Libro di Cielo - Volume 2°

Settembre 2, 1899 (69)

Continua a respingere Gesù, ma finalmente il confessore la libera dall’ubbidienza.

Onde, [con] questa ubbidienza un po’ più mite, il mio povero cuore pareva [che] da morto incominciasse un po’ a vivere; ma con tutto ciò non mi lasciava d’essere straziato[1] in mille guise, perché l’ubbidienza, quando vedeva che il cuore si fermava un po’ di più in cerca del suo autore, quasi che si volesse in lui riposare, perché sfinito di forze, mi dava sopra[2] e coi suoi artigli tutta mi feriva. E poi quel dover ripetere quel ritornello, quando il benedetto Gesù si faceva vedere: “Non ci venite, non posso discorrere, che l’ubbidienza non vuole”, era per me il più atroce e crudel martirio.

Onde il mio dolce Gesù, trovandomi nel mio solito stato, è venuto, ed io gli ho manifestato il comando ricevuto; e lui se n’è andato. Una sol volta, mentre io gli stavo dicendo: “Non ci venite, che l’ubbidienza non vuole”, mi ha detto:

“Figlia mia, abbi sempre innanzi alla tua mente la luce della mia passione, che nel vedere le mie pene acerbissime, le tue ti parranno piccole, e nel considerare la causa per cui soffrii tanti dolori immensi, che fu il peccato, i più piccoli difetti ti parranno gravi; invece se non ti specchierai in me, le più piccole pene ti sembreranno pesanti ed i difetti gravi li reputerai cosa da niente”. Ed è scomparso.

Dopo poco è venuto il confessore, ed avendogli domandato se ancora dovessi continuare questa obbedienza, mi ha detto: “No, puoi dirgli ciò che vuoi, e tienilo quanto vuoi”.

Pare che sono lasciata libera e non ho tanto a che fare con questo guerriero sì potente, altrimenti questa volta si sarebbe reso tanto forte che mi dava la morte; ma però mi avrebbe fatto fare un gran guadagno, perché mi sarei unita per sempre al sommo Bene, non ad intervalli, e lo avrei ringraziato, non solo, ma gli avrei cantato il cantico dell’ubbidienza, cioè il cantico delle vittorie; quindi me ne sarei risa di tutta la sua fortezza. Ma mentre ciò dicevo innanzi a me è comparso un occhio risplendente e bello, ed una voce che diceva: “Ed io mi sarei unito insieme con te e mi sarei compiaciuto di ridere, ma purché fosse stata mia la vittoria”.

Ed io: “O cara obbedienza, che dopo aver fatto una risata insieme, ti avrei lasciata alla porta del paradiso per dirti addio, e non più rivederci, per non aver a che fare con te, e me ne sarei ben guardata di lasciarti entrare!” 



[1] non mi lasciava d’essere straziato, cioè non smetteva di straziarmi il cuore

[2] mi dava sopra, cioè mi assaliva

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