticato quanto voi stesso venite a soffrire dopo che avete adoperato la giustizia? Quel vedervi soffrire nelle stesse creature, è [ciò] che mi rende più che mai circospetta a costringervi che non castighiate le genti. E poi, quel vedere le stesse creature rivolgersi contro di voi come tante vipere avvelenate, quasi che se fosse in loro potere già vi toglierebbero la vita, perché si veggono sotto i vostri flagelli, e di più vengono ad irritare la vostra giustizia, non mi dà l’animo di dire il Fiat Voluntas tua”.

E lui: “La mia giustizia non può passare più oltre, mi sento da tutti ferito; da sacerdoti, da devoti, da secolari, specialmente per l’abuso dei sacramenti. Chi non li cura affatto, aggiungendo i disprezzi, e chi frequentandoli ne formano conversazione di piacere, e chi non essendo soddisfatti nei loro capricci, giungono per questo ad offendermi. Oh, quanto resta straziato il mio cuore nel vedere ridotti i sacramenti come quelle pitture dipinte oppure quelle statue di pietre, che compariscono vive, operanti, da lontano, ma si fa per avvicinarle e si incomincia a scovrire l’inganno; onde si fa per toccarle, e che cosa si trova? Carta, pietre, legno, oggetti inanimati, ed ecco, [si resta] del tutto disingannati. Tale sono i sacramenti ridotti, per la maggior parte; non c’è altro che la sola apparenza.

Che dire poi di quelli che restano più lordi che netti? E poi, lo spirito d’interesse che regna nei religiosi, è cosa da piangere. Non ti pare che sono tutt’occhi dove c’è un vilissimo soldo, fino ad avvilire la loro dignità? Ma dove non c’è l’interesse non hanno mani né piedi per muoversi un tantino. Questo spirito d’interesse riempie loro tanto l’interno, che trabocca nell’esterno, fino a sentirne la puzza gli stessi secolari; e di ciò scandalizzati formansi la causa che non prestano fede alle loro parole. Ah, sì, nessuno mi risparmia! Vi è chi mi offende direttamente, e chi potendo impedire un tanto male non si cura di farlo; onde non ho a chi rivolgermi. Ma io li castigherò in modo da renderli inabili, e chi[87] distruggerò perfettamente; giungeranno a tanto che resteranno le chiese deserte, senza avere chi amministri i sacramenti”.

Interrompendo il suo dire, tutta spaventata ho detto: “Signore, che dite? Se ci sono quelli che abusano dei sacramenti, vi sono tante buone figlie che li ricevono con le dovute disposizioni, e ci soffrono molto se non li frequentano”.

E lui: “Troppo scarso è il loro numero; e poi la loro pena perché non possono riceverli riuscirà a mia riparazione e ad essere vittime per quelli che ne abusano”.

Chi può dire quanto sono restata straziata da questo parlare di Gesù benedetto? Ma spero che voglia placarsi per la sua infinita misericordia.

 

Ottobre 3, 1899  (80)

Si mette d’accordo con l’ubbidienza e Gesù ne spiega il valore.

Questa mattina continuava a farsi vedere Gesù afflitto. Al mio pazientissimo Gesù non avevo coraggio di dirgli nessuna parola per timore che riprendesse il suo dire lamentevole sullo stato religioso. V’è questo, perché l’ubbidienza vuole che scriva tutto, ed anche quello che riguarda la carità del prossimo; è questo per me tanto penoso che ho dovuto lottare a forze di braccia con la signora obbedienza, molto più che cambiandosi[88] in aspetto di guerriero potentissimo, armato sì delle sue armi per darmi la morte. In verità mi son trovata a tali strettezze, che io stessa non sapevo che fare. Scrivere secondo la luce che Gesù mi faceva vedere sulla carità del prossimo, mi pareva impossibile, mi sentivo ferire il cuore da mille punture, la bocca me la sentivo ammutolire e venir meno il coraggio, e le dicevo: “Cara obbedienza, tu sai quanto ti amo e che volentieri per amor tuo darei la vita; ma veggo che qui non posso e tu stessa vedi lo strazio dell’animo mio. Deh, non farti nemica, non essere meco spietata, sii più indulgente verso chi tanto ti ama! Deh, vieni meco tu stessa e discorriamo insieme quello che più ci conviene dire”.

Così pare che ha deposto il suo furore e lei stessa dettava quello che più era necessario, rinchiudendo in poche parole tutto il senso delle diverse cose che riguardavano la carità, sebbene delle volte voleva essere più minuta ed io le dicevo: “Basta che per un poco di riflessione capiscano ciò che significa; non è meglio rinchiudere in una parola tutto il significato, che in tante parole?”

Delle volte cedeva l’ubbidienza, delle volte io, e così pare che siamo andate d’accordo. Quanta pazienza ci vuole con questa benedetta signora obbedienza, veramente signora, che basta che [le] si dà il diritto di signoreggiare, cambiandosi[89] in aspetto di mansuetissima agnella; lei stessa ne fa il sacrificio della fatica e, l’ani­ma, la fa riposare col suo Signore, mettendosi intorno lei con occhio vigilante per fare che nessuno ardisca di molestarla ed interromperle il sonno. E mentre l’anima dorme, questa nobile signora che fa? Oh, sta gocciolando sudore dalla sua fronte, affrettando la fatica che toccava all’anima! Cosa veramente che fa stupire ogni mente umana più intelligente, e che scuote ogni cuore ad amarla.

Ora mentre ciò dico, nel mio interno vado dicendo: “Ma che cosa è quest’obbedienza? Di che è formata? Qual è l’alimento che la sostiene?”

E Gesù che mi fa sentire la sua armoniosa voce al mio udito, che dice: “Vuoi sapere che cosa è l’ubbidien­za? L’ubbidienza è la quint’essenza dell’amore; l’ubbi­dienza è l’amore più fino, più puro, più perfetto, estratto dal sacrifizio più doloroso, qual è il distruggere sé medesimo per rivivere di Dio. L’ubbidienza, essendo nobilissima e divina, non ammette nell’anima niente d’uma­no, che non fosse suo. Perciò tutta la sua attenzione è distruggere nell’anima tutto ciò che non appartiene alla sua nobiltà divina, qual è l’amor proprio; e fatto questo, poco si cura che essa sola stenti fatica in ciò che appartiene all’anima, e l’anima la fa tranquillamente riposare. Finalmente l’ubbidienza sono io medesimo”.

Chi può dire come sono restata meravigliata e rimasta estatica nel sentire questo parlare di Gesù benedetto? Oh santa obbedienza, quanto tu sei incomprensibile! Io mi prostro ai tuoi piedi e ti adoro, ti prego d’essermi guida, maestra, luce nel disastroso cammino della vita, ché guidata, ammaestrata, scortata dalla tua luce purissima, posso con sicurezza prendere possesso del porto eterno.

Finisco, quasi sforzandomi d’uscire da questa virtù dell’ubbidienza, altrimenti non la finirei mai di parlare; è tanta la luce che veggo di questa virtù, che potrei scrivere sempre su di essa; ma altre cose mi chiamano, perciò faccio silenzio e ritorno dove lasciai.

Onde vedevo il mio Gesù afflitto, e ricordandomi che l’ubbidienza mi aveva detto di pregare per una persona, quindi con tutto il cuore l’ho raccomandato, e Gesù mi ha detto: “Figlia, [egli] faccia che tutte le sue opere risplendano, però di sole virtù; ma specialmente gli raccomando di non imbrogliarsi nelle cose d’interesse di famiglia. Se tiene qualche cosa la desse pure, se non tiene non voglio che lui s’impicci d’altro. Lasciasse che le cose le facesse chi ne è dovuto, e lui se ne rimanga spedito, libero, senza infangarsi nelle cose terrene; altrimenti verrebbe ad incorrere nella sventura degli altri, che da principio, avendo voluto impicciarsi di qualche cosa di famiglia, poi tutto il peso è gravato sulle loro spalle, ed io per sola mia misericordia, ho dovuto permettere di non prosperarli, ma piuttosto d’ammiserirli, e così fare toccare con mano quanto è disdicevole ad un mio ministro l’infangarsi nelle cose terrene; mentre è parola uscita dalla mia bocca che ai ministri del mio santuario, sempre che non toccassero affatto le cose terrene, mai sarebbe mancato il cibo quotidiano.

Ora questi tali, se io li avessi solamente prosperati, avrebbero infangato il loro cuore e non avrebbero badato né a Dio né alle cose appartenenti al loro ministero. Ora tediati, stanchi del loro stato, vorrebbero sbrigarsi, ma non possono, e questo è in pena di ciò che non dovrebbero fare”.

Dopo gli raccomandai un infermo, e Gesù mi mostrava le sue piaghe fattegli da quell’infermo, ed io ho cercato di pregarlo, placarlo e ripararlo, e pareva che quelle piaghe si saldavano. E Gesù tutto benignità mi ha detto: “Figlia mia, tu oggi mi hai fatto l’uffizio d’un peritissimo medico, che non solo hai cercato di medicarle, fasciarle, ma anche di guarirle le mie piaghe fattemi da quell’infermo, perciò mi sento molto ristorato e placato”.

Onde ho compreso che pregando per gli infermi si viene a fare l’uffizio di medico a Nostro Signore, che soffre nelle stesse sue immagini.

 

Ottobre 7, 1899  (81)

Vede Gesù sdegnato contro le genti.

Questa mattina il benedetto Gesù non ci veniva ed ho dovuto molto pazientare per aspettarlo; nel mio interno andavo dicendo: “Mio caro Gesù, vieni, non farmi tanto aspettare! È da ieri sera che non vi ho visto e l’ora si fa troppo tarda; e voi non ci venite ancora? Vedete quanto ho pazientato ad aspettarvi. Deh, non fate che giunga ad impazientirmi, perché indugiate lungamente a venire! Perché poi la causa ne siete voi, coi vostri indugi. Perciò venite, che più non posso”.

Or mentre andavo dicendo questi ed altri spropositi, il mio unico Bene è venuto; ma con sommo mio rammarico l’ho visto quasi sdegnato con le genti. Subito gli ho detto: “Mio buon Gesù, vi prego a far pace col mondo”.

E lui: “Figlia non posso; io sono come un re che vuole andare dentro una casa, ma quella casa è piena di cose immonde, di marciume e di tant’altre sporcizie. Il re, come re, ha il potere d’entrarvi; non c’è nessuno che [glie]lo possa impedire; ed anche con le sue proprie mani può pulire quell’abitazione, ma non vuol farlo perché non è decente alla sua reale persona scendere a tante bassezze, e fino a tanto che quell’abitazione non verrà pulita da altri, con tutto ciò che ne tiene il potere, il volere ed un gran desiderio, fino a soffrire, mai si benignerà a mettervi il piede. Tale sono io, sono Re che posso e voglio, ma voglio la loro volontà; voglio che tolgano il marciume delle colpe, per entrarvi e far pace con loro. No, non è decente alla mia regalità l’entrarvi e rappacificarmi con loro, anzi non farò altro che mandare castighi. Il fuoco della tribolazione l’inonderà dappertutto, fino ad atterrarli, acciocché si ricordino che esiste un Dio, che solo che può aiutarli e liberarli”.

Ed io interrompendo il suo dire, gli ho detto: “Signore se volete mettere mani ai castighi, io me ne voglio venire, non voglio più stare in questa terra. Come potrà resistere il mio cuore a vedere soffrire le tue creature?”

E Gesù, prendendo un aspetto benigno, mi ha detto: “Se tu te ne vieni, io dove andrò a dimorare su questa terra? Per ora pensiamo a starci insieme di qua, che nel cielo avremo a starci a lungo, quant’è tutta l’eternità. E poi, troppo presto hai dimenticato l’uffizio di farmi da madre sulla terra. Quindi, mentre castigherò le genti, io verrò a rifugiarmi e dimorerò con te”.

Ed io: “Ah Signore, a che pro il mio stato di vittima, per tanti anni? Qual bene è venuto ai popoli? Mentre voi mi dicevate che mi volevate vittima per risparmiare le genti, ed ora fate vedere che questi castighi, invece di succedere tanti anni prima, succedono dopo, né più né meno di questo”.

E lui: “Figlia mia, non dire così; la mia longanimità è stata per amor tuo, ed il bene che ne è venuto da questo è stato che terribili castighi dovevano infierire per lunghissimo tempo, mentre con ciò sarà più breve. E non è questo un bene, che uno invece di stare per lunghi anni sotto il peso d’un castigo vi stia per pochi? Poi, in questi scorsi anni passati, guerre, morti improvvise, che non dovevano aver[90]tempo di convertirsi, ed invece l’hanno avuto, e si son salvati; non è questo un gran bene? Diletta mia, per ora non è necessario il farti capire il pro del tuo stato per te e per i popoli; ma te lo mostrerò quando verrai nel cielo, ed il giorno del giudizio lo mostrerò a tutte le nazioni. Perciò non parlare più in questo modo”.

 

Ottobre 14, 1899  (82)

Gesù le mostra la necessità dei castighi e le parla in modo commovente della speranza.

Questa mattina mi sentivo un po’ turbata e tutta annientata in me stessa; mi vedevo come se il Signore mi volesse discacciare da sé. Oh, Dio, che pena straziante è mai questa! Mentre mi trovavo in tale stato, il benedetto Gesù è venuto con una cordicella in mano, e percuotendo il mio cuore tre volte mi ha detto: “Pace, pace, pace. Non sai tu che il regno della speranza è regno di pace ed il diritto di questa speranza è la giustizia? Tu, quando vedi che la mia giustizia si arma contro le genti, entra nel regno della speranza e, investendoti delle qualità più potenti che lei possiede, sali fin sul mio trono e fai quanto puoi per disarmare il mio braccio armato; e questo lo farai con le voci più eloquenti, più tenere, più pietose, con le ragioni più possenti, con le preghiere più calde che la stessa speranza ti detterà. Ma quando vedi che la stessa speranza sta per sostenere certi diritti di giustizia che sono assolutamente necessari, e che volerli cedere sarebbe un voler fare affronto a sé stessa, ciò che non può mai essere, allora conformati a me e cedi alla giustizia”.

Ed io, più che mai atterrita, che dovevo cedere alla giustizia, gli ho detto: “Ah, Signore, come posso far ciò? Ah, mi pare impossibile! Il solo pensiero che dovete castigare le genti, perché tue immagini non posso tollerarlo; almeno fossero creature che non appartenessero a voi! Eppure questo è niente; ma quello che più mi strazia è che debba vedere voi stesso, quasi sto per dire, colpito da voi stesso, schiaffeggiato, addolorato da voi stesso, perché i castighi scenderanno sopra le tue stesse membra, non sopra le altre, e quindi voi stesso verrete a soffrire. Dimmi, mio solo ed unico Bene, come potrà resistere il mio cuore a vedervi soffrire, colpito da voi stesso? Che vi fanno soffrire le creature, sono sempre creature ed è più tollerabile, ma questo è tanto duro che non posso ingoiarlo; perciò non posso conformarmi teco, né cedere”.

E lui, impietosendosi e tutto intenerendosi di questo mio dire, prendendo un aspetto afflitto e benigno mi ha detto: “Figlia mia, tu hai ragione che resterò colpito nelle mie stesse membra, tanto che nel sentirti parlare tutte le mie viscere me le sento e commosse e muovere a misericordia, ed il cuore me lo sento spezzare per tenerezza. Ma credi a me, che sono necessari i castighi, e se tu non vuoi vedermi colpito adesso un poco, mi vedrai colpito poi più terribilmente, perché più assai mi offenderanno; e questo non ti dispiacerebbe di più? Perciò conformati meco, altrimenti mi costringerai, per non vederti dispiaciuta, a non dirti più niente, e con questo mi verrai a negare il sollievo che prendo nel conversare con te. Ah, sì, mi ridurrai al silenzio, senza avere [io] con chi sfogare le mie pene!”

Chi può dire quanto sono restata amareggiata da questo suo dire? E Gesù, volendomi quasi distrarre dalla mia afflizione, ha ripreso il suo dire sulla speranza dicendomi: “Figlia mia, non ti turbare; la speranza è pace, e siccome io, nell’atto stesso che faccio giustizia sto nella più perfetta pace, così tu immergendoti nella speranza statti nella pace. L’anima che sta nella speranza, col volersi affliggere, turbare, sconfidare, incorrerebbe nella sventura di colei che mentre possiede milioni e milioni di monete, ed anche è regina di vari regni, va fantasticando e menando lamenti, dicendo: ‘Di che debbo vivere? Come devo vestirmi? Ahi, muoio dalla fame! Sono ben infelice! Mi condurrò alla più stretta miseria, finirò col perire!’

E mentre ciò dice, piange, sospira e passa i suoi giorni, triste, squallida, immersa nella più grande mestizia. E questo non è tutto, quel ch’è peggio di costei, [è] che se vede i suoi tesori, se cammina nei suoi poderi, invece di gioire, più si affligge, pensando alla sua fine ventura, e vedendo il cibo non lo vuole toccare per sostentarsi, e se qualcuno vuole persuaderla col farle toccare con mano, mostrando[glie]le, le sue ricchezze, e che non può essere che si ridurrà alla più stretta miseria, non si convince, rimane sbalordita, e più piange la sua triste sorte. Or che si direbbe di costei, dalle genti? Che è pazza, si vede che non ha ragione, ha perduto il cervello; la ragione è chiara, non può essere diversamente.

Eppure può darsi che questa tale può incorrere nella sventura che va fantasticando; ma in che modo? Col­l’uscire dai suoi regni, abbandonando tutte le sue ricchezze, andasse[91] in terre straniere, in mezzo a gente barbara, che[92] nessuno si benignerà di darle una briciola di pane. Ed ecco che la fantasia si è verificata; ciò che era falso ora è verità; e chi n’è stata la causa? Chi incolparne d’un cambiamento di stato sì triste? La sua perfidia, ed ostinata volontà. Tale è appunto un’anima che si trova in possesso della speranza; il volersi turbare, scoraggiare, già è la più grande pazzia”.

Ed io: “Ah, Signore, come può essere che l’anima possa stare sempre in pace, vivendo nella speranza? E se l’anima commette qualche peccato come può stare in pace?”

