Agosto 12, 1918 (59)
Continuando il mio solito stato, stavo pensando tra me che se il Signore volesse una cosa da me, doveva darmi un segno, ed era quello di liberarmi dalla venuta del sacerdote. Ed il benedetto Gesù si è fatto vedere nel mio interno con una palla in mano, come in atto di gettarla a terra, e poi mi ha detto:
“Figlia mia, questa è la tua passione predominante, che ti liberi dall’impiccio in cui la mia Volontà ti ha messo. Io ti tengo in questo stato per tutto il mondo e me ne servo di te per non mandarlo a sfascio del tutto; invece quell’altra cosa con cui potresti far bene è una piccola parte”.
Ed io: “Mio Gesù, io non so capirlo: mi tieni senza patire, pare che mi tieni sospesa dallo stato di vittima e poi mi dici che te ne servi di me per non mandare del tutto il mondo a sfascio?”
E Gesù: “Eppure è falso che non soffri, al più non soffri pene tali da potermi disarmare del tutto; e se qualche volta resti sospesa non c’è la parte tua, il tuo volere, invece qui entrerebbe la tua volontà. Ah! Tu non puoi capire la dolce violenza che mi fai col tuo aspettare, il sentirti sospesa, il non vedermi come una volta e restare allo stesso posto senza spostar[ti] in nulla. E poi voglio essere libero su di te; quando mi piace ti terrò sospesa, quando non mi piace ti terrò legata. Ti voglio in balìa della mia Volontà senza tua volontà. Se sei contenta così puoi farla[1], altrimenti no”.
Un altro giorno mi sentivo male, col continuo rimettere che faccio, e stavo dicendo al mio dolce Gesù: “Amor mio, che ci perdevi col darmi la grazia di non sentire necessità di prendere cibo, tanto che son costretta a rimetterlo?” Lo dico per ubbidire. E il mio amabile Gesù mi ha detto:
“Figlia mia, che dici? Zitta, zitta, non lo dire più. Devi sapere che se tu non avessi bisogno di nulla io farei morire di fame i popoli, ma avendone tu bisogno, potendo servire alle tue necessità, io per amor tuo e per cagione tua do le cose necessarie alle creature. Sicché se ti dessi ascolto vorresti[2] male agli altri, invece col prendere il cibo e poi rimetterlo fai bene agli altri, ed il tuo patire glorifica me. Di più, quante volte, mentre rimetti, ti veggo soffrire, siccome soffri nella mia Volontà, io prendo quel tuo patire, lo moltiplico e lo divido a bene delle creature e godo e dico fra me: ‘Questo è il pane della figlia mia, che io do a bene dei figli miei’”.
[1] fare la mia Volontà
[2] in altra edizione farei
fonte audio: yahoo/group/ladivinavolonta