Libro di Cielo - Volume 2°

Settembre 22, 1899 (75)

Gesù le mostra i fini dei suoi scritti; contrasti con l’ubbidienza.

Sentendomi un chiodo fitto nel cuore per le parole dette ieri dal dolce Gesù, essendo egli sempre benigno con questa miserabile peccatrice, per sollevare le mie pene è venuto e tutto compatendomi mi ha detto: “Figlia mia, non volere più affliggerti; sappi che tutto ciò che ti faccio scrivere, o sulle virtù o sotto qualche similitudine, non è altro che un farti dipingere te stessa ed a quale perfezione ho fatto giungere l’anima tua”.

Oh, Dio, che gran ripugnanza provo nel descrivere queste parole, perché non parmi vero quello che dice! Mi sento che non capisco ancora che cosa sia virtù e perfezione, ma l’ubbidienza così vuole, ed è meglio crepare che avere [a] che fare con lei; molto più perché ha due facce: se si fa come lei dice, prende l’aspetto di signora e ti accarezza come amica fedelissima, di più ti promette tutti i beni che ci sono in cielo ed in terra; poi appena scorge un’ombra di difficoltà in contrario, subito, senza farsi avvertire, si fa guardare e [la] si trova guerriero e sta armato delle sue armi per ferirti e distruggerti. Oh, mio Gesù, che razza di virtù è questa obbedienza? Essa fa tremare al solo pensarla!

Onde mentre Gesù mi diceva quelle parole, io gli ho detto: “Mio buon Gesù, che giova all’anima mia l’aver tante grazie, mentre dopo mi amareggiano tutta la vita mia, specialmente per le ore di tua privazione? Perché il comprendere chi tu sei e di chi son priva, è un continuo martirio per me, quindi non mi servono ad altro che a farmi vivere continuamente amareggiata”.

Ed egli ha soggiunto: “Quando una persona ha gustato il dolce d’un cibo e poi è costretta a prendere l’amaro, per toglierle quell’amarezza si accresce al doppio il desiderio di gustare il dolce; e questo giova molto a quella persona, perché se gustasse sempre il dolce senza gustare mai l’amaro, non ne terrebbe gran conto del dolce; se gustasse sempre l’amaro ma senza conoscere il dolce, non conoscendolo non ne verrebbe neppure a desiderarlo; quindi l’uno e l’altro giova, così giova anche a te”.

Ed io: “Pazientissimo mio Gesù nel sopportare un’anima così misera ed ingrata, perdonami; mi pare che questa volta voglio troppo investigare”.

E Gesù: “Non ti turbare, sono io stesso che muovo le difficoltà nel tuo interno per avere occasione di conversare con te, ed insieme per ammaestrarti in tutto”.

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