E Gesù: “Nell’atto che l’anima pecca già esce dal regno della speranza, giacché peccato e speranza non possono stare insieme. Ogni ragione ritiene che ognuno è obbligato a rispettare, coltivare ciò che è suo. Chi è quel­l’uomo che va nei suoi terreni e vi brucia ciò che possiede? Chi è che non tiene gelosamente custodita la sua roba? Credo nessuno. Ora l’anima che vive nella speranza, col peccato offenderebbe la speranza, e se stesse in suo potere brucerebbe tutti i beni che possiede la speranza. Ed allora si troverebbe nella sventura di quella tale che, abbandonando i suoi beni, va a vivere in terre straniere; così l’anima, col peccato, uscendo da questa madre paciera della speranza, sì tenera e pietosa che giunge ad alimentarla con le stesse sue carni, qual è Gesù in sacramento, oggetto primario di nostra speranza, se ne va a vivere in mezzo a gente barbara, quali sono i demoni, che negandole ogni minimo ristoro non l’ali­mentano d’altro che di veleno, qual è il peccato. Eppure questa madre pietosa della speranza che fa? Mentre l’anima s’allontana da lei, se ne starà forse indifferente? Ah, no! Piange, prega, la chiama con le voci più tenere, più commoventi, le va appresso, ed allora si contenta quando la riconduce nel suo regno”.

Il mio dolce Gesù continua a dirmi: “La natura della speranza è pace, e ciò che lei è per natura, l’anima che vive nel seno di questa madre paciera conseguisce per grazia”.

E nell’atto stesso che Gesù benedetto dice queste parole, con una luce intellettuale mi fa vedere, sotto una similitudine d’una madre, ciò che ha fatto questa speranza per l’uomo. Oh, che scena commovente e tenerissima, che se tutti la potessero vedere piangerebbero di compunzione anche i cuori più duri, e tutti si affezionerebbero tanto che riuscirebbe loro impossibile distaccarsi per un sol momento dalle sue ginocchia materne. Ed ecco, che mi provo a dire ciò che comprendo e posso.

L’uomo viveva incatenato, schiavo del demonio, con­dannato alla morte eterna, senza speranza di poter rivivere all’eterna vita; tutto era perduto, ed andata in rovina la sua sorte. Questa madre viveva nell’empireo, unita col Padre e lo Spirito Santo, beata, felice con loro. Ma pareva che non fosse contenta, voleva i suoi figli, le sue care immagini intorno a lei, l’opera più bella uscita dalle sue mani. Ora mentre stava nel cielo, il suo occhio era intento all’uomo, che va perduto sulla terra. Ella tutta s’occupa per il modo come salvare questi amati figli, e vedendo che questi figli non possono assolutamente soddisfare la Divinità, anche a costo di qualunque sacrifizio, perché molto inferiori a loro[93], che cosa fa questa madre pietosa? Vede che non c’è altro mezzo per salvare questi figli che dare la propria vita per salvare la loro e prendere sopra di sé le loro pene e miserie e fare tutto ciò che loro dovevano fare per loro stessi.

Onde che pensa di fare? Si presenta innanzi alla divina giustizia questa madre amorosa, con le lacrime agli occhi, con le voci più tenere, con le ragioni più potenti, che il suo magnanimo cuore le detta, e dice: “Grazie vi chiedo per i miei perduti figli; non mi regge l’animo di vederli da me separati, ed a qualunque costo voglio salvarli; sebbene veggo non altro mezzo che mettere la mia propria vita, la voglio mettere pure, purché riacquisti la loro. Che cosa volete da loro? Riparazione? Vi riparo io per loro. Gloria, onore? Vi glorifico ed onoro io per loro. Ringraziamento? Vi ringrazio io. Tutto ciò che volete da loro, ve lo faccio io, purché li possa avere insieme con me a regnare”.

La Divinità ne resta commossa nel vedere le lacrime, l’amore di questa madre pietosa, e convinta dalle sue ragioni potenti si sente inclinata ad amare questi figli, e ne piangono insieme la loro sventura, e concordemente concludono che accettano il sacrifizio della vita di questa madre, restandone pienamente soddisfatti, per riacquistare questi figli. Non appena è firmato il decreto, scende immantinente dal cielo e viene sulla terra, e deponendo le sue vesti regali che aveva nel cielo, si veste delle miserie umane come se fosse la più vilissima schiava, e vive nella povertà più estrema, nelle sofferenze più inaudite, nei disprezzi più insopportabili all’umana natura; non fa altro che piangere coll’intercedere per i suoi amati figli. Ma quel che più fa stupire, e di questa madre e di questi figli, è che mentre lei ama tanto questi figli, questi, invece di riceverla questa madre a braccia aperte, che veniva per salvarli, fanno il contra­rio. Nessuno la vuole ricevere né riconoscere, anzi la fanno andare raminga, la disprezzano, ed incominciano a macchinare come uccidere questa madre sì tenera, e sviscerata amante di loro.

Che farà questa madre così tenera nel vedersi sì malamente corrisposta dai suoi ingrati figli? Si arresterà ella? Ah, no, anzi più si accende di amore per loro e corre da un punto all’altro per riunirli in grembo! Oh, come fatica, come stenta fino a gocciolare sudore, non solo d’acqua, ma ancora di sangue! Non si dà un momento di tregua, sta sempre in attitudine per operare la loro salvezza, provvede a tutti i loro bisogni, rimedia a tutti i loro mali passati, presenti e futuri; insomma non c’è cosa che non ordina e dispone per loro bene.

Ma che cosa fanno questi figli? Si son forse pentiti dell’ingratitudine? Che fecero nel riceverla? Hanno mutato i loro pensieri in favore di questa madre? Ah, no! La guardano di malocchio, la disonorano con le calunnie più nere, le procurano obbrobri, disprezzi, confusioni; la battono con ogni sorta di flagelli, riducendola tutta una piaga, e finiscono col farla morire con una morte, la più infame che trovar si potesse, in mezzo a crudeli spasimi e dolori. Ma che cosa fa questa madre in mezzo a tante pene? Odierà forse questi figli sì discoli e protervi? Ah, no, mai! Allora più che mai li ama svisceratamente, offre le sue pene per la stessa loro salvezza e spira con la parola della pace e del perdono. O madre mia bella! O cara speranza, quanto sei in te stessa amabile; io ti amo! Deh, tienimi sempre in grembo a te e sarò la più felice del mondo!

Mentre son determinata a cessare di parlare della speranza, una voce mi risuona dappertutto, che dice: “La speranza contiene tutto il bene presente e futuro, e chi vive in grembo a lei ed è allevata sulle sue ginocchia, tutto ciò che vuole ottiene. Che cosa vuole l’anima? Gloria, onore? La speranza le darà tutto l’onore e la gloria più grande in terra presso tutte le genti, ed in cielo la glorificherà eternamente. Vorrà forse ricchezza? Oh! Questa madre che è la speranza è ricchissima e, quello ch’è più, [è] che dando i suoi beni ai suoi figli, non restano punto scemate le sue ricchezze, poi queste ricchezze non sono fugaci e passeggere, ma sempiterne. Vorrà piaceri, contenti? Ah, sì! Questa speranza contiene in sé tutti i piaceri e gusti possibili che trovar si possono in cielo ed in terra, e che nessun altro potrà mai pareggiarla, e chi al suo seno si nutrisce, a sazietà ne gusta; ed oh, come è felice e contenta! Vorrà essere dotta, sapiente? Questa madre speranza contiene in sé le scienze più sublimi, è la maestra di tutti i maestri, e chi da lei si fa insegnare apprende la scienza della vera santità”.

Insomma, la speranza ci somministra tutto, di modo che, se uno è debole gli darà la fortezza, se un altro è macchiato, la speranza istituì i sacramenti, ed ivi ha preparato il lavacro alle sue macchie; se vi sente fame e sete, questa madre pietosa ci dà il cibo più bello, più gustoso, quali sono le sue delicatissime carni, e per bevanda il suo preziosissimo sangue. Che altro può fare di più questa madre paciera della speranza? E chi altro mai è simile a lei? Ah, solo lei ha rappacificato cielo e terra, la speranza ha congiunto con sé la fede e la carità ed ha formato quell’anello indissolubile tra l’umana natura e la divina. Ma chi è questa madre? Chi è questa speranza? È Gesù Cristo, che operò la nostra redenzione e formò la speranza dell’uomo fuorviato.

 

Ottobre 16, 1899  (83)

Gesù le parla dei castighi.

Questa mattina il mio dolce Gesù non ci veniva. È da ieri sera che non l’ho visto, [quando] si fece vedere in un aspetto che faceva pietà e terrore insieme; si voleva nascondere per non vedere i castighi che lui stesso stava mandando sulle genti ed il modo come doveva distruggerle. Oh Dio, che spettacolo straziante, non mai visto!

Mentre aspettavo e riaspettavo, nel mio interno andavo dicendo: “Com’è che non viene? Chi sa che non venga perché io non mi conformo alla sua giustizia? Ma come posso far ciò? Mi pare quasi impossibile dire Fiat Voluntas Tua. Poi dicevo ancora: “Forse non viene perché il confessore non lo manda”. Ora mentre [ciò] pen­savo, l’ho visto appena, e quasi l’ombra, e mi ha detto: “Non temere, la potestà ai sacerdoti è limitata; solo che a misura che si prestano a pregarmi di farmi venire a te, e [ad] offrirti a farti soffrire per fare che risparmiassi le genti, così nell’atto che io manderò i castighi li guarirò e li risparmierò. Se poi non si daranno nessun pensiero, neppure io avrò nessun riguardo per loro”.

E detto ciò è scomparso, lasciandomi in un mare d’af­flizione e di lacrime.

 

Ottobre 21, 1899  (84)

Gesù le parla ancora dei castighi.

Dopo aver passato giorni amarissimi di privazione, mi sentivo stanca e sfinita di forze, sebbene andavo offrendo quelle stesse pene dicendo: “Signore, tu sai quanto mi costa l’esser priva di te, ma però mi rassegno alla tua santa Volontà offrendo questa pena acerbissima come mezzo per attestare il mio amore e placarvi. Queste noie, fastidi, fiacchezze, freddezze che sento, intendo mandarveli come messaggeri di lodi e di riparazione per me e per tutte le creature. Questo ho e questo offro; è certo che voi accettate il sacrifizio della buona volontà, quando vi si offre ciò che si può senza riserva alcuna, ma venite, che più non posso!”

Molte volte mi veniva la tentazione di conformarmi alla giustizia e pensavo che la causa che [Gesù] non ci veniva ero io stessa, perché Gesù nei giorni passati mi aveva detto che, se non mi conformassi, [lo] avrei costretto a non farlo venire ed a non dirmi più niente per non tenermi dispiaciuta; ma non mi dava l’animo di farlo, molto più perché l’ubbidienza neppure vi consentiva. Mentre mi trovavo in queste amarezze, prima è venuta una luce con una voce che diceva: “A misura che l’anima s’intromette nelle cose terrene, così si allontana e perde la stima dei beni eterni. Io ho dato le ricchezze perché se ne servissero per la loro santificazione, essi se ne son serviti per offendermi e formare un idolo per il loro cuore, ed io distruggerò loro e le ricchezze insieme con loro”.

Dopo ciò ho visto il mio carissimo Gesù, ma tanto sofferente, offeso e sdegnato con le genti, che metteva terrore. Io subito ho cominciato a dirgli: “Signore, ti offro le tue piaghe, il tuo sangue, l’uso santissimo dei tuoi santissimi sensi, che ne facesti nel corso della tua vita mortale, per ripararvi le offese ed il cattivo uso dei sensi, che ne fanno le creature”.

E Gesù, prendendo un aspetto serio e quasi tuonante, ha detto: “Sai tu come son divenuti i sensi delle creature? Come quelle grida delle bestie feroci che coi loro ruggiti allontanano gli uomini invece di farli avvicinare. È tanto il marciume e la molteplicità delle colpe che scaturiscono dai loro sensi, che mi costringono a fuggire”.

Ed io: “Oh, Signore, come vi veggo sdegnato! Se voi volete continuare a mandare i castighi, io me ne voglio venire oppure voglio uscire da questo stato. A che pro starvi, una volta che non posso più offrirmi vittima per risparmiare le genti?”

E lui, parlandomi serio, tanto che mi sentivo atterrire, mi ha detto: “Tu vuoi toccare i due estremi: o che vuoi che non faccio niente o che te ne vuoi venire; non ti contenti che le genti siano risparmiate in parte? Credi tu che Corato sia il migliore, od il minore nell’offendermi? Che l’abbia risparmiato a confronto degli altri paesi è cosa da niente? Perciò contentati e quietati, e mentre io mi occuperò a castigare le genti, tu accompagnami coi tuoi sospiri e con le tue sofferenze, pregandomi che gli stessi castighi riescano per la conversione dei popoli”.

 

Ottobre 22, 1899  (85)

Gesù le mostra i pregi della croce.

Continua Gesù a farsi vedere afflitto; nell’atto ch’è venuto si è gettato nelle mie braccia tutto sfinito di forze, quasi volendo un ristoro, mi ha partecipato qualche poco delle sue sofferenze e dopo mi ha detto: “Figlia mia, la via della croce è una via battuta di stelle, e conforme [94] si cammina quelle stelle si cambiano in soli lu­minosissimi. Quale felicità sarà dell’anima per tutta l’eter­nità, l’essere circondata da quei soli? Poi il premio gran­de che do alla croce è tanto, che non c’è misura, né di larghezza né di lunghezza; è quasi incomprensibile alle menti umane, e questo perché nel sopportare le croci non ci può essere niente d’umano, ma tutto divino”.

 

Ottobre 24, 1899  (86)

Gesù le mostra il suo dispiacere e la necessità di castigare l’uomo, riprodotto dell’Essere Divino.

Questa mattina il mio adorabile Gesù è venuto e mi ha trasportata fuori di me stessa, in mezzo alle genti, e Gesù pareva che guardava con occhio di compassione le creature, e gli stessi castighi comparivano sue infinite misericordie uscite dal più intimo del suo cuore amorosissimo. Onde, rivolto a me, mi ha detto:

“Figlia mia, l’uomo è un riprodotto dell’Essere Divino, e siccome il nostro cibo è l’amore sempre reciproco, conforme e costante tra le Divine Persone, quindi [l’uo­mo] essendo uscito dalle nostre mani e dall’amor puro disinteressato, è come una particella del nostro cibo. Ora questa particella ci è divenuta amara, non solo, ma la maggior parte, discostandosi da noi, si è fatta pascolo delle fiamme infernali e cibo dell’odio implacabile dei demoni, nostri e loro capitali nemici. Eccoti la causa principale del nostro dispiacere della perdita delle anime, è questa, perché son nostre, è cosa che ci appartiene. Come pure la causa che mi spinge a castigarli è l’amor grande che nutro per loro e per poter mettere in salvo le loro anime”.

Ed io: “Signore, pare che questa volta non avete altre parole da dire che di castighi. La vostra potenza tiene tant’altri mezzi come salvare queste anime, e poi se fossi certa che tutta la pena cadesse sopra di loro, col restare voi libero senza soffrire in loro, pure mi contenterei; ma veggo che già state soffrendo molto per quei castighi che avete mandato; che sarà se continuate a mandare altri castighi?”

E Gesù: “Con tutto ciò che soffro, l’amore mi spinge a mandare più pesanti flagelli, e questo perché non c’è mezzo più potente di far entrare in sé stesso l’uomo e fargli conoscere che cosa è il suo essere, col far[gli] vedere disfatto sé stesso; gli altri mezzi pare che lo ingagliardiscono di più, onde conformati alla mia giustizia. Veggo bene che l’amore che tu mi vuoi ti spinge tanto a non conformarti meco, e non hai cuore di vedermi soffrire; ma anche mia Madre mi amò più di tutte le creature, che nessun’altra può mai pareggiarla, eppure per salvare queste anime si conformò alla giustizia e si contentò di vedermi tanto soffrire. Se ciò fece mia Madre, come non lo potresti tu?”

E nell’atto che Gesù parlava, mi sentivo tirare la mia volontà talmente alla sua, che quasi non sapevo più resistere di non conformarmi alla sua giustizia. Non sapevo che dire tanto mi sentivo convinta, ma però non ancora ho manifestato la mia volontà. Gesù è scomparso ed io son rimasta in questo dubbio, se devo o no conformarmi.

 

Ottobre 25, 1899  (87)

Gesù le parla del suo grande amore per le creature anche quando le castiga.

Continua il mio dolcissimo Gesù a manifestarsi quasi sempre lo stesso; questa mattina ha soggiunto: “Figlia mia, è tanto l’amore verso le creature, che come un eco risuona nella regione celeste, riempie l’atmosfera e si diffonde sopra tutta quanta la terra. Ma qual è la corrispondenza che fanno le creature a quest’eco amoroso? Ahi! Corrispondono con un eco d’ingratitudine, velenoso, ripieno d’ogni sorta d’amarezza e peccato; con un eco quasi micidiale, atti solo a ferirmi. Ma io spopolerò la faccia della terra, acciocché quest’eco risuonante di veleno più non assordisca le mie orecchie”.

Ed io: “Ah, Signore, che dite?”

E Gesù: “Io non faccio altro che come un medico pietoso, che ha gli estremi rimedi verso i suoi figli, e questi figli sono ripieni di piaghe. Che fa questo padre e medico che ama i suoi figli più che la propria vita? Lascia incancrenire queste piaghe? Li farà perire per timore che applicando il fuoco e i ferri verranno essi a soffrire? No, mai; sebbene sentirà come se sopra di sé si applicassero tali strumenti, con tutto ciò mette mano ai ferri, squarcia e taglia le carni, vi applica il veleno, il fuoco, per impedire che più s’inoltri la corruzione. Sebbene molte volte succede che in queste operazioni i poveri figli muoiono, non era questa la volontà del padre medico, ma la sua volontà è di vederli risanati. Tale sono io, ferisco per risanarli, li distruggo per risuscitarli; che molti ne periscono, non è questa la mia Volontà, questo è effetto solo della loro malvagia ed ostinata volontà, è effetto di que­st’eco velenoso che, fino a vedersi distrutti, vogliono inviarmelo”.

Ed io: “Dimmi, mio unico Bene, come potrei raddolcirvi quest’eco velenoso che tanto vi affligge?”

E lui: “L’unico mezzo è che tu faccia sempre tutte le tue operazioni per solo fine di piacermi, e che impieghi tutti i sensi e le potenze tue per il fine d’amarmi e di glorificarmi. Siccome ogni tuo pensiero, parola e tutto il resto, non vorrà altro che l’amore che hai verso di me, così il tuo eco salirà gradito al mio trono e raddolcirà il mio udito”.

 

Ottobre 28, 1899  (88)

Gesù l’ammaestra mostrandole il suo Tutto ed il niente di lei.

Questa mattina il mio amabile Gesù è venuto in mezzo ad una luce, e guardandomi come se mi penetrasse da per tutto, tanto che mi sentivo annichilita, mi ha detto: “Chi sono io e chi sei tu?”

Queste parole mi penetravano fino alle midolla delle ossa, scorgevo l’infinita distanza che passa tra l’infinito e il finito, tra il Tutto e il niente; non solo, ma vi scorgevo la malizia di questo nulla, ed il modo come si era infangato. Mi pareva come un pesce che nuota nelle acque; così l’anima mia nuotava nel marciume, nei vermi e in tante altre cose, atte solo a mettere orrore alla vista. O Dio, che vista abominevole! L’anima mia avrebbe voluto fuggire dinnanzi alla vista di Dio tre volte Santo; ma con altre due parole mi lega, e cioè: “Qual è l’amor mio verso di te? E qual è il tuo contraccambio verso di me?”

Ora mentre alla prima parola avrei voluto fuggire, spaventata dalla sua presenza, alle seconde parole: “Qual è l’amor mio verso di te?”, mi son trovata legata, inabissata e legata da tutte le parti dal suo amore, sicché la mia esistenza è un prodotto dell’amore suo; onde se quest’amore cessava, io più non esistevo. Quindi mi pareva che i palpiti del cuore, [l’]intelligenza e fino il respiro, d’essere[95] un riprodotto del suo amore. Io nuotavo in lui, ed anche a voler fuggire mi parrebbe impossibile farlo, perché il suo amore da per tutto mi circonda. Il mio amore poi mi pareva come una gocciolina d’acqua gettata nel mare, che scomparisce, non si sa più discernere.

Quante cose ho compreso, ma il volerle dire, andrei troppo per le lunghe. Quindi Gesù è scomparso ed io son rimasta tutta confusa; mi vedevo tutta peccati, e nel mio interno imploravo perdono e misericordia. Dopo poco il mio unico Bene è ritornato, ed io mi sentivo tutta inzuppata dall’amarezza e dal dolore dei miei peccati, e lui mi ha detto:

“Figlia mia, quando un’anima è convinta d’aver fatto male nell’offendermi, già fa l’uffizio della Maddalena che bagnò i miei piedi con le sue lacrime, li unse col balsamo e li asciugò coi suoi capelli. L’anima, quando incomincia a rimirare in sé il male che ha fatto, mi prepara un bagno alle mie piaghe; vedendo il male, ne riceve un’amarezza e ne prova un dolore, e con questo viene ad ungere le mie piaghe con un balsamo squisitissimo. Da questa conoscenza l’anima vorrebbe fare una riparazione, e vedendo l’ingratitudine passata si sente nascere in sé l’amore verso un Dio tanto buono, e vorrebbe mettere la sua vita per attestare l’amore suo, e questo sono i capelli che, [96] come tante catene d’oro, si lega al­l’amore mio”.

 

Ottobre 29, 1899  (89)

Gesù la porta nelle sue braccia e l’ammaestra.

Continua il mio adorabile Gesù a venire, ma questa mattina, appena venuto mi ha preso fra le sue braccia e mi ha trasportata fuori di me stessa; ed io trovandomi in quelle braccia comprendevo molte cose, specialmente che per poter stare liberamente nelle braccia di Nostro Signore, ed anche entrare a bell’agio nel suo cuore ed uscirne come [al]l’anima più piacerebbe, e per non essere di peso e di fastidio al benedetto Gesù, era assolutamente necessario spogliarsi di tutto. Quindi con tutto il cuore gli ho detto:

“Mio caro ed unico Bene, quello che vi chiedo per me è che mi spogliate di tutto, perché veggo bene che per essere rivestita da voi e vivere in voi, e voi rivivere in me, è necessario che neppure l’ombra io abbia di ciò che a voi non appartiene”.

E lui, tutto benignità mi ha detto: “Figlia mia, la cosa principale per entrare io in un’anima e formare la mia abitazione è il distacco totale da ogni cosa. Senza di questo, non solo non posso io dimorarvi, ma neppure nessuna virtù può prendere abitazione nell’anima. Dopo, poi che l’anima ha fatto uscire tutto da sé, allora vi entro io, ed unito con la volontà dell’anima fabbrichiamo una casa. Le fondamenta di questa si basa[no] sull’umiltà, e quanto più profonde tanto più alte e forti riescono le mura. Le dette mura saranno fabbricate da pietre di mortificazione, incalcinate d’oro purissimo di carità. Dopo che si son costruite le mura, io come eccellentissimo pittore, non con calce ed acqua, ma coi meriti della mia passione, indicato per la[97] calce, e coi dolori del mio sangue, indicato per l’acqua, le intonaco e vi formo le più eccellentissime pitture, e questo servirà [per] ben munirla dalle piogge, dalle nevi e da qualunque scossa. Appresso ne vengono le porte. Queste, per far sì che fossero solide come legno, non soggette al tarlo, è necessario il silenzio che forma la morte dei sensi esteriori.

Per custodire questa casa è necessario un guardiano che vigili da per tutto, entro e fuori, e questo è il timor santo di Dio che la guarda da qualunque inconveniente, vento ed altro che potrà sovrastarla. Questo timore sarà la salvaguardia di questa casa, che farà operare non con timore della pena, ma per timore d’offendere Dio ch’è il padrone di questa casa; questo timore santo non deve fare altro che far tutto per piacere a Dio, senza nessun’altra intenzione. In seguito si deve ornare questa casa ed empirla di tesori; questi tesori non devono essere altro che desideri santi, che lacrime; questi erano i tesori dell’Antico Testamento, ed in essi [gli uomini] trovarono la loro salvezza; nell’adempimento dei loro voti, la loro consolazione, la fortezza nelle sofferenze; insomma tutta la loro fortuna [la] riponevano nel desiderio del futuro Redentore, ed in questo desiderio operavano da a-
tleti.

L’anima senza desiderio opera quasi da morta, anche le stesse virtù; tutto è noia, fastidio, rancore, nessuna cosa le piace, cammina quasi strisciando per la via del bene. Tutto all’opposto l’anima che desidera; nessuna cosa le dà peso, tutto è allegria, vola, nelle stesse pene trova i suoi gusti, e questo perché v’era un anticipato desiderio, e le cose che prima si desiderano poi vengono ad amarsi, ed amandosi si trovano i più graditi piaceri. Perciò questo desiderio va accompagnato da prima che si fabbricasse questa casa. Gli ornamenti di questa casa saranno le pietre più preziose, le perle, le gemme più costose di questa mia vita, basata sempre sul patire, ed il puro patire. E siccome colui che l’abita è il datore d’ogni bene, vi mette il corredo di tutte le virtù, la profuma coi più soavi odori, fa olezzare i più leggiadri fiori, fa risuonare una musica celestiale delle più gradite, fa respirare un’aria di paradiso”.

Ho dimenticato di dire che bisogna vedere se c’è la pace domestica, e questa non deve essere altro che il raccoglimento ed il silenzio dei sensi interiori.

Dopo ciò io continuavo a stare nelle braccia di Nostro Signore e mi trovavo tutta spogliata, ed in questo mentre vedevo il confessore presente; Gesù mi ha detto, ma mi pareva che voleva fare uno scherzo per vedere che cosa io dicessi:

“Figlia mia, tu ti sei spogliata di tutto, e tu sai che quando uno si spoglia ci vuole un altro che pensi a vestirla, a nutrirla e che le dia un luogo dove farla dimorare. Tu dove vuoi stare, nelle braccia del confessore o nelle mie?”

E mentre così diceva faceva l’atto di mettermi nelle braccia del confessore. Io ho incominciato ad insistere che non ci volevo andare; lui, che voleva. Dopo un po’ di contesa mi ha detto: “Non temere, ti tengo nelle mie braccia”, e così siamo restati in pace.

 

Ottobre 30, 1899  (90)

Gesù le parla dei castighi.

Questa mattina il benigno mio Gesù è venuto tutto afflitto, e le prime parole che mi ha detto sono state: “Povera Roma, come sarai distrutta! Nel rimirarti io ti compiango!” Ma lo diceva con tal tenerezza che faceva compassione; ma non ho capito se siano persone sole o uniti gli edifici.

Io, siccome avevo l’ubbidienza di non conformarmi alla giustizia, ma di pregare, perciò gli ho detto: “Mio diletto Gesù, quando si parla di castighi non bisogna più contendere, ma pregare solamente”. E così ho incominciato a pregare, a baciare le sue piaghe ed a fare atti di riparazione. E mentre ciò facevo, lui di tanto in tanto mi diceva:

“Figlia mia, non farmi violenza; facendo così tu vuoi violentarmi per forza, perciò statti quieta”.

Ed io: “Signore, è l’ubbidienza che così vuole, non sono io che ciò faccio”.

Lui ha soggiunto: “Il fiume dell’iniquità è tanto che giunge ad impedire la redenzione delle anime, e la sola preghiera e queste mie piaghe impediscono che questo fiume impetuoso non si l’assorbisca[98] tutto in sé”.

 

Deo gratias!

 



[1] succederebbe

[2] ed un’altra volesse

[3] nello

[4] nello

[5] la fede

[6] dal

[7] i castighi

[8] ti preghiamo

[9] nel

[10] per cui

[11] non ci può essere

[12] tolto

[13] zitta zitta

[14] mi distaccò dai suoi piedi

[15] punte

[16] soprattutto

[17] badando

[18] dette

[19] di Luisa

[20] il confessore sentiva inceppamento nel parlare e, dopo il bacio avuto da Gesù, fu completamente liberato da quella debolezza.

[21] come

[22] da dietro, cioè dietro

[23] con cui

[24] rendere loro

[25] a loro

[26] venuto

[27] su di loro

[28] ma

[29] possa

[30] pari passi, cioè di pari passo

[31] nonostante ciò

[32] non conforme all’originale

[33] come

[34] non conforme all’originale

[35] i più che, cioè quelli che più

[36] che tratti tra me e te, con il confessore, cioè di trattare tra me e te, e con il confessore

[37] ci veniva, cioè sarebbe venuto

[38] far loro

[39] e quali, cioè esse

[40] facendo a Gesù

[41] metteva fuori

[42] mi avvertivo, cioè me ne accorgevo

[43] dal latino corrivare, probabilmente con il significato di correre all’anima e velocemente andar via da essa.

[44] sono

[45] nel

[46] da cui

[47] per

[48] lo

[49] volessi crocifiggermi, cioè volessi essere crocifissa

[50] si tira, cioè ritira a sé

[51] Fino all’ultimo, cioè alla fine

[52] a sé

[53] Il

[54] nonostante ciò

[55] per le

[56] le anime pure

[57] durare fatica per, cioè stentare a

[58] di come

[59] quando appena, cioè raramente e per poco

[60] mentre

[61] verso il

[62] nel

[63] da

[64] se non, cioè non altro

[65] in

[66] l’ho incominciato, cioè per lui ho incominciato

[67] stabilisce

[68] essergli gradito

[69] di attirarmi a sé un’anima, cioè che mi attiri a sé un’anima

[70] danno

[71] come

[72] come se

[73] da loro, probabilmente da lui, cioè dal confessore

[74] prendo a, cioè ho per

[75] che avessi continuato lo stesso, cioè di continuare come prima.

[76] non mi lasciava d’essere straziato, cioè non smetteva di straziarmi il cuore

[77] mi dava sopra, cioè mi assaliva

[78] piacere a Dio

[79] proprio

[80] cercando

[81] l’anima

[82] metterlo

[83] chi doveva dirlo, cioè non avrei dovuto dirlo

[84] e sono io e prendo, cioè se io essendo io, prendo

[85] quanto decaduta di peso, cioè quanto pesantemente sono caduta in esso

[86] trovato in me

[87] alcuni

[88] si era cambiata

[89] che si cambia

[90] non dovevano aver, cioè non avrebbero dato agli uomini

[91] andando

[92] dove

[93] a loro, cioè alle Tre Divine Persone

[94] come

[95] fossero

[96] con cui

[97] indicato per la, cioè indicata dalla

[98] si l’assorbisca, cioè assorbisca