“La nostra Paternità brama, sospira, brucia dal desiderio di voler dare questo Dono, affinché una sia la Volontà coi figli suoi”.

Noi facciamo, il nostro Essere Supremo, come farebbe un padre che vuol dare un gran dono al suo piccolo figlio. Il padre chiama il piccino e gli fa vedere il dono; egli dice: ‘Questo dono è preparato per te, già sarà tuo’, ma non lo dona. Il figlio resta sorpreso, rapito nel vedere il dono che suo padre gli vuol dare, e stando d'intorno al padre lo prega che gli dia il dono, e non sa distaccarsi, prega e riprega che vuole il dono.

Intanto il padre vedendoselo intorno profitta di istruire il figlio, di fargli comprendere la natura del dono, il bene, la felicità che riceverà da questo dono. Il figlio alle manifestazioni del padre si rende maturo e capace non solo di ricevere il dono, ma di comprendere che cosa richiude di bene, di grande, il dono che deve ricevere. Quindi si stringe di più intorno al padre, prega e riprega, sospira il dono, giunge a piangere e non sa stare più senza del dono.

Si può dire che ha formato in sé, colle sue preghiere e sospiri, coll'acquistare le conoscenze del dono che suo padre gli ha fatto, la vita, lo spazio dove come in sacro deposito ricevere il dono. Questo tardare del padre a dare il dono a suo figlio è stato amore più grande; lui bruciava, sospirava di dare il dono a suo figlio, ma lo voleva capace e che comprendesse il dono che riceveva, e non appena lo vede maturo per ricevere un tanto bene, subito glielo dà.

Così facciamo noi, più che padre sospiriamo di dare il gran dono della nostra Volontà ai nostri figli, ma vogliamo che conoscono ciò che devono ricevere; le conoscenze di essa maturano e rendono capaci i nostri figli di ricevere un tanto bene. Le tante manifestazioni che ho fatto saranno i veri occhi dell’anima, per poter guardare e comprendere ciò che la nostra paterna bontà da tanti secoli vuol dare alle creature.

Molto più che le conoscenze che ho manifestato sulla mia Divina Volontà, come saranno conosciute dalle creature, getteranno in esse il seme di far germogliare l’amore di figliolanza verso del loro Padre celeste, sentiranno la nostra paternità; e se [il Padre celeste] vuole che facciano la sua Volontà, è perché li ama e vuole amarli da figli per partecipare i suoi beni divini.

Quindi le nostre conoscenze sul Fiat Divino li farà abituare a vivere da figli, ed allora cesserà ogni maraviglia che il nostro Ente Supremo dà il dono grande della nostra Volontà ai figli suoi. È diritto dei figli ricevere le proprietà del padre, è dovere del padre dare i suoi beni ai figli - chi vuol vivere da estraneo non merita i possedimenti del padre - molto più che la nostra paternità brama, sospira, brucia dal desiderio di voler dare questo dono, affinché una sia la Volontà coi figli suoi. Allora sì, il nostro amore paterno riposerà quando vedremo l’opera uscita dalle nostre mani creatrici nel grembo del nostro Volere, in casa nostra, ed il nostro regno popolato dai nostri cari figli”.

(Libro di Cielo 30° Volume - 15 maggio 1932